Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-02-2011) 08-03-2011, n. 9097

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza deliberata in data 22 aprile 2010, depositata in cancelleria il 27 aprile 2010, la Corte di Appello di Salerno dichiarava inammissibile l’istanza di revisione proposta nell’interesse di M.A. in relazione alla sentenza della Corte di Assise di Appello di Catanzaro del 27 gennaio 1973, passata in cosa giudicata in data 28 giugno 1974, con cui il prefato, imputato del delitto di omicidio volontario in concorso con T. S., era stato condannato, in parziale riforma della sentenza del primo giudice, alla pena di anni undici di reclusione.

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione M.A. chiedendone l’annullamento per i seguenti profili:

a) l’ordinanza impugnata è illegittima posto che il ricorrente aveva altresì richiesto la declaratoria di estinzione della misura di sicurezza della libertà vigilata, su cui nulla ha disposto il giudice;

b) la sentenza della Corte di Assise di Appello di Catanzaro in data 27 gennaio 1973 è inficiata di nullità assoluta per essersi basata su palesi falsità formulate in un giudizio privo di una completa valutazione delle prove e fondante su una chiamata di correità (quella di D.R. nei confronti del ricorrente) non confortata da alcun riscontro obbiettivo.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

3.1 – Il primo motivo di ricorso (mancata pronuncia del giudice sulla richiesta di declaratoria di estinzione della misura di sicurezza) è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile. La richiesta in parola (proposta in via incidentale) non può essere avanzata in sede di revisione per la struttura propria di tale mezzo di gravame che è volto, per vero, alla rimozione degli effetti di una sentenza passata in cosa giudicata, mentre l’estinzione della misura di sicurezza della libertà vigilata consegue all’estinzione dell’intera pena (Cass., Sez. 1, 1 ottobre 2009, n. 41584, P.M. in proc. Baldo, rv. 245567) postulando così, le due istanze, argomenti e presupposti tra loro non conciliabili.

3-2 – Anche il secondo motivo di gravame è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

3.2.1. – Occorre premettere che l’istituto della revisione non si configura come un’impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo, definitivamente concluso, non è stato rilevato o non è stato dedotto, bensì costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti del giudicato, dando priorità alla esigenza di giustizia sostanziale rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici: da ciò deriva che l’efficacia risolutiva del giudicato non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o un’inedita disamina del deducibile (il giudicato, infatti, copre entrambi), bensì l’emergenza di nuovi elementi estranei e diversi da quelli del definito processo.

Occorre inoltre evidenziare che, quale necessario antecedente logico- giuridico dell’apertura del giudizio di revisione, l’indagine preliminare costituisce un momento interno del procedimento che, risultando finalizzato al vaglio di ammissibilità della richiesta, si sviluppa nei seguenti passaggi, enucleabili dall’art. 634 c.p.p.:

a) verifica dell’osservanza delle forme prescritte per l’istanza di revisione e della le-gittimazione del richiedente;

b) riconducibilità delle ragioni per le quali è richiesta la revisione ad una delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 630 c.p.p.;

c) congruenza, in astratto, ex art. 631 c.p.p., degli elementi su cui si basa la richiesta;

d) non manifesta infondatezza dell’istanza (Cass. 6 ottobre 1998, Bompressi, rv. 211445).

Quando la richiesta di revisione è proposta fuori dall’ipotesi prevista dagli artt. 629 o 632 c.p.p. o senza l’osservanza delle disposizioni di cui agli artt. 631, 632, 633 e 641 c.p.p., ovvero risulta manifestamente infondata, la Corte d’appello, anche d’ufficio, dichiara l’inammissibilità della richiesta predetta. La valutazione dell’ammissibilità dell’impugnazione risponde alle esigenze generali di impedire spreco di attività giurisdizionale e si svolge "de plano", non essendo previsto che sia dato avviso al difensore o all’imputato della data fissata per la camera di consiglio (Cass. 27 novembre 1991, Cerelli). Qualora la richiesta di revisione sia proposta sulla base dell’asserita esistenza di una prova nuova, l’eventuale giudizio di manifesta infondatezza può e deve trarsi da una valutazione che abbia ad oggetto non solo l’affidabilità della dedotta circostanza, ma anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione. Deve essere, quindi, effettuata una sommaria delibazione dei nuovi elementi di prova addotti, così da stabilire se essi appaiono in astratto idonei ad incidere in senso favorevole alla tesi dell’istante sulla valutazione delle prove a suo tempo raccolte e, nello stesso tempo, giustifichino la ragionevole previsione che essi, da soli o congiuntamente a quelli già esaminati nel corso del processo conclusosi con la sentenza di condanna, possano condurre al proscioglimento dell’istante. L’eventuale giudizio di manifesta infondatezza può e deve trarsi, pertanto, da una valutazione che abbia ad oggetto non solo l’affidabilità della dedotta circostanza, ma anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione. Tale giudizio si differenzia da quello esaustivo della domanda di revisione di cui all’art. 637 c.p.p., nel fatto che i criteri di ragione in base ai quali svolgere valutazioni di affidabilità, persuasività e congruenza, sia della fonte che del contenuto della prova, non penetrano in profondità nel giudizio di rivisitazione della vicenda processuale in esame, ma consentono di pervenire a conclusioni decisorie in via immediata e diretta (Cass. 28 maggio 1996, Caporosso, rv. 205685).

Questa valutazione postula, tuttavia, la comparazione delle nuove prove con quelle su cui si fonda la condanna irrevocabile, di cui occorre, quindi, identificare il tessuto logico-giuridico. La comparazione non richiede soltanto il confronto di ogni singola prova nuova, isolatamente presa, con quelle già esaminate, occorrendo, invece, che la pluralità delle prove riconosciute nuove sia valutata anche unitariamente, vagliandosi, in una prospettiva globale, l’attitudine dimostrativa di esse, da sole o congiunte a quelle del precedente giudizio, rispetto al risultato finale del proscioglimento. La valutazione del giudice in ordine alla manifesta infondatezza della richiesta impone, quindi, un apprezzamento prognostico sull’esito possibile del giudizio di revisione in base alle nuove prove da acquisire. Nell’economia di tale prognosi la comparazione tra le prove acquisite e quelle acquisende non può essere confinata nei termini dell’astrazione concettuale, ma deve ancorarsi alla realtà processuale già esistente e svilupparsi in termini realistici, così da non potere ignorare evidenti seghi di in conferenza e/o inaffidabilità della prova nuova rilevabili ictu oculi. La Corte d’appello, in osservanza dell’obbligo generale stabilito dall’art. 125 c.p.p., comma 3, deve fornire una sia pur sommaria giustificazione logica con cui dimostri di avere esaminato le risultanze sottoposte alla sua decisione e deve doverosamente indicare i motivi per i quali le prove nuove dedotte, alla luce di quelle già valutate nel giudizio di cognizione, sono inidonee a smentire il quadro probatorio su cui si è basata la sentenza di condanna.

3.2.3. – Ciò posto, nel caso in esame, la Corte d’appello, correttamente applicando i principi in precedenza illustrati, ha adeguatamente motivato le proprie valutazioni ai sensi dell’art. 630 c.p.p., lett. c), evidenziando come le motivazioni espresse dal richiedente non si articolassero affatto in nuove prove, bensì in vere e proprie semplici cen-sure (ribadite fra l’altro in questa sede) alle valutazioni probatorie già operate in modo esaustivo e congruo dal giudice di merito in particolare in relazione alla chiamata in correità della Donizio. Giusta la peculiare natura della revisione, come più sopra rappresentata, il ricorso si profila quindi del tutto inammissibile.

4. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

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