Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 03-02-2011) 08-03-2011, n. 9070 Chiamata di correo

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quale, per Z. V. ha concluso per l’accoglimento dei motivi di gravame.
Svolgimento del processo

1. – Con sentenza in data il marzo 2010, depositata in cancelleria il 20 maggio 2010, la Corte di Assise di Appello di Napoli, confermava la sentenza 11 marzo 2010 della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere emessa in data 17 settembre 2008 che aveva dichiarato B.A., D.G., C. S., C.G., M.G., P. S., R.A., R.S., S.W., Z.V., esclusa l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, responsabili del reato di duplice omicidio volontario aggravato in danno di P.G. e G.D. e porto e detenzione illegale di armi e condannati: B.A., D.G., C.S., C.G., M.G., P.S., R.A., R. S., S.W., Z.V. alla pena ciascuno dell’ergastolo con isolamento diurno per mesi diciotto.

2. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata e in particolare sulla base delle propalazioni dei pentiti D.L. e B.D., M.G., intenzionato a non dividere una sostanziosa tangente con il clan Puca/Verde proveniente da un’impresa costruttrice per attività edificatorie nella propria zona di riferimento, chiedeva a S. W., per il tramite di D.L. e quindi di B. D., di eliminare fisicamente P.P., richiesta cui lo S. in un primo tempo non aderiva. Successivamente i R. di Sant’Antimo, tramite il loro contatto presso il clan dei casalesi Z.V., avanzavano una richiesta di scambio di vittime, nel senso che loro avrebbero ucciso Q., acerrimo nemico dei casalesi e questi ultimi P.G.. Raggiunto l’accodo e consegnata il M. la somma di 50 milioni al D. perchè questi la consegnasse a P.G. quale rata sul maggior avere della tangente cui prima si è fatto riferimento, il P. faceva tuttavia sapere che avrebbe mandato, in sua vece, lo zio G.. Intervenuto quindi l’assenso sia del M. che dei R. per la eliminazione di P.G. in luogo di P.P. veniva organizzata a casa del D. l’imboscata.

P.G. e G.D., sopraggiunti sul luogo dell’appuntamento, venivano quindi strangolati dalle persone ivi convenute vale a dire B.D., S.W., C.G., C.S., D.G., P., N. e S. e altri. Dopo il duplice omicidio i cadaveri venivano caricati sul furgone Ford Transit che lo S. si era all’uopo fatto consegnare da D.G. e portati in un luogo di primo occultamento fino a quando un emissario dei R. non constatò l’identità degli uccisi.

3. – Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito in via di principalità, non solo dalle indagini di polizia giudiziaria, ma anche e soprattutto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tra cui D.L. e B. D..

4. – Avverso tale decisione, tramite i propri rispettivi difensori hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione tutti gli imputati chiedendone l’annullamento a vario titolo. Più specificatamente sono state avanzate le seguenti censure:

5. – B.A., (ricorso a firma dell’avv. Michele Santonastaso);

a) vizio di motivazione in quanto manifestamente apparente e illogica; come evidenziato nei motivi di gravame il collaboratore di giustizia D.L. non fa riferimento al ricorrente come presente agli incontri in cui si decise di uccidere persone diverse da P.P. e, ciò nonostante, il giudice ha ritenuto provata la responsabilità del prefato. b) violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3, in relazione ai canoni valutativi dei due collaboratori di giustizia D.L. e B.D. che vengono ritenuti attendibili nonostante evidenti discrasie nelle loro dichiarazioni che non possono essere giustificate, così come ha fatto la Corte territoriale con il mero decorso del tempo giusta la carenza delle necessarie condizioni di costanza e coerenza.

6 – D.G., (ricorso a firma dell’avv. Paolo Caterina);

a) violazione dell’art. 192 c.p.p. in relazione agli artt. 110, 112 c.p., art. 61 c.p., n. 1 e artt. 4, 575, 577 c.p., L. n. 203 del 1991, art. 7, art. 61 c.p., n. 5, art. 412 c.p., L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12, 14 e vizi motivazionali, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e); le propalazioni dei collaboratori di giustizia in relazione al ricorrente non erano suffragate da riscontri obbiettivi, nè la Corte territoriale ha motivato sul punto; in particolare era fallito il riscontro relativo all’ispettore M. il quale aveva riferito di non essere stato in grado nè di rinvenire il luogo di occultamento dei cadaveri, nè di individuare l’impresa costruttrice che aveva elargito la tangente che aveva dato origine all’episodio criminoso per cui è causa. Inoltre la motivazione meritava di essere censurata per il fatto che dal racconto di D. emergevano movimenti del prevenuto non compatibili con il suo stato di persona sottoposta a misura di prevenzione. La sentenza gravata non ha dato poi conto del fatto che, secondo l’accordo intervenuto con i R., per quanto riferito dai collaboranti, il Q. sarebbe dovuto essere ucciso in cambio del P., cosa però non avvenuta, così come nella vicenda risulta essere poi scomparso P.G., anzichè P. che era invece il nominativo indicato nell’accordo tra R./clan dei casalesi. Vi sono poi discordanze tra le dichiarazioni dei due collaboranti D.L. e B.D., come quella relativa alla presenza del B. all’incontro del D. con il M. ovvero relativa alla presenza del D. con l’emissario mandato dal R. perchè verificasse l’identità dei cadaveri. Un difetto di motivazione è altresì rilevabile in relazione alle dichiarazioni degli altri propalanti collaboratori di giustizia, in relazione ai quali il giudice non ha chiarito per quali motivi dovessero essere ritenuti estranei alla vicenda e di conseguenza irrilevanti le loro dichiarazioni. Per contro il ricorrente aveva evidenziato il contributo probatorio fornito dagli altri pentiti tra cui in particolare il P. che aveva indicato come mandante del duplice omicidio il D.L. fatto questo che inficiava il racconto di D. e B.. b) violazione dell’art. 192 c.p.p. in relazione agli artt. 110, 112, 61 c.p., n. 2 e art. 412 c.p., con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e); da censurare è la sentenza gravata nel punto in cui non limita la responsabilità del prefato al solo reato di cui all’art. 412 c.p., posto che i collaboratori di giustizia D. e B. non indicano il D. come compartecipe allo strangolamento, mentre gli altri rivelano che il prefato era stato incaricato del solo occultamento. Solo il B. ne fa menzione in modo vago ma le sue propalazioni non possono essere ritenute sufficienti in mancanza di una motivazione del giudice sulle discrepanze con le dichiarazioni del D.. c) violazione dell’art. 62 bis c.p. e art. 114 c.p., con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e); la sentenza difetta di motivazione in relazione al ruolo del prefato ritenuto non secondario.

7 – C.S., (ricorso a firma dell’avv. Alfonso Baldascino);

a) nullità della sentenza per violazione di legge ex artt. 192, 500, 503, 530 c.p.p., comma 2, nonchè per mancanza di motivazione;

motivazione illogica e contraddittoria; vizio di motivazione ricavabile sia dal testo della sentenza che da atti specificatamente indicati e riportati, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); erra in particolare la sentenza in punto di attendibilità dei collaboratori di giustizia avendo gli stessi riferito importanti particolari solo nel corso del dibattimento fornendo il giudicante una giustificazione inaccettabile circa l’incertezza del ricordo dei propalanti relativa al decorso del tempo o ad altre ragioni. La sentenza manca inoltre di motivazione in merito alla tempestività delle dichiarazioni del B., che prima di esporre i propri enunciati ha avuto modo di ascoltare le dichiarazioni del D., sicchè le sue propalazioni difettano di spontaneità e autonomia.

Non vi è infatti accordo tra i due collaboranti in ordine alla convocazione del D.L. da parte del B., sulla reazione di S.W., nonchè sul secondo contatto con M.. Discrasie vi sono anche nella fase esecutiva dell’omicidio sul ruolo avuto da B.D. allorquando il C. cercò di fuggire dalla casa del D. temendo per la propria sorte ovvero quando tirò la corda che già si trovava attorno al collo del P. insieme al V. ovvero in merito a chi estrasse la pistola (se il B. o il C.) per sparare alla testa del P. che aveva dato l’impressione di dare segni di vita. Nulla dice la sentenza in relazione a tali discrepanze. Difetto di motivazione è altresì rilevabile in merito al mancato esame delle dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia in relazione alla posizione del ricorrente.

8 – C.G., (ricorso a firma degli avv.ti Emilio Martino e Luigi Monaco);

a) violazione dell’art. 178 c.p.p., comma 1, art. 179 c.p.p., art. 37 c.p.p., comma 2, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e); si impone la declaratoria di nullità della sentenza impugnata, in via di principalità, per il fatto che i giudici di primo grado, benchè pendesse ricorso per cassazione avverso l’ordinanza 15 luglio 2008 della Corte di Appello che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di ricusazione, hanno pronunciato ugualmente sentenza in violazione dell’art. 37 c.p.p., comma 2, che gli imponeva di attendere l’ordinanza che dichiarasse l’inammissibilità ovvero rigettasse la ricusazione. b) violazione dell’art. 34 c.p.p., comma 2 artt. 3 e 24 Cost., L. 11 marzo 1953, n. 87, artt. 23 e 24, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e); i giudici del dibattimento avevano partecipato al riesame della misura cautelare a carico del C. venendo così a pronunciarsi sulla elevata probabilità di colpevolezza che è propria della valutazione dei gravi indizi ex art. 273 c.p.p., comma 1 e che non è dissimile dalla valutazione delle prove ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3; veniva quindi chiesto di ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità in ragione delle modifiche legislative e costituzionali dell’art. 34 c.p.p., comma 2, nella parte in cui non prevede la incompatibilità di giudizio del giudice del dibattimento che ha emesso ordinanza custodiale a carico dell’imputato. c) violazione dell’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), artt. 523 e 524 c.p.p.; la Corte di Assise ha illegittimamente deliberato il dispositivo della sentenza omettendo di comunicare all’imputato e al difensore la decisione assunta in merito alla richiesta di rinvio dell’udienza impedendo così loro di avvalersi delle facoltà riconosciute ai sensi degli artt. 523 e 524 c.p.p.. d) violazione degli artt. 507 e 603 c.p.p., con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e) in relazione alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione onde acquisire il decreto emesso nel 1994 con cui il C. era stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, misura che rendeva impossibile per l’imputato di recarsi a Casal di Principe; inoltre la Corte avrebbe dovuto verificare se il prefato il giorno del fatto era stato sottoposto a controlli da parte delle forze dell’ordine. e) violazione dell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 e art. 522 c.p.p.; la sentenza è viziata sotto il profilo motivazionale e della violazione di legge in ordine ai canoni valutativi delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D.L., B.D. e B.F., in merito alla loro attendibilità intrinseca ed estrinseca e alla loro autonomia; in particolare, in relazione alle propalazioni del D.B., il giudice non ha effettuato alcuno scrutinio di attendibilità erroneamente applicando il principio della frazionabilità della dichiarazione perchè le discordanze riguardavano lo stesso episodio criminoso; inoltre da quanto prospettato dai collaboranti non è dato cogliere inoltre alcun elemento significativo di responsabilità del C. nel duplice omicidio se non riferimenti generici; infine la Corte ha violato l’art. 522 c.p.p. laddove ha ritenuto la responsabilità del prefato sin dalla fase deliberativa del duplice omicidio, mentre la contestazione riguardava la sola fase esecutiva. f) violazione dell’art. 129 c.p.p. e art. 530 c.p.p., comma 1 e 2, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e); è errata la declaratoria di non doversi procedere in relazione al reato di cui al capo B), anzichè pronuncia assolutoria, come sarebbe dovuto avvenire anche per il reato sub C). g) violazione dell’art. 112 c.p., art. 577 c.p., art. 61 c.p., n. 1, art. 61 c.p., n. 4, L. n. 203 del 1991, art. 7, in relazione al capo C), con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e);

sono errate le determinazioni della Corte con riferimento alla sussistenza delle aggravanti contestate; non sussistono nel processo i presupposti per asserire la sussistenza dell’aggravante della premeditazione non emergendo dalle risultanze processuali alcun elemento probante il concorso dell’imputato nella fase ideativa o organizzativa; non sussistono inoltre gli estremi dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1 (motivi futili) non essendo stata determinata con certezza la causale del delitto, così come laconica è l’argomentazione sviluppata in sentenza con riferimento all’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 4 (uso di sevizie) tenuto conto che il C. non ha materialmente preso parte allo strangolamento. Non sussistente è altresì l’aggravante di cui all’art. 112 c.p., comma 1, non essendo stata raggiunta la prova della consapevolezza di aver agito in numero superiore a cinque, non avendo tenuto conto che peraltro il ruolo del C. è stato del tutto marginale. In relazione infine all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, non vi è prova che il ricorrente abbia detenuto o portato armi ovvero abbia posto in essere la condotta onde agevolare o favorire il sodalizio criminoso. h) violazione degli artt. 114, 62, 69, 132, 133 e 81 cpv. c.p.; è illogica e contraddittoria la motivazione in ordine alla denegata concessione delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza o prevalenza sulle circostanze aggravanti, in ordine alla omessa irrogazione della pena nei minimi edittali e del minimo aumento per la continuazione, considerata la minima importanza del ruolo rivestito dal C. limitata alla mera presenza su luogo del delitto.

9 – M.G., (ricorso a firma dell’avv. Raffaele Quaranta);

a) violazione dell’art. 494 c.p.p., comma 5, artt. 523 e 524 c.p.p., in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. c), quanto al diritto di ciascun imputato di rendere in ogni stato e grado del giudizio, dichiarazioni spontanee e vizio motivazionale, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e); ritirandosi il collegio di prime cure per decidere su di una istanza di rinvio, decideva anche sul merito precludendo così a ciascun imputato di rendere dichiarazioni spontanee e l’esercizio delle ulteriori attività difensive. b) violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3 e 4, per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale quanto ai criteri applicati nella valutazione della chiamata in correità e dell’inattendibilità intrinseca dei pentiti sotto il profilo della spontaneità, precisione e concordanza delle propalazioni, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b); peraltro il D., in dibattimento, ha riferito circostanze mai descritte dall’inizio della scelta collaborativa il che ha reso le propalazioni inutilizzabili per il superamento del limite temporale dei 180 giorni dall’inizio della scelta collaborativa. Violazione altresì degli artt. 110, 40 c.p. e art. 27 Cost. per erronea applicazione della legge penale quanto alla sussistenza degli elementi integrativi del concorso di persone nel reato e per inosservanza del principio della personalità penale.

Insussistenza del nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento. c) contraddittorietà e illogicità della motivazione quanto al movente omicidiario e alle censure formulate in atto di appello, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); mancanza di motivazione in ordine alle censure formulate in atto di appello. d) violazione dell’art. 192 c.p.p, commi 3 e 4, per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione ai criteri applicati nella valutazione dell’attendibilità estrinseca dei pentiti. Assenza assoluta di riscontri esterni certi, univoci e individualizzanti. Sul punto le dichiarazioni dei due collaboranti D.L. e B.D. non convergono, nè sono di aiuto le propalazioni degli altri collaboranti (quali B., F. e D.S.).

10 – M.G., (ricorso a firma dell’avv. Michele Cerabona);

– mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla affermazione della penale responsabilità dell’imputato, violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3, violazione degli artt. 40 e 110 c.p. in relazione all’art. 575 c.p., con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e); le dichiarazioni del D. si sono rivelate inattendibili dal punto di vista intrinseco, atteso peraltro che nel manoscritto fatto avere al Pubblico Ministero, il M. non è indicato come uno dei mandanti in assenza inoltre di riscontri esterni individualizzanti.

Il giudice di merito ha completamente omesso di affrontare gli argomenti esposti di cui ai motivi di impugnazione e in particolare di dar conto dei contrasti evidenti nelle dichiarazioni dei collaboranti che sono numerosi e inconciliabili. Altra circostanza del tutto ignorata dal giudice di merito è quella relativa al fatto che la decisione di commettere l’omicidio è stata assunta dal clan dei casalesi che aveva interesse da una parte a eliminare un loro acerrimo nemico quale era il Q. e dall’altro di far figurare di aver fatto un favore a M.. Infine nessuna motivazione è stata spesa dal giudice in relazione alla deposizione del collaborante Q..

11 – P.S., (ricorso a firma dell’avv. Alfonso Baldascino);

a) nullità della sentenza per violazione di legge ex artt. 192, 500, 503 c.p.p., art. 530 c.p.p., comma 2 e art. 533 c.p.p., nonchè per mancanza di motivazione; la motivazione inoltre è illogica e contraddittoria; è ravvisabile inoltre vizio di motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); sono stati violati in particolare i canoni valutativi delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia D.L. e B.D.;

in particolare in relazione alla responsabilità del ricorrente veniva rilevata la violazione dell’art. 500 c.p.p., comma 2, essendo stati fatti valere ai fini della responsabilità processi verbali acquisiti solo a seguito di contestazione ex art. 503 c.p.p. e quindi ai fini di valutare la credibilità del dichiarante; in ogni caso le dichiarazioni dibattimentali sia del D. che del B. in relazione alla posizione del P. si connotano di incertezza e dello stesso non viene fatta menzione nè nella fase dello strangolamento nè in quella di occultamento dei cadaveri; vi è altresì violazione dei criteri valutativi della chiamata in correità; l’esame della chiamata deve essere completo con riferimento a tutte le dichiarazioni rese, al loro sviluppo logico e cronologico onde individuare i caratteri di spontaneità, certezza e costanza; veniva inoltre rilevata la manifesta mancanza di motivazione in relazione a quanto richiamato in atto di appello, in ordine alle dichiarazioni dibattimentali del D.. Manca altresì una valutazione di attendibilità in merito alle dichiarazioni di B. in relazione alle quali ha operato una valutazione giustificazionista non tenendo conto per contro che egli aveva aggiustato le sue dichiarazioni su quelle del D. per aver reso la propria deposizione in un momento successivo. Manca inoltre la motivazione del giudice in relazione alle dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia quali D.S., F., D. A. e C.F..

12 – P.S., (ricorso a firma dell’avv. Antonio Abet);

a) violazione degli artt. 178, 179, 494 c.p.p., e art. 523 c.p.p., comma 5, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), ed e), in relazione al rigetto della richiesta difensiva di declaratoria di nullità del giudizio di primo grado nella parte in cui l’imputato veniva privato della possibilità di rendere spontanee dichiarazioni prima del ritiro del giudice di prime cure in camera di consiglio per la deliberazione della sentenza e illogicità della motivazione;

b) erronea applicazione delle norme in tema di valutazione della prova con espresso riferimento all’art. 192 c.p.p., comma 3, con particolare riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ed illogicità della motivazione anche in relazione al presunto ruolo rivestito dal P. alla luce dell’erronea applicazione ed interpretazione delle norme in tema di concorso di persone nel reato ex art. 110 c.p. ed omessa valutazione delle censure svolte sul punto nei motivi di gravame nonchè illogicità della motivazione; violazione di legge ed erronea applicazione ed interpretazione delle norme in tema di concorso di persone nel reato;

13 – R.A., (ricorso presentato personalmente dall’imputato);

– erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 110 e 575 c.p. e per inosservanza dell’art. 129 c.p.p., con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b); mancanza, contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione e travisamento dei fatti processuali e delle risultanze probatorie, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); le dichiarazioni dei propalanti presentano tante e tali discrasie da minare reciprocamente la rispettiva attendibilità oltre che caratterizzarsi come de relato per essere state assunte come informazioni da terzi. Non vi è alcun riscontro a tali propalazioni, nè la prova di una reale partecipazione del ricorrente. Nessuno dei dichiaranti ha per vero riferito di aver incontrato il R. direttamente o per interposta persona, nè di aver assistito all’intervenuto accordo di scambio con i casalesi. Alcun affidabilità probatoria e di riscontro individualizzante assumono inoltre le dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia Q. e D.T. in quanto a loro volta imprecise e contraddittorie.

14 – R.S., (ricorso a firma dell’avv. Paolo Trofino);

– violazione degli artt. 178, 523, 524 e 192 c.p.p., art. 24 Cost., con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e); il giudice di primo grado aveva per vero violato il diritto di difesa posto che all’udienza del 17 settembre 2008, ritiratosi per decidere sulla richiesta di rinvio avanzata dall’imputato C., aveva invece deciso anche sul merito. La sentenza del giudice di appello sul punto si connota di superficialità ed erroneità e merita ulteriore censura in relazione anche alla valutazione delle dichiarazioni dei pentiti ( D.L., B.D., Q.G. e D.T.A.) essendo stata data interpretazione colpevolista ai dati incerti raccolti a carico del prevenuto nonostante le incongruenze e discrasie e la circolarità delle dichiarazioni. Manca inoltre qualsivoglia indicazione circa l’esatta corrispondenza del R.S. con la persona investita dalle dichiarazioni accusatorie che è smentita dallo stesso B.D. il quale non solo ha affermato di non conoscerlo, ma lo ha anche escluso dalla partecipazione al mandato omicidiario. Vi è infine carenza motivazionale in relazione alla esclusione del rilievo probatorio delle dichiarazioni degli altri collaboranti D.S. e P. che, al contrario di quanto affermato dalla sentenza, incidono notevolmente sulla ricostruzione omicidiaria.

15 – S.W. e Z.V., (ricorso a firma dell’avv. Mauro Valentino);

a) nullità della sentenza, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), quale conseguenza della nullità dell’ordinanza per mancata acquisizione dei verbali di udienza del 10 marzo 2008,14 aprile 2008, 27 ottobre 2008 e 26 ottobre 2009, relativi ad altro procedimento contenenti gli esami dibattimentali di D.L. e B.D.; in quella occasione i collaboratori di giustizia avevano dichiarato di aver udito personalmente da S.W. che egli era stato l’esecutore materiale di un triplice omicidio, antecedente storico dell’episodio per cui è giudizio. Poichè tali propalazioni erano in contrasto con altre prove dichiarative lo S. era stato assolto. E’ rilevante pertanto l’acquisizione di queste propalazioni di collaboranti che, pur accusando lo stesso ricorrente ( S.W.), in esito ad un più approfondito vaglio di attendibilità, non sono state sufficienti a provare la sua penale responsabilità in presenza di prove dichiarative di diverso segno. b) nullità della sentenza, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per palese difetto ed illogicità della motivazione in relazione alla verifica dell’attendibilità intrinseca dei collaboranti D.L. e B.D., alla prova di assenza di inquinamento probatorio in particolare per la narrazione di B.D., ove egli ha ripetuto le espressioni verbali utilizzate in dibattimento dal D.; ulteriore censura, sviluppata sempre ai fini della disamina di attendibilità, attiene al fatto che i collaboranti non siano stati in grado di indicare il luogo di seppellimento delle vittime. c) nullità della sentenza, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per illogicità della motivazione in riferimento alla partecipazione all’episodio esecutivo dello S.W. attesa la predisposizione di uomini armati effettuata dal D. e la volontà di uccidere Z.V. e D.S.D. esplicitata dal gruppo Bidognetti;

d) nullità della sentenza, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), ed e), in relazione alla corretta valutazione della prova derivante dall’esame di D.S.D. e quindi in riferimento alla corretta applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3. 16 – Z.V., (ricorso a firma dell’avv. Massimo Biffa);

a) violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 3, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c); erronea è l’applicazione dei canoni valutativi con riferimento ai collaboratori di giustizia D.L. e B.D., mentre è carente la valutazione che concerne D.S.D. che ha, per contro, fornito un contributo di segno opposto. b) manifesta mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 3, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1 lett. e); una prima contraddizione in termini è ravvisabile nel punto della sentenza in cui si ritiene da un lato non rientrare tra i criteri valutativi di attendibilità l’interesse del pentito a conseguire i benefici premiali e dall’altra che dovrebbe invece attribuirsi efficacia significativa al fatto che il collaborante debba guardarsi dal rischio di revoca dei benefici. La seconda contraddizione è contenuta nella decisione in merito alla confutazione del rilievo difensivo circa la mancanza di autonomia delle propalazioni di B.D.. Il giudice da un lato afferma che talune coincidenze espressive si spiegherebbero per la particolarità stessa delle espressioni usate e dall’altra che le integrazioni dibattimentali di precedenti affermazioni si giustificherebbero per un meccanismo diametralmente opposto. La terza illogicità è ravvisata nella parte della decisione in cui parametra la confessione di B.D. non con riferimento alle dichiarazioni del D. ma con una serie di altri elementi di natura generica, anch’essi comunque conosciuti dal B. per essere presenti nell’ordinanza coercitiva e che non potevano essere utilizzati come riscontri. Il quarto vizio di motivazione attiene invece alle argomentazioni spese in sentenza a proposito della mancata individuazione del luogo di seppellimento dei cadaveri: il giudice si avvale della deposizione del teste di polizia giudiziaria Mauro per affermare che lo stato dei luoghi era mutato pur trattandosi di un dato che non era tenuto a conoscere nè era certo che fosse dal medesimo conosciuto. Il quinto vizio di illogicità attiene al tentativo della sentenza di svilire il contributo dichiarativo del collaborante D.S.D.: se è vero che occorre la sollecitazione per poter rievocare ricordi risalenti negli anni, è anche certo che il pentito ha chiarito alcuni suoi ricordi all’esito delle contestazioni su cui nulla ha riferito il giudice di seconde cure. Con il sesto vizio di illogicità veniva rilevato il fatto che la Corte territoriale non ha considerato che il contrasto tra le dichiarazioni di B.D. e quelle di decreto legge involgeva una vera e propria chiamata in correità nei confronti del D.S., tralasciando altresì aspetti rilevanti del racconto di quest’ultimo collaborante ignorate dal giudice e che pur riguardavano lo Z.. Con la settima doglianza veniva censurata la motivazione nella parte in cui concerne le indicazioni offerte dal B. in relazione alle riunioni cui sarebbe stato presente lo Z.. Mentre in un primo momento il collaborante aveva parlato di una sola riunione, solo successivamente ha ricordato di un secondo incontro uniformandosi alle dichiarazioni di D.L.. Sul punto la sentenza è mancante di motivazione ed è contraddittoria essendosi limitata ad asserire che il collaborante si era in realtà limitato a fornire la stessa versione.

17 – Con memoria difensiva, ai sensi dell’art. 611 c.p.p., depositata in cancelleria in data 12 gennaio 2011, l’avv. Raffaele Quaranta e l’avv. Michele Cerabona per M.G. hanno ripreso e approfondito le doglianze già espresse in ricorso, insistendo per l’accoglimento delle medesime.

Ai sensi dell’art. 123 c.p.p. Z.V. ha presentato altresì dichiarazione datata 26 gennaio 2001, pervenuta in cancelleria via fax, con cui chiedeva di essere giudicato con rito abbreviato.
Motivi della decisione

18 – Tutti i ricorsi sono destituiti di fondamento e vanno rigettati con ogni dovuta conseguenza di legge.

18.1. – Deve premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dai ricorrenti, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, di talchè – sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte – deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile (cfr. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1992, Ballan ed altri e, da ultimo, Sez. 1, ai marzo 1997, Greco ed altri;

Sez. 1, 4 aprile 1997, Proietti ed altri).

Ciò premesso, passando a trattare le specifiche posizioni dei ricorrenti, si osserva:

19 – Il ricorso avanzato da B.A. (a firma dell’avv. Michele Santonastaso) è destituito di fondamento e va rigettato.

19.1 – Il primo motivo di ricorso, in particolare, è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

19.1.1 – Le sollecitazioni difensive mirano per vero più a ottenere una rivalutazione dei dati probatori ampiamente scrutinati dal giudice di merito piuttosto che a censurare vizi di legittimità. La sentenza gravata ha chiarito, con motivazione congrua e logica, come entrambi i collaboratori di giustizia abbiano indicato il ricorrente come partecipante a tutte le fasi dell’episodio delittuoso per cui è giudizio, vuoi cioè per la parte più propriamente deliberativa del duplice omicidio vuoi per quella attuativa, nonchè infine per quella successiva (perchè afferente all’occultamento dei cadaveri) finendo per ricoprire complessivamente un ruolo determinante nella vicenda.

La specifica discrasia individuata in gravame attiene peraltro a un profilo smentito dalle risultanze probatorie come evidenziato dal giudice di merito.

19.2 – Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato. Il principio di diritto applicato dal giudice di merito in giudizio è che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, rese nelle forme della chiamata in correità, soprattutto se dirette ad assumersi la responsabilità per gravi delitti e rese, come accaduto nella vicenda che ci occupa, da soggetti intrinsecamente radicati nell’organizzazione di riferimento facente capo a B. F. ( B.D. è tra l’altro cugino diretto da parte paterna, come precisato nella sentenza della Corte di secondo grado) sono di per sè idonee a costituire reciproco riscontro a seguito di specifica e approfondita valutazione (Cass., Sez. 1, 21 novembre 2006 n. 1560, P.G. in proc. Missi, rv. 235801). Secondo tale meccanismo di valutazione probatoria le dichiarazioni dei collaboratori devono essere esaminate congiuntamente in relazione al loro complessivo contenuto di fatto convergente che esprimono e sottoposte a vaglio critico, sicchè le eventuali smagliature e discrasie, anche di un certo rilievo, rilevabili nelle dichiarazioni accusatorie rese, sia al loro interno, sia nel confronto tra esse, non implicano, di per sè, il venir meno della loro affidabilità quando, sulla base di adeguata motivazione, risulti dimostrata la loro complessiva convergenza sui nuclei fondamentali del giudizio (Cass., Sez. 1,18 settembre 2008 n. 42990, rv. 241821, Montalto e altri; Sez. 2, 4 marzo 2008 n. 13473, rv. 239744, Lucchese e altro).

19.2.1 – L’adeguata motivazione sul punto non è venuta a mancare avendo il giudice di merito fornito esaustiva e congrua motivazione, in particolare nella indicazione della piena coerenza logica del racconto concernente l’episodio delittuoso e dei riscontri oggettivi quali, tra gli altri: il fatto che in data (OMISSIS) P. G. e G.D. si siano allontanati da casa a bordo di una Mercedes 190 e non vi abbiano più fatto ritorno; la circostanza che D.G., persona presso la quale S.W. ebbe a procurarsi il furgone Ford Transit su cui furono poi caricati i cadaveri, effettivamente esercitava attività di distribuzione di prodotti di macelleria avvalendosi di un mezzo di trasporto chiuso;

la circostanza che L.P. abbia imprestato un carrellino con cui fu trainata la Mercedes del P., dopo il fatto di sangue;

il fatto che l’auto in questione fosse stata consegnata a C. F. perchè la incendiasse, tant’è che I.T. ne prelevò i resti avendo un deposito di ferrovecchio.

19.2.2 – Esauriente e non contraddittorio è altresì il riferimento in motivazione al decorso del tempo dal fatto in relazione alla capacità mnemonica dei propalanti e alla circostanza di essere stati questi protagonisti di (numerosi) analoghi fatti criminosi onde giustificare le inesattezze concernenti comunque fatti marginali e non il focus del ricordo attinente alla vicenda in sè nei tratti più salienti e rilevanti.

19.2.3 – Tra le questioni non inficianti l’attendibilità intrinseca dei collaboratori di giustizia, contrariamente a quanto sostenuto in gravame, vi è sicuramente la mancata individuazione del luogo dell’occultamento dei cadaveri ovvero la mancata individuazione della provenienza del danaro estorsivo, carenze che il giudice della cognizione ha giustificato in modo coerente e logico vuoi a causa dell’antropizzazione successiva dei luoghi di nascondimento dei corpi (del tutto plausibile a distanza di tredici anni dal duplice omicidio), vuoi per l’ampiezza del territorio di riferimento che rendeva complessa una indagine sugli edifici in costruzione cui le tangenti potevano riferirsi, vuoi infine per le scarse indicazioni fornite dai pentiti medesimi. Questi ultimi per vero, come implicitamente fatto valere dal giudice della cognizione, non erano interessati in allora alla conoscenza approfondita di dove provenisse il danaro della maxitangente, giusta la considerazione che non fossero coinvolti nè nella riscossione nè nella successiva spartizione.

Inoltre va osservato, per ciò che peculiarmente afferisce il luogo di occultamento dei cadaveri (ma l’argomentazione può essere piegata anche a chiarire la mancata individuazione dell’impresa che aveva pagato la maxi tangente) i pentiti non hanno affatto omesso l’indicazione dello specifico luogo di seppellimento, che per contro coincide nelle due propalazioni, ma hanno segnalato un posto che, per la sopravvenuta forte urbanizzazione della zona, non ha consentito il reperimento dei cadaveri. In altre parole, così come ha fatto intendere il giudice del merito, il mancato recupero dei corpi (così come la mancata individuazione della impresa costruttrice per ciò che concerne la tangente) non è dipeso da un difetto informativo dei pentiti, ma da un deficit oggettivo (il mutamento dei luoghi ovvero la vastità de territorio indicato) sicchè nessun riverbero può esservi sulla loro credibilità intrinseca.

19.2.4 – Parimenti non rilevante è la non precisa sovrapponibilità tra le dichiarazioni del D. e del B. in relazione ai vari incontri con il M. avendo chiarito il giudice della cognizione che le discrasie ben potevano essere spiegate con il fatto che detti incontri erano stati plurimi e che fosse il D. e non il B. a curare in via di principalità i rapporti con il M., sicchè ben poteva il primo non rammentare la presenza del secondo (che non aveva avuto un ruolo specifico in quell’episodio) da quest’ultimo invece affermata.

20 – Il ricorso avanzato da D.G. (a firma dell’avv. Paolo Caterino) è destituito di fondamento e va rigettato.

20.1 – Il primo motivo di ricorso, in particolare, non è fondato e deve essere respinto. In relazione alla violazione dei canoni valutativi delle propalazioni dei collaboratori di giustizia D. e B., si richiamano qui le superiori argomentazioni svolte al paragrafo 19,2, mentre in relazione agli omessi riscontri in tema di mancata individuazione del luogo di occultamento dei cadaveri o dell’impresa che aveva versato la tangente al clan Mallardo, antecedente cronologico dei fatti, si rinvia al precedente paragrafo 19.2.3. 20.1.1 – Ciò posto, si rileva che la sentenza gravata è stata esplicita nell’individuare, anche e soprattutto nel D., l’accusatore del prefato (in aggiunta al B., contrariamente a quanto assunto in gravame, che ritiene propalante solo quest’ultimo) indicandolo come diretto compartecipe sia alla fase organizzativa del reperimento di un luogo idoneo per l’occultamento delle persone uccise – e questo prima ancora che P. e G. fossero strangolati – sia durante la specifica fase dello omicidio oltre che, poi, in quella dell’effettivo occultamento dei cadaveri.

20.1.2 – Di poco momento è invece la censura inerente al fatto che l’estraneità del prefato deriverebbe dalla circostanza che lo stesso all’epoca dei fatti era sottoposto a misura di prevenzione sicchè l’applicazione della medesima non era di per sè compatibile con i movimenti attribuiti al ricorrente dai pentiti. Sul punto specifico per vero il giudice di merito rammenta non essere affatto infrequente, secondo quanto l’esperienza giudiziaria insegna, che un soggetto sottoposto a detta misura possa compiere atti di aperta violazione (commettendoli anzi nella previsione di poter poi nascondersi dietro la vigenza della medesima) non impedendo del resto tale misura, neppure fisicamente, i movimenti del soggetto stesso.

20.1.3 – Inammissibili sono inoltre le censure che attengono alla non attendibilità dei collaboratori per il fatto che, in forza dell’accordo intervenuto con i R., il Q. non sia stato ucciso, mentre lo fu P.G. anzichè P.. La sentenza da infatti ampiamente conto del fatto che entrambi i collaboratori hanno chiarito la complessa vicenda, a partire dall’iniziale volontà del M. di eliminare P.P., dal successivo diniego collaborativo di B.W. a tale eliminazione, per passare attraverso all’intervenuto accordo con i R. (interessato a ciò dall’amico M. perchè ammorbidisse il B. W. invogliandolo con una proposta alettante) e al patto di scambio delle persone da uccidere (il Q. per il P. P.).

I collaboranti hanno anche precisato come tale accordo, nella sua progressione attuativa, abbia subito delle variazioni per essere stato il Q. avvertito da R.S. dell’accordo maturato a suo danno e per aver il P.P. inviato in sua vece (una volta declinato l’invito fattogli dal D. di recarsi a casa sua per la riscossione della rata) lo zio G., "colpo di scena" che aveva costretto il clan dei casalesi a rivedere il proprio piano. Fu quindi su P.G. che, sempre secondo la ricostruzione operata dai propalanti, si incentrò la successiva attenzione dei casalesi che decisero, con il consenso del M. e dei R., di eliminare P.G. in sostituzione del P. anche, perchè si riteneva che, eliminato G., "braccio armato" del nipote, il potere di G. avrebbe subito un serio ridimensionamento.

20.1.4 – Prive di fondamento sono anche le censure che attengono alle rilevate discrasie dei collaboranti in relazione alla presenza del D. in sede di verifica da parte dell’emissario dei R. circa l’identità dei cadaveri. Per vero la Corte territoriale ricorda, motivando in modo logico, che il D. non era presente a tale specifica circostanza sicchè è plausibile che non ne avesse serbata specifica memoria.

20.1.5 – In merito alle censure d’ordine motivazionale relative ai contributi probatori degli altri propalanti si osserva che le stesse sono generiche e pertanto inammissibili. La sentenza, con argomentazioni che sebbene essenziali sono da ritenersi tuttavia sufficienti e congrue, evidenzia il contenuto dichiarativo de relato di tali contributi che, in quanto indiretto, si è rivelato non solo disorganico e lacunoso (tanto che tutti i dichiaranti hanno riconosciuto di non essere in grado di fornire un quadro ricostruttivo appropriato del fatto) ma anche non preciso e inaffidabile e dunque non incidente sul contesto di prova aliunde raccolto.

20.1.6 – In relazione poi alle dichiarazioni del propalante P. che ha indicato nel D.L. il vero mandante dell’omicidio P., è appena il caso di osservare come ciò non inficia affatto il contributo dichiarativo dei collaboranti essendo emerso in causa che in realtà P.P. fosse un personaggio scomodo per diverse fazioni criminali operanti sul territorio, tra cui (e lo afferma anche il D.) vi era anche il clan Di Lauro, interessato parimenti alla eliminazione del P., giuste le interferenze avute con tale soggetto.

20.2 – Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato. La Corte territoriale ha chiarito come le prove raccolte impediscano di limitare la responsabilità del D. al solo reato di occultamento di cadavere, ai sensi dell’art. 412 c.p..

L’istruttoria svolta ha infatti evidenziato la partecipazione del prefato anche alla fase preparatoria del duplice delitto e alla concreta eliminazione delle due vittime, come argomentato nel precedente paragrafo.

20.3 – Parimenti il terzo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato. Ancorchè stringata, la motivazione del giudice del merito in punto di esclusione della minima partecipazione e di un’attenuazione del trattamento sanzionatorio è da ritenersi sufficiente. Vengono per vero richiamati il ruolo preminente dell’imputato nella vicenda e la personalità criminale dello stesso quale evidenziatasi nella vicenda.

21 – Il ricorso avanzato da C.S. (a firma dell’avv. Alfonso Baldascino) è destituito di fondamento e va rigettato.

21.1 – Il primo motivo di ricorso non è fondato e deve essere respinto. In relazione all’attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori di giustizia questa Corte di legittimità si è già più sopra espressa al paragrafo 19.2. 21.1.1 – E’ appena il caso qui di rilevare che non inficia in alcun modo l’attendibilità di un dichiarante il fatto che le sue propalazioni siano state dallo stesso integrate in un secondo momento, in particolare in dibattimento, non solo perchè spesso vi è una progressione della prova dichiarativa soprattutto quando la ricostruzione risulta complessa come nella vicenda per cui è causa e per di più per fatti commessi in un tempo molto risalente, ma anche perchè è proprio il dibattimento la sede preposta per la formazione della prova, ove la memoria viene sollecitata anche in forza del contraddittorio delle parti. Inoltre ciò che può vanificare la valenza probatoria di una propalazione è la sua contraddittorietà interna, l’illogicità incompatibile con il dichiarato pregresso e non certo il successivo apporto narrativo che si risolva in una integrazione chiarificatrice di quanto già affermato con un approfondimento coerente del contributo originario ovvero con un suo ampliamento.

21.1.2 – Parimenti del tutto infondate sono le doglianze che attengono alla pretesa non spontaneità e mancanza di autonomia delle propalazioni del B. per aver lo stesso prima ascoltato in dibattimento la deposizione del D. e quindi, secondo la tesi difensiva, per aver successivamente "aggiustato" la propria versione su quella già ascoltata. Trattasi per la verità di mere congetture e valutazioni di merito improponibili in questa sede di legittimità.

Non basta per vero la mera successione cronologica delle propalazioni dei collaboratori di giustizia per ritenere, sol per questo, sussistente una mancanza di autonomia del successivo contributo e men che meno la carenza di spontaneità o di genuinità della propalazione essendo anzi ben più sospetta la subitanea duplice collaborazione di due diversi pentiti potendosi temere infatti per un reciproco inquinamento dei relativi contributi e l’intervenuto accordo sul contenuto della collaborazione stessa.

La falsità e la compiacenza delle propalazioni del pentito "ritardatorio" possono essere inficiate allora solo su elementi di prova certi che non solo la difesa non indica se non in modo del tutto generico e ipotetico, ma che per contro la Corte territoriale ha nella fattispecie escluso, giusta l’argomentata non sovrapponibilità delle due collaborazioni, che si diversificano infatti su diversi punti marginali e non significativi a giustificazione della diversa soggettiva apprensione dei dati da narrare e della mancanza di dipendenza di una narrazione dall’altra, mutualità peraltro che non sarebbe stata neppure in astratto necessaria o indispensabile vista la posizione preminente rivestita all’interno del clan dal B.D. e la sua partecipazione diretta ai fatti narrati.

E’ appena il caso poi di rammentare che questa Suprema Corte ha avuto modo di ritenere che sono finanche utilizzabili, se rese in dibattimento, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia quando abbia avuto contatti con altri collaboratori (Cass., Sez. 1, 23 aprile 2010, n. 16775, Cantiello e altri, rv. 246933) posto che tale fatto, ancora una volta, non pregiudica necessariamente il suo contributo dichiarativo non vanificandone la genuinità.

E’ appena il caso peraltro di osservare che il ricorrente lamenta la derivazione della versione del B. da quella di D. L., per poi denunciare l’esistenza di discrasie che proverebbero il contrario. Non è chi non veda che ricalcare ciecamente il dictum di altra persona porti inevitabilmente alla sovrapponibilità stereotipata dei due narrati e non alla creazione di differenze ricostruttive che sono per contro normali e finanche attese in presenza di una pluralità di collaboratori propalanti e per di più a causa, come argomentato esaustivamente il giudice, del tempo decorso e della imprecisione del ricordo tipicamente umana.

Per ciò che specificatamente attiene il C., il giudice del merito ha evidenziato come entrambi i collaboratori di giustizia abbiano indicato il prevenuto come compartecipe non solo alla fase organizzativa del delitto (quella rappresentata dagli incontri del D. con il B. con riferimento al colloquio avuto con il M., ma anche dell’incontro con S.W. cui fu partecipata l’intenzione del M. di incontrare "(OMISSIS)") ma anche a quella della esecuzione del duplice delitto. E’ stato per vero ricordata la sua presenza in casa di D.L. al momento del duplice assassinio (quando estrasse la pistola temendo una reazione in extremis del P. appena strangolato) e per l’attività di "scorta" ai cadaveri trasportati sul furgone guidato dal D. e ancora per il seppellimento dei cadaveri stessi, previa esplosione in testa di un colpo d’arma da fuoco, per entrambi, a mò di viatico.

A parte le ininfluenti differenze tra l’una e l’altra propalazione (dei collaboratori di giustizia) la sentenza gravata fa emergere in modo chiaro e argomentato il focus della prova di responsabilità, vale a dire l’intraneità del soggetto (qui ricorrente) nella vicenda di causa e il compimento da parte sua di atti causali significativi nella determinazione dell’evento criminoso. Le doglianze difensive, peraltro esaustivamente già confutate nella decisione impugnata, si risolvono in una richiesta di rilettura del dato probatorio realizzando un’operazione concettuale inammissibile in questa sede.

21.1.3 – Per le censure che attengono al mancato esame degli altri collaboratori di giustizia, sempre in merito alla posizione del C., si richiamano infine le argomentazioni già espresse al paragrafo 20.1.5. 22 – Il ricorso avanzato da C.G. (a firma dell’avv. Emilio Martino e Luigi Monaco) è destituito di fondamento e va rigettato.

22.1 – Il primo motivo di ricorso, in particolare, non è fondato e deve essere respinto. Con la iniziale censura si deduce la nullità della sentenza di primo grado per violazione dell’art. 37 c.p.p., comma 2 e art. 178 c.p.p., lett. a), essendo stata pronunciata la medesima, prima dell’esito del ricorso per cassazione contro l’ordinanza di inammissibilità (emessa il 15 luglio 2008 dalla Corte di Appello di Napoli) della dichiarazione di ricusazione del giudice di primo grado.

22.1.2 – Sulla specifica eccezione si sono recentemente pronunciate le sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza 27 gennaio 2011 (ric. Tanzi, motivazione non ancora depositata) che, al quesito se sia affetta da nullità la decisione che definisce il procedimento, assunta dal giudice nei cui confronti è stata proposta ricusazione poi dichiarata inammissibile o infondata dall’organo competente, ha dato risposta negativa.

22.1.3 – In merito alla problematica agitata in ricorso vi era per vero oscillazione di opinione nelle decisioni di questa Corte di legittimità. Vi era infatti innanzitutto una pronuncia (favorevole all’eccezione avanzata dalla difesa) che argomentava che, nel caso di declaratoria di inammissibilità della dichiarazione di ricusazione pronunciata "de plano" ai sensi dell’art. 41 c.p.p. sarebbe inibito al giudice ricusato di pronunciare sentenza, operando la regola generale dell’effetto sospensivo dell’impugnazione – art. 588 c.p.p., comma 1 – che troverebbe deroga solo nelle ipotesi di decisione sul merito della ricusazione previste dall’art. 41, comma 3, in virtù dell’espresso richiamo all’art. 127 c.p.p., il quale esplicitamente prescrive che il ricorso per cassazione non sospende la esecuzione della ordinanza (Cass., Sez. 3,4 ottobre 2001, n. 40511, Martinenghi I., rv. 220303).

A fronte di questa impostazione si era tuttavia formato un più consistente indirizzo giurisprudenziale (tra l’altro Cass., Sez. 1, 31 gennaio 2007, n. 14852, Piras e altri, rv. 237358) secondo cui la decisione emessa in violazione del divieto di partecipazione al giudizio del giudice ricusato fino a che l’istanza di ricusazione non sia stata dichiarata inammissibile o rigettata è nulla solo nel caso in cui la dichiarazione di ricusazione sia accolta, mentre conserva piena validità tutte le volte che la ricusazione sia dichiarata inammissibile o sia rigettata. Il predetto divieto integra, infatti, un temporaneo difetto di potere giurisdizionale, limitato alla possibilità di pronunciare il provvedimento conclusivo e condizionato all’accoglimento o rigetto della dichiarazione di ricusazione, con la conseguenza che la valutazione di validità o meno della decisione irritualmente adottata avviene secundum eventum (v. Cass., Sez. 6 n. 275 del 2000, rv. 215592; Cass., Sez. 1,11 dicembre 1990, n. 4533, De Tommasi, rv. 186849; Sez. 1, 1 giugno 1998, n. 7082, Gallo ed altro rv. 210726; Sez. 4, 22 ottobre 2002, n. 1019, Magri, rv. 223425.).

Ed invero non sarebbe da ritenersi nulla neppure la sentenza emessa in violazione del divieto, previsto dall’art. 37 c.p.p., comma secondo, che inibisce al giudice di definire il giudizio finchè non sia intervenuta l’ordinanza che decide sulla ricusazione, poichè la nullità può sopravvenire soltanto nel caso in cui la dichiarazione di ricusazione sia accolta e non anche quando sia dichiarata inammissibile o sia rigettata. Non si comprende infatti quale potrebbe essere la rado della disposizione citata se potesse condurre ad inibire la decisione nel caso di declaratoria di inammissibilità della ordinanza di ricusazione per assoluta infondatezza e pretestuosità della stessa, già intervenuta al momento della pronuncia della sentenza ed invece consentire l’esito del giudizio nel caso in cui il rigetto della istanza di ricusazione rivela una maggiore consistenza degli elementi portati a sostegno della ricusazione del giudice.

Al di là dell’argomento testuale ex art. 127 c.p.p., comma 8, per cui, in caso di ordinanza resa a seguito di camera di consiglio partecipata, all’esito della quale il ricorso venga rigettata, il ricorso non sospende la esecuzione dell’ordinanza, vi è un altro ben più pregnante argomento ugualmente testuale che si ricava dall’art. 41 c.p.p., comma 2, che è appositamente previsto proprio per la ricusazione, per cui, se la dichiarazione di ricusazione deve essere dichiarata inammissibile, non vi è alcuna sospensione della attività processuale, altrimenti il giudice della ricusazione può disporre che la attività processuale venga sospesa. Il che comporta che, se nel caso di prevista inammissibilità, il giudice della ricusazione non ha neppure il potere di sospendere la attività processuale in via provvisoria, non si vede come il ricorso contro il provvedimento decisorio di inammissibilità potrebbe avere effetto automaticamente sospensivo.

22.1.4 – In questo contesto, come si è accennato, la Sezioni unite di questa Corte di legittimità hanno confermato l’orientamento consolidato conseguendone, stante che il ricorso per cassazione presentato contro la declaratoria di inammissibilità della ricusazione del giudice di primo grado, adottato dalla Corte di Appello di Napoli con ordinanza in data 7 maggio 2004, è stato nella specie rigettato con sentenza di questa Corte, la valutazione di validità (o meno) della sentenza di primo grado, da eseguirsi secundum eventum.

22.2 – Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato.

22.2.1 – E’ manifestamente infondata la proposta questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a svolgere le funzioni di giudice del merito da parte di chi abbia, nel medesimo procedimento, espletato attività di componente del tribunale del riesame, in quanto, in sede di valutazione, peraltro allo stato degli atti, degli indizi di colpevolezza, non viene espresso alcun giudizio decisorio. E invero, l’anzidetta norma processuale mira a garantire la distinzione delle funzioni giudicanti tra giudici della fase cautelare (Giudice delle indagini preliminari e Tribunale del riesame) da un lato e giudici della fase decisoria (Giudice della Udienza preliminare e giudice del dibattimento) dall’altro, stabilendo l’incompatibilità dello svolgimento delle funzioni di giudice nella fase preliminare e in quella decisoria (Cass., Sez. 5,26 marzo 2003, n. 24920, Femiani, rv.

225944).

22.1.3 – Sul punto si è espressa anche la Corte Costituzionale con sentenza 123/04 (mass. n. 28436) decidendo per la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p., comma 2 sollevato in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., poichè l’ipotesi di incompatibilità del giudice ricorre solo qualora le precedenti valutazioni anche di merito siano state compiute in fasi diverse del procedimento e non nel corso della medesima fase.

Più di recente si è pronunciata questa stessa Corte di legittimità ritenendo non essere incompatibile allo svolgimento delle funzione di giudice dell’udienza preliminare il magistrato che, successivamente alla presentazione della richiesta di rinvio a giudizio, abbia emesso un’ordinanza cautelare nei confronti dell’imputato e ciò perchè detta ordinanza è stata assunta nella stessa fase riservata all’esercizio delle funzioni di giudice dell’udienza preliminare (Cass., Sez. 2,22 ottobre 2008,41913, Violento, rv 242410).

22.1.4 – Nè vi è motivo di ritenere che questo orientamento debba essere cambiato dopo l’introduzione del giusto processo, come deduce il ricorrente, ovvero con la modifica dell’art. 273 c.p.p. là dove è stato aggiunto il comma 1 bis ovvero con l’abolizione della relazione introduttiva del Pubblico Ministero (con la L. n. 475 del 1999) atteso che non vi è alcun condizionamento da parte del giudice dibattimentale che ha esaminato la posizione dell’indagato in fase cautelare non investendo il suo scrutinio il merito della responsabilità e non implicando il suo giudizio "valutazioni contenutistiche della consistenza dell’ipotesi accusatoria" (sentenza n. 177 del 10 maggio 2010 della Corte Costituzionale), bensì vertendo perspicuamente sulla sussistenza delle condizioni per il mantenimento o meno di un provvedimento restrittivo cautelare di per sè transitorio nell’ottica della sussistenza delle esigenze ex art. 273 c.p.p..

La decisione di mantenimento del vincolo restrittivo, in forza del principio di formazione dibattimentale (e orale) della prova, non costituisce alcun supporto neppure indiziario per il successivo giudizio di responsabilità (il carteggio del giudizio cautelare rimane infatti nel fascicolo del Pubblico Ministero e non può essere travasato in quello del dibattimento) nè tantomeno costituisce antecedente logico alla formulazione del giudizio decisorio che si profila quindi del tutto scollegato dalla fase cautelare personale.

Diversamente accade per il giudizio abbreviato (dove il carteggio del giudizio cautelare potrebbe essere usato a fini derisori), ma trattasi con evidenza di un giudizio speciale a scelta dell’imputato, sicchè quest’ultimo si trova nella piena condizione di poter liberamente valutare, nell’ambito della propria strategia processuale, la convenienza di accedere a tale ultima opzione.

22.3 – Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione.

22.3.1 – La Corte territoriale ha chiarito che la lettura del processo verbale di udienza del dibattimento di primo grado non lasciava dubbi interpretativi in merito alle ragioni per le quali il giudice di primo grado si fosse ritirato a decidere. Nulla era stato per vero precisato a verbale in merito al fatto che il Collegio si fosse ritirato solo per scrutinare la richiesta di rinvio formulata da un difensore. In assenza di istanze, diverse e ulteriori, avanzate dalle parti processuali presenti (relative alla possibilità cioè di dichiarazioni spontanee da parte degli imputati, peraltro mai rese neppure in secondo grado) giusta la fase in cui il dibattimento era giunto (avevano già parlato tutte le parti e si era in esito alla discussione dibattimentale) il giudice era legittimato a poter decidere sulla richiesta detta, unitamente al merito, non ostandovi a ciò alcuna norma processuale.

Del resto il tenore dell’art. 523 c.p.p. (che recita: l’imputato ed il difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi, se la domandano) è molto chiaro nel condizionare la facoltà dell’imputato di avere la parola per ultimo, appunto, se lo domanda, circostanza che, come si è visto, non si è in alcun modo verificata (per quanto concerne invece la più specifica posizione di P. S., sullo stesso profilo di censura, si veda a paragrafo 26.1.1). Imputet sibi pertanto se l’imputato, che desiderava fare dichiarazioni spontanee, ha erroneamente ritenuto che il giudice si fosse ritirato solo per decidere su una richiesta di rinvio.

22.4 – Il quarto motivo di ricorso è altresì infondato.

22.4.1 – Con il richiamare quanto già argomentato al paragrafo 20.1.2, a proposito di analoga doglianza, va osservato che è da ritenersi corretta la decisione del giudice di merito in ordine alla negatoria dell’avanzata richiesta di rinnovazione istruttoria. Giova innanzitutto osservare che, per giurisprudenza costante di questa Corte di legittimità, la riapertura dell’istruttoria in appello per l’assunzione di una nuova prova è fatto del tutto eccezionale, previsto dall’art. 603 c.p.p., alla condizione che il giudice ritenga "di non essere in grado di decidere allo stato degli atti". Quindi, solo qualora risulti assolutamente necessario, può assumere ulteriori mezzi istruttori, e ciò anche laddove le parti non abbiano provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito dall’art. 468.

Tuttavia un simile potere, previsto in funzione di riequilibrio per supplire alle carenze probatorie delle parti o del giudizio di prima istanza, è esercitabile solo ove tali carenze possano incidere in modo determinante sulla formazione del convincimento e sul risultato del giudizio (in tal senso v. Cass., Sez. 5, 20 aprile 2001, n. 23436, PM in proc. Tomasella P., rv. 219441; Sez. 2, 27 settembre 1996, n. 6403, Papini, rv. 208009). Il requisito dell’assoluta necessità richiede una valutazione da parte del giudice dell’insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti, ponendosi la riapertura dell’istruttoria, lo si ribadisce, come fatto eccezionale, che dipende dalla valutazione discrezionale del giudicante e che resiste alla censura di illegittimità se congruamente motivato (Cass., Sez. 2,1 dicembre 2005, n. 3458, rv.

233391, Di Gloria Il Grande ed altri).

22.4.1 – Nella fattispecie la prova richiesta in questione non solo si profila irrilevante perchè non esclude in ogni caso che il soggetto, ancorchè sottoposto alla misura in questione abbia potuto violarla (come accaduto in passato, giusti i precedenti specifici in materia) ma è stata avanzata dall’odierno ricorrente (si fa qui riferimento alla dimostrazione circa l’eventuale presenza di un controllo in loco da parte degli organi preposti) non per dare contezza di un fatto assunto come certo ancorchè da provare, bensì solo come meramente teorizzato in via ipotetica. Non è chi non veda che altro sarebbe stato richiedere di dimostrare che il giorno del fatto il C. era stato effettivamente controllato dalle forze dell’ordine in ora e in località incompatibili con la sua presenza in (OMISSIS) (tanto da assurgere la circostanza a vero e proprio alibi) e altro richiedere se caso mai non risultasse una qualche verifica di tal genere, posto che è evidente, in quest’ultima ipotesi, la non necessità dell’assunzione come debitamente fatto valere dal giudice della cognizione.

22.5 – Il quinto motivo di ricorso non è fondato e deve essere respinto. In relazione alle censure in punto di credibilità intrinseca ed estrinseca delle propalazioni dei collaboranti, si richiamano qui le argomentazioni già spese a paragrafo 19.2, mentre in relazione alla pretesa carenza di autonomia si rinvia al paragrafo 21.1.2 ove la questione è stata ampiamente trattata.

22.5.1 – In relazione alle dichiarazioni rese dall’altro collaborante D.B.F. si osserva che è stata corretta ed esaustiva la valutazione del giudice della cognizione che ha assegnato alle stesse autonomo valore di riscontro (nella parte in cui aveva ricevuto dal C., all’interno del carcere di (OMISSIS) ove si trovava ristretto, la confidenza circa la sua partecipazione al duplice omicidio) delle propalazioni dei collaboratori di giustizia D.L. e B.D..

E’ stata inoltre data precisa contezza e giustificazione delle emerse discrasie che peraltro non riguardavano la specifica condotta concorsuale del prefato consentendo così l’applicazione corretta del principio della valutazione frazionata delle dichiarazioni (sul punto, ex pluribus, v. Cass. Sez. 6, 28 aprile 2010, n. 20514, Arman Ahmed e altri, rv. 247346 che ha ritenuto, in tema di valutazione probatoria della chiamata di correo, che l’accertata falsità su di uno specifico fatto narrato non comporta, in modo automatico, l’aprioristica perdita di credibilità di tutto il compendio conoscitivo – narrativo dichiarato dal collaboratore di giustizia, bensì rientra nei compiti del giudice la verifica e la ricerca di un "ragionevole equilibrio di coerenza e qualità", di ciò che viene riferito nel contesto di tutti gli altri fatti narrati, dovendo avere ben presente che la debole valenza di attendibilità soggettiva deve essere compensata con un più elevato e consistente spessore di riscontro, attraverso il necessario minuzioso raffronto di verifiche di credibilità estrinseca). Peraltro le sollecitazioni difensive sul punto non solo sono rivalutative del dato probatorio già sufficientemente scrutinato dal giudice, ma anche generiche e dunque palesemente inammissibili.

22.5.2 – Parimenti del tutto infondata è la pretesa violazione di cui all’art. 522 c.p.p.. Il giudice della cognizione, così come si evince dalla lettura di entrambe le decisioni di merito, ha condannato il prevenuto per la condotta specificatamente contestata ancorchè fosse stata raggiunta la prova di una finanche maggiore responsabilità del soggetto comprendendo altresì la fase deliberativa sicchè, a maggior ragione, poteva reputarsi raggiunta la prova per il minor segmento esecutivo ritenuto. L’una condotta peraltro non esclude l’altra, sicchè rimane non chiara la censura difensiva secondo cui la raggiunta dimostrazione probatoria, anche per il momento decisorio del duplice omicidio, dovrebbe inficiare di credibilità la versione fornita dai propalanti, dal momento peraltro che comunque la condanna è intervenuta nei limiti di quanto contestato.

22.6 – Il sesto motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile. Le censure difensive sono infatti generiche. La confutazione delle argomentazioni espresse in sentenza in ordine ai capi B) e C) non esplicitano le ragioni delle censure facendo mero rinvio ai motivi di appello.

22.7 – Il settimo motivo di ricorso non è fondato e deve essere respinto. Del tutto infondate sono anche le doglianze che attengono alle riconosciute aggravanti.

22.7.1 – Il giudice ha esaurientemente scrutinato le condizioni per la sussistenza dell’aggravante della premeditazione avendo fatto riferimento all’apporto contributivo del prefato anche nella fase ideativa/organizzativa del duplice omicidio in un lasso di tempo cioè sufficiente all’imputato per riflettere sulla propria decisione e di tenerla ferma nonostante avesse potuto recedervi. Come è giurisprudenza costante di questa Corte, ai fini della configurabilità dell’aggravante della premeditazione, sono infatti necessari due elementi: uno, psicologico, consistente nel perdurare, nell’animo del soggetto, di una risoluzione criminosa ferma ed irrevocabile; l’altro, cronologico, rappresentato dal trascorrere, fra l’insorgenza e l’attuazione di tale proposito, di un intervallo di tempo apprezzabile, in concreto utile e sufficiente a far riflettere il soggetto agente sulla decisione presa consentendo il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 1, 18 dicembre 2008, Antonucci, rv. 241575;

Sez. 1,13 giugno 1997, Ogliari, rv. 208471). Entrambi gli elementi sono stati correttamente individuati dal giudice del merito con argomentazioni congrue e non contraddittorie.

22.7.2 – Parimenti argomentata è la sussistenza dell’aggravante dei futili e abietti motivi. La giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità ha chiarito che, ai fini della sussistenza dell’aggravante dei motivi futili deve intendersi l’antecedente psichico della condotta, ossia l’impulso che ha indotto il soggetto a delinquere, e che il motivo deve qualificarsi futile quando la determinazione delittuosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da poter considerarsi, più che una causa determinante dell’evento, un pretesto o una scusa per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale (Cass., Sez. 1, 8 aprile 2009, Same U Ullah; Sez. 1, 22 maggio 2008, n. 24683, Sez. 1,11 febbraio 2000, Dolce; Sez. 1,19 gennaio 1999, P.M. in proc. Zumbo ed altri; Sez. 6, 3 giugno 1998, Rova). La circostanza aggravante ha, quindi, natura prettamente soggettiva, dovendosene individuare la ragione giustificatrice nel fatto che la futilità del motivo a delinquere è indice univoco di un istinto criminale più spiccato e della più grave pericolosità del soggetto che legittima l’applicazione di un più severo trattamento punitivo (Cass., Sez. 1, 20 ottobre 1997, Trovato).

In applicazione di questi principi la Corte territoriale ha correttamente ritenuto, a prescindere dalla sussistenza o meno delle incertezze sul movente del duplice omicidio, che l’episodio criminoso si inscrivesse pur sempre, a prescindere dalle ragioni ultime del suo scatenarsi (volontà del M. di non condividere con il clan Puca/Verde una cospicua tangente, volontà dei C. di eliminare il P. in cambio della uccisione da parte dei R. dell’acerrimo nemico Q.), nella causale del controllo del territorio e nella spartizione degli illeciti profitti da parte dell’organizzazione criminale di riferimento pienamente riconducibili all’ambito dell’aggravante in parola.

22.7.3 – La sentenza inoltre giustifica esaustivamente la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 4 (l’aver adoperato sevizie o l’aver agito con crudeltà verso le persone). Secondo la costante giurisprudenza di questo Supremo Collegio la circostanza aggravante di avere adoperato sevizie e di avere agito con crudeltà verso le persone ricorre quando le modalità della condotta rendono obiettivamente evidente la volontà di infliggere alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell’evento e costituiscono un "quid pluris" rispetto all’attività necessaria ai fini della consumazione del reato, rendendo la condotta stessa particolarmente riprovevole per la gratuità e superfluità dei patimenti cagionati alla vittima con un’azione efferata, rivelatrice di un’indole malvagia e priva del più elementare senso d’umana pietà (Cass., Sez. 1, 27 maggio 2008, n. 25276, Potenza e altro, rv.

240908). Le specifiche modalità dello strangolamento, così come raccontate dai collaboratori di giustizia, integrano l’aggravante in parola, posto che, rispetto alla "necessità" di uccidere le vittime, era stato dal gruppo scelta, tra le possibili, una opzione dolorosa e non sollecita di soppressione (tanto da poter permettere a tutti i sodali di poter collaborare a turno al soffocamento) che aveva comportato per le vittime l’inflizione di un surplus di sofferenza durevole non strettamente funzionale al fine omicidiario da perseguire.

Peraltro è il caso ancora qui di sottolineare, a confutazione dell’assunto difensivo, secondo cui l’apporto del C. era stato del tutto marginale, che il collaborante D. ha indicato il prefato non come meramente presente sul luogo del delitto (e dunque come personaggio neutro o passivo) bensì come fattivo partecipante all’azione di strangolamento del P.. Analogo contributo probatorio è stato fornito dal B. che ha ricordato l’episodio in cui egli era stato fermato proprio dal C. mentre stava per sparare alla stessa vittima avendo ritenuto che, nonostante fosse stata già uccisa, si fosse mossa.

22.7.4 – La sussistenza aggravante di cui all’art. 112 c.p., n. 1, (più di cinque persone concorrenti nel reato) è invece, secondo le argomentate determinazioni del giudice di merito, in re ipsa. La ritenuta carenza di consapevolezza da parte del ricorrente, così come formulata in gravame, si scontra con l’evidenza della presenza di un numero considerevole di persone presso la casa del D. per attuare il proposito criminoso, presenza che non poteva che essere evidente al C..

22.7.5 – Motivata è infine l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, essendo stato evidenziato dal giudice del merito lo stretto collegamento del fatto con le finalità camorristiche. La circostanza aggravante in questione si applica per vero a tutti coloro, partecipi o non di qualche sodalizio criminoso, la cui condotta sia riconducibile a una delle due forme in cui può atteggiarsi (aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo) e, per i soggetti partecipi, opera anche con riferimento ai reati-fine dell’associazione (Cass., Sez. 1, 20 dicembre 2004, n. 2612, P.G. in proc. Tomasi ed altri, rv. 23045).

Nella vicenda per cui è giudizio è stato in modo condivisibile evidenziato dal giudice territoriale come il metodo mafioso sia stato rilevabile non tanto e non solo dalla metodica propria del commesso reato, ma anche nel significato che il fatto aveva assunto in relazione alla consorteria criminosa cui si riferisce.

22.8 – L’ottavo motivo di ricorso non è fondato e deve essere respinto. La Corte di merito, lungi dal negare apoditticamente la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle attenuanti generiche ovvero per una qualsivoglia riduzione della pena, ha argomentato il diniego di tali attenuanti e la congruità del trattamento sanzionatorio, da un lato, rilevando l’assenza in atti di un qualsivoglia elemento suscettibile di positiva valutazione a tali fini e, dall’altro lato, sottolineando la valenza ostativa dei plurimi precedenti penali del C. sintomatici di una sua spiccata pericolosità sociale e ciò dopo una attenta analisi delle componenti oggettive e soggettive del fatto e delle sue specifiche modalità. E poichè la statuizione in ordine all’applicazione o meno delle circostanze attenuanti generiche deve fondarsi sulla globale valutazione della gravità del fatto e della capacità a delinquere del colpevole ed è censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi in cui essa appaia frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico, deve convenirsi sulla congruità dell’argomentare del giudice di merito, che è privo di vizi logico-giuridici, in linea con i principi enunciati in materia da questa Corte di legittimità e aderente alle norme di legge.

23 – Il ricorso avanzato da M.G. (a firma dell’avv. Raffaele Quaranta) è destituito di fondamento e va rigettato.

23.1 – Il primo motivo di ricorso, in particolare, non è fondato e deve essere respinto. Sulla specifica questione questa Corte di legittimità ha già argomentato al paragrafo 22.3 cui si rinvia.

23.2 – Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato. In merito alle eccezioni relative alla violazione dei canoni valutativi delle propalazioni dei collaboratori di giustizia D.L. e B.D. si richiamano, per non doverle ripetere a questo punto pedissequamente, le argomentazioni già svolte al paragrafo 19.2 e, quanto alla valutazione di autonomia delle dichiarazioni del B., quelle del paragrafo 21.1.2.

Qui si intende solo aggiungere che non può dedursi la carenza di indipendenza delle propalazioni del collaborante B. per il solo fatto che egli abbia ripetuto la stessa espressione "io mi sento male" riferita dal D. in una precedente deposizione cui il B. ha assistito. E’ evidente che, a prescindere da quanto correttamente argomentato dal giudice di merito circa il ricordo da parte del pentito di una espressione così icastica, va sottolineato che anche se l’utilizzo delle stesse parole fosse avvenuto in via di piena mutualità dalla deposizione D., non sarebbe ancora comunque indice di carenza di genuinità dell’intera collaborazione, ma solo l’adozione di una espressione meramente formale con salvezza del suo contenuto.

In altre parole può ripetersi una espressione già usata da altri perchè rimasta impressa nella memoria per averla sentita da chi l’ha pronunciata in origine ovvero per averla ascolta da chi l’ha ricordata, senza che ciò importi necessariamente anche la falsità del contributo dichiarativo in sè trattandosi di un dato lessicale del tutto neutro e irrilevante, ripetuto solo perchè lo si è sentito dire (per la forza "memetica" che a volte hanno le parole e le frasi che ci colpiscono) in carenza in particolare, come dianzi rimarcato, di altri e più pregnanti elementi di segno opposto che supportino una più seria e concreta accusa di non genuinità. 23.2.1 – Da respingersi è altresì la doglianza che attiene alla inutilizzabilità delle dichiarazioni del D. perchè rese oltre i 180 giorni dall’inizio della collaborazione. Le censure sul punto si profilano generiche e sono avversate dal consolidato orientamento di questa Corte di legittimità sul punto che ha avuto modo più volte di ribadire, in diverse pronunce, il principio di diritto secondo cui le disposizioni previste dal D.L. 15 gennaio, n. 8, art. 16 quater, convertito in L. 15 marzo 1991, n. 82, che sanciscono la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaborante decorsi i 180 giorni dalla manifestazione di volontà di collaborare, non si applicano a quelle propalazioni rese come precisazione ed integrazione sollecitate dagli organi inquirenti per chiarimenti ulteriori sugli episodi già riferiti nei termini di legge (come puntualmente accaduto nella fattispecie e come meglio argomentato anche al paragrafo 21.1.1), purchè non portino alla individuazione di episodi criminosi nuovi e diversi o di ulteriori soggetti responsabili degli episodi già denunciati (Cass., Sez. 1, 8 marzo 2007, n. 13697, Torni e altri, rv. 236363; Sez. 2, 3 dicembre 2002, n. 2964, Mazza C, rv. 223480. Sulla stessa problematica v. anche Cass., Sez. 5, 25 settembre 2006, n. 506, Genovese e altri, rv.

235806, che ha chiarito come la previsione del divieto di valutazione a fini probatori delle dichiarazioni che il collaboratore di giustizia ha reso oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare, ha riguardo agli eventuali fatti nuovi o alle nuove incolpazioni che emergano da dette dichiarazioni e non anche alle precisazioni e alle integrazioni dirette a chiarire e meglio illustrare quanto già riferito tempestivamente).

23.2.2 – Le propalazioni dibattimentali del D. si inscrivono dunque in questa logica integrativa, non apportando un nuovo contributo su fatti diversi e su incolpazioni differenti. Peraltro, a ben vedere, il D. in dibattimento, secondo lo stesso ricorrente, avrebbe svolto nei confronti del M. un’operazione del tutto opposta, provvedendo a discolparlo, sicchè la richiesta di invalidazione comporterebbe effetti (contraddittoriamente) controproducenti.

23.2.3 – Del tutto privo di fondamento è il rilievo difensivo secondo cui il D., all’udienza del 12 maggio 2005, avrebbe discolpato il M. avendo professato la sua estraneità. Come ben evidenziato dal giudice di merito, le dichiarazioni del collaborante sulla questione andavano interpretate nel senso che era intervenuto in un primo tempo il diniego dello S. e solo successivamente si era ottenuto il recupero dei "desiderata" del M. grazie all’accordo di scambio con i R.. E l’estraneità del ricorrente non è configurabile, secondo quanto argomentato in modo congruo e logico dal giudice anche territoriale, proprio per l’assenso dato dall’imputato allo scambio di persone da eliminare – vale a dire sia per quanto richiesto dai R. (uccisione da parte loro del Q. in vista della eliminazione da parte del clan dei casalesi di P.P.) sia per quanto imposto dal caso (sostituzione di P.G. per P. P., avendo quest’ultimo declinato l’invito personale) – e per la dazione a D.L. della somma di 50 milioni a titolo di rata sulla maggior somma della quota della tangente percepita onde consentire l’organizzazione della imboscata da organizzarsi a casa del medesimo D..

Se dopo il diniego dello S. la richiesta del M. "morì lì", come affermato dal collaborante, tuttavia la lettura delle carte processuali, spiega il giudice della cognizione, autorizza a ritenere la successiva reviviscenza della volontà del M. alla prosecuzione del suo intento criminoso e non certo la sua estromissione, rimanendo partecipe e moralmente coinvolto nella soppressione di P.G. (e del G.), potendo anzi essere individuato come fautore dell’interessamento dei R. presso i casalesi perchè avanzassero loro la proposta di scambio di favori per la eliminazione del P..

Il giudice di merito non ha pertanto addossato al M. una responsabilità altrui, bensì quella personale dell’odierno ricorrente, in ragione degli elementi di prova raccolti in giudizio.

E’ infine appena il caso di osservare che non rileva, ai fini della responsabilità del M., il fatto che il D. abbia ritenuto di dover negare che il prefato, "alla fine" di "tutta la vicenda" c’entrasse ancora, posta la semplice osservazione che non solo non spetti a un collaborante la formulazione di un qualsivoglia giudizio di colpevolezza su chicchessia (valutazione espressa peraltro con il metro di un intraneo ad una associazione criminale, ancorchè pentito) ma che allo stesso ben potevano sfuggire tutti gli elementi probatori di causa invece a disposizione del giudice in esito all’istruttoria dibattimentale.

23.2.4 – Di poco momento è l’ulteriore rilievo difensivo secondo cui il M. non sarebbe da ritenersi responsabile per il fatto che il suo nome non compare nel manoscritto consegnato al Pubblico Ministero in relazione ai mandanti del fatto omicidiario. Non è chi non veda come solo dal pieno esame del collaborante nel contraddittorio dibattimentale delle parti può esitare la pienezza ed esaustività del contributo probatorio, atteso che solo dalle domande e dalle risposte date in dibattimento può scaturite la complessiva rilevanza del materiale probatorio utile ai fini del giudizio.

23.3 – Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione.

23.3.1 – Le doglianze difensive sono sul punto meramente in fatto e tendono in ogni caso a una rilettura del contesto di prova già vagliato dal giudice di merito in modo congruo e logico. In particolare il giudice ha evidenziato il fatto che i due collaboratori di giustizia ( D.L. e B.D.) abbiamo rammentato che l’antecedente fattuale del duplice omicidio era da ricercarsi nella volontà di eliminazione di un soggetto ( P.P.) ritenuto in conflitto con gli interessi delle cosche gravitanti o influenti sul territorio ( M., P., legato al clan Di Lauro, per citare le più interessate), vuoi per logiche spartizione di tangenti ricavate con metodi estorsivi dal tessuto economico della zona, vuoi per i rapporti di forza in perenne mutamento tra nuovi equilibri e annose vendette. La motivazione sul punto del giudice è ampia ed esaustiva.

23.3.2 – Le censure difensive che lamentano per contro una non sufficiente risposta ai motivi di gravame di appello sono inammissibili per genericità. 23.4 – Il quarto motivo di ricorso è altresì infondato.

23.4.1 – Il riscontro alle dichiarazioni accusatorie di D.L. provengono dalle propalazioni di B.D. che ha ricordato come l’iniziale richiesta di M. di eliminare P. P. aveva preso nuovo vigore dopo gli incontri dello Z. con R.A. e il patto di scambio con quest’ultimo intercorso (la più volte ricordata uccisione di Q. per l’uccisione di P.P.) cui aveva fatto seguito la dazione dei 50 milioni da parte del M. al D. per far funzionare l’imboscata ai danni della vittima. Motivata è altresì l’argomentazione del giudice in relazione al più che probabile assenso del M. al cambio di vittima (essendo stato anzi ipotizzato che vi fosse proprio il M., amico dei R., dietro alla proposta di scambio) ancorchè sul punto il B. nulla abbia riferito, posto che il clan dei casalesi ha agito nel rispetto degli accordi presi con i R., da un lato (che dovevano uccidere Q., loro rivale) e con il M., dall’altro, la collaborazione del quale era del resto necessaria per far funzionare l’imboscata al P. che doveva infatti credere che il M. si era deciso a corrispondere parte della tangente riscossa.

23.4.2 – Ulteriori riscontri al coinvolgimento del M., secondo le ampie e congruenti argomentazioni del giudice del merito, provengono inoltre da altri collaboranti puntualmente menzionati in sentenza, quali il F. che ha riferito del movente economico sottostante (il M. non intendeva spartire la tangente con i P.) e il P. che ha fatto riferimento alla cointeressenza del clan Di Lauro alla eliminazione del P. che operava estorsioni su cantieri controllati dai D.L., mentre B. e D. S. hanno avuto una conoscenza indiretta e sbiadita dell’accaduto sicchè il loro contributo è stato motivatamente ritenuto dalla Corte territoriale insufficiente.

24 – Il ricorso avanzato da M.G. (a firma dell’avv. Michele Cerabona) è destituito di fondamento e va rigettato.

24.1 – Il primo motivo di ricorso non è fondato e deve essere respinto.

24.1.1 – In relazione alle pretese dichiarazioni del D. di estraneità del M. dal duplice omicidio si richiamano le argomentazioni già ampiamente esposte al paragrafo 23.2.3 precisando che le sollecitazioni difensive si risolvono comunque in una inammissibile richiesta rivalutativa dell’analitico scrutinio già operato dal giudice di merito in modo immune da vizi logici e giuridici.

E’ necessario solo qui aggiungere, per completezza, che alcun contrasto determinante è rinvenibile nella deposizione dei due collaboranti D.L. e B.D. in relazione al nucleo del contributo, vale a dire del coinvolgimento del M. nella vicenda nella fase ideativa e organizzativa del fatto. I denunciati contrasti sono stati per vero chiariti dal giudice di merito che ha ben distinto tra aspetti marginali e aspetti determinanti ai fini del giudizio. In particolare il fatto che solo il D. (e non anche il B.D.) abbia riferito dell’incontro con il M. per avere il suo assenso alla sostituzione nell’omicidio di P.P. con P.G. viene spiegato con la circostanza che fosse pacifico che era il D. a tenere i contatti con il M., mentre il B. li intratteneva con lo S.. Del resto B.D. se non parla di tale fatto, come implicitamente fatto valere dal giudice, tuttavia non lo nega. L’assenso del M. per la sostituzione era del resto necessario, come dianzi menzionato (paragrafo 23.4.1), per la logica stessa dell’intervenuto accordo triangolare ( M. – S. – R.) ove ognuno dei protagonisti aveva un suo preciso compito da svolgere (il M. di fornire l’"esca" dei 50 milioni per far cadere il P. nell’imboscata, lo S. di uccidere P. per tener fede all’accordo con i R. e infine i R. di eliminare, per ricambiare il favore fatto loro dai casalesi, il Q.).

24.1.2 – Del resto il D. aveva presso di sè la somma di cinquanta milioni datigli dal M. (secondo quanto riferito da B.D.) perchè fossero consegnati al P. anche quando era intervenuto il cambio di vittima designata, non essendo plausibile, oltretutto, secondo quanto lascia intende il giudice di merito, che i casalesi pensassero di fare un favore al M. uccidendo una persona diversa da quella da quest’ultimo voluta, utilizzando oltretutto quegli stessi soldi che erano stati consegnati per uccidere appunto P.P. e non G..

In altre parole ben potevano i casalesi pensare di poter far credere al M. che avevano acconsentito alla originaria sua richiesta di uccidere la vittima predestinata (pur provvedendo alla eliminazione della stessa in forza del successivo accordo con i R.), in quanto avessero effettivamente ucciso il P. indicato dal M. che non era però G., bensì P.. L’aver ritenuto i casalesi di "fare comunque un favore al M.", assassinando un soggetto diverso da quello voluto dal mandante, implicava allora necessariamente un assenso successivo espresso del mandante medesimo alla "sostituzione" della vittima, senza che questo dovesse comportare, forse, per quanto di conoscenza del B., anche il disvelamento della vera causale dell’omicidio (l’accordo con i R.).

Nè vi è il lamentato contrasto tra le propalazioni dei due dichiaranti in relazione al fatto che sia il D. che il B. hanno dichiarato di aver agito in prima persona presso lo S. in relazione alle richieste del M., posto che il giudice del merito non ha ritenuto rilevante tale discrasia, considerando tali ricostruzioni comunque non inconciliabili tra loro, come non lo sono la conoscenza da parte del B.D. dell’accordo di scambio intervenuto con i R. che non esclude che poi il B. l’abbia saputo anche da altri, tra cui il D., che certamente non poteva per la sua posizione non essere al corrente di tale fatto.

24.1.3 – Dunque nessun difetto di motivazione è riscontrabile in sentenza ex artt. 40 e 110 c.p., posto che la decisione assunta di uccidere P.G., secondo le argomentate motivazioni del giudice della cognizione, non sono riferibili ad altri, bensì (anche) al M. il cui benestare intervenne per il pregiudizio che comunque sarebbe stato arrecato al prestigio di P.P. eliminando il suo "braccio armato". 24.1.4 – Da ritenersi manifestamente infondata infine è la censura di difetto motivazionale del giudice in relazione al contributo dichiarativo del Q. essendosi rivelato quest’ultimo, sotto lo specifico profilo segnalato dal ricorrente, del tutto ininfluente.

25 – Il ricorso avanzato da P.S. (a firma dell’avv. Alfonso Baldascino) è privo di fondamento e va respinto.

25.1 – Il primo motivo di ricorso non è fondato e deve essere respinto. In relazione alla ritenuta violazione dei canoni valutativi ex art. 192 c.p.p. con attinenza ai contributi dichiarativi dei propalanti D. e B. si rinvia a quanto già esposto al paragrafo 19.2. 25.1.1 – Generica e inammissibile è invece la censura ex art. 500 c.p.p., comma 2, posto che non vengono indicati quali processi verbali sarebbero stati utilizzati dal giudice per formulare il giudizio di responsabilità. 25.1.2 – Generica e inammissibile è la doglianza che attiene alla mancata risposta del giudice territoriale in ordine alle censure di appello, quando per contro il giudice di secondo grado da conto delle proprie argomentazioni sul punto.

25.1.3 – Con riferimento alle doglianze che attengono alla pretesa mancanza di autonomia delle propalazioni del B. si rinvia al paragrafo 21.1.2. Sulla denunciata omessa carenza valutativa degli altri collaboratori di giustizia si richiama quanto invece argomentato sub 20.1.5. 25.1.4 – Del tutto priva di fondamento è invece la denunciata illogicità della motivazione che attiene alla documentazione bancaria che comproverebbe, secondo il ricorrente, un’attività non compatibile con un’associazione criminale. A parte la considerazione che una documentazione simile, come sottintende il giudice del merito, a fronte del compendio di prova assunto in questo giudizio, non può provare necessariamente l’estraneità del soggetto dall’associazione criminale di riferimento, bensì tutt’al più la tenuta di un comportamento ambivalente, va altresì osservato che la condanna ex art. 416 bis c.p. per fatti accaduti dieci anni dopo dimostra quanto meno, come ha menzionato il giudice della cognizione, una continuità delinquenziale.

25.1.5 – Ciò posto, sono da ritenersi infondate le censure motivazionali che attengono alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, avendo la sentenza gravata dato ampio e analitico conto sia dell’accusa del D. che di quella del B.. Il D. Indica l’odierno ricorrente, in generale, tra coloro che si erano occupati dell’impresa criminosa e in particolare tra coloro che non solo parteciparono agli incontri deliberativi, ma anche che furono presenti al momento del fatto, convenendo sul luogo del delitto, consapevole di quanto sarebbe ivi accaduto. Tali propalazioni hanno poi trovato riscontro nel contributo dichiarativo del B. che, sebbene in un momento successivo, ha ricordato quanto già narrato dal D. aggiungendo la circostanza peculiare (che confuta ulteriormente l’infondata doglianza di avere il pentito meramente ripetuto la deposizione del D.) di un tentativo di S.W. di sottrarsi dal presenziare personalmente al duplice omicidio, mandando in sua vece i suoi nipoti, S. e P.N., per poi farsi convincere dal B. a intervenire.

26 – Il ricorso avanzato da P.S. (a firma dell’avv. Antonio Abet) e destituito di fondamento e va reietto.

26.1 – Il primo motivo di ricorso, in particolare, non è fondato e deve essere respinto. Si richiamano sul punto quanto dianzi argomentato a paragrafo 22.3. 26.1.1 – Qui si intende aggiungere che in relazione alla richiesta specifica del P., fatta mettere a verbale, di poter rendere dichiarazioni spontanee, deve rilevarsi che, dal tenore del processo verbale allegato al ricorso e qui esaminabile per la natura della censura mossa, è dato evincere che la medesima richiesta è giunta quando il collegio giudicante già si trovava in camera di consiglio per deliberare sia sull’istanza di rinvio che sul merito di causa.

L’affermazione, sempre posta a verbale, che il P. avrebbe potuto rendere dichiarazioni alla Corte territoriale alla ripresa dell’udienza è una mera comunicazione fattagli autonomamente dalla cancelleria (cioè in modo non concordato con il collegio) sull’erroneo convincimento del cancelliere di udienza che la Corte si fosse ritirata solo per decidere sulla richiesta di rinvio.

L’intempestività della richiesta del P. di essere sentito si profila quindi nella fattispecie evidente ed è alla stessa che implicitamente la Corte territoriale fa riferimento nel rigettare la relativa eccezione. Peraltro è appena il caso di rilevare come non sia dato comprendere per quale motivo il giudice sarebbe dovuto uscire della camera di consiglio solo per comunicare al difensore richiedente il rigetto della sua istanza di rinvio, non avendo l’ordinanza in questione alcuna autonomia rispetto alla sentenza definitoria e posto che non vi era alcun altro incombente processuale che dovesse essere espletato (o preannunciato) prima della definitiva camera di consiglio.

26.2 – Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato. In relazione ai pretesi contrasti tra le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ritenuto peraltro che la maggior parte delle sollecitazioni difensive si risolvono in una richiesta rivalutativa del contesto probatorio esaustivamente vagliato dal giudice, si rinvia a quanto affermato al paragrafo sub 19.2 mentre, in merito alla denunciata carenza di autonomia della collaborazione di B.D., a quanto riportato al paragrafo 21.1.2. 26.2.1 – Qui occorre solo aggiungere, con il richiamare ciò che è stato già sviluppato al paragrafo 25.1.5, che sia il D. che il B. fanno riferimento generico, ma tuttavia certo, al ricorrente, in quanto la sua condotta, ancorchè fattiva e concausale, non si era nella vicenda distinta in modo tale da poterla diversamente e con maggior precisione ricordare. Nonostante ciò, entrambi i collaboranti, una volta messo a fuoco il ricordo specificatamente richiesto in relazione al prevenuto, lo hanno coinvolto appieno sin nella fase deliberativa/organizzativa del duplice omicidio (facendo così integrare per il ricorrente l’ipotesi di concorsualità) sia in quella più propriamente esecutiva, ove tutti coloro che erano convenuti a casa del D., tra cui pacificamente vi era il ricorrente, avevano partecipato allo strangolamento, sebbene il P. non avesse avuto un ruolo diverso da quello di mera manovalanza. In altre parole il fatto che nel ricordo dei collaboranti il P.S. non si fosse distinto in qualche modo per la sua normale operatività, certamente non scrimina la sua condotta che è rimasta idonea non solo a contribuire alla determinazione dell’evento, ma anche a rafforzare il proposito criminoso dei sodali compartecipi, secondo le regole proprie del concorso di persona ex art. 110 c.p..

26.2.2 – Parimenti infondata è la doglianza di inattendibilità delle propalazioni dei collaboranti per non aver gli stessi saputo indicare con precisione il luogo di occultamento dei cadaveri. La questione è stata già dibattuta al paragrafo 19.2.3 cui necessariamente si rinvia.

27 – Il ricorso avanzato personalmente da R.A. è destituito di fondamento e va rigettato.

27.1 – Il gravame si connota in verità per una rivisitazione valutativa del compendio di prova già ampiamente esaminato dal giudice di merito. Le doglianze espresse dal ricorrente si limitano infatti a generici rilievi che coinvolgono solo apprezzamenti di fatto, per di più prospettati in termini del tutto assertivi e riproponendo una ricostruzione del fatto del tutto soggettiva. I motivi risultano solo formalmente evocativi dei prospettati vizi di legittimità, ma in concreto articolati esclusivamente sulla base di rilievi di merito, tendenti ad una rivalutazione delle relative statuizioni adottate dalla Corte territoriale. Trattasi di statuizioni, quelle sviluppate dal giudice, che sono state sviluppate sulla base di un esauriente corredo argomentativo, proprio sui punti in relazione ai quali il ricorrente ha svolto le proprie censure, evidentemente tese a un improprio riesame del fatto, estraneo al perimetro entro il quale può svolgersi il sindacato riservato a questa Corte.

27.1.1 – Ciò posto, deve rilevarsi che la sentenza gravata argomenta in modo congruo e logico i profili di responsabilità del ricorrente richiamando le dichiarazioni attendibili del collaborante D. (per la valutazione di attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori di giustizia si rinvia sul punto a quanto più ampiamente sviluppato nel paragrafo 19.2) e in particolare di ciò che il M. ebbe a riferirgli, vale a dire che i R. si erano dichiarati disposti ad assassinare il Q. se fosse stato ucciso, in cambio, P.P., accordo la cui serietà era stata verificata dallo stesso Z. in forza di un suo personale controllo e dei suoi contatti con i R. per conto dei casalesi.

Il medesimo collaborante aveva altresì aggiunto che l’accordo era stato dai R. mantenuto fermo anche quando si dovette cambiare obbiettivo (eliminazione di P.G. in luogo di P. P.): tale assenso per la sostituzione della vittima, ha sottolineato il giudice in sentenza, fu ritenuto determinante per il duplice omicidio. I R. erano inoltre così interessati all’omicidio P., secondo quanto espresso nella decisione gravata elaborando la deposizione del D., da aver inviato un proprio emissario per la verifica dell’identità dei cadaveri, emissario che fu accompagnato sul luogo dell’occultamento dall’altro collaborante B.D. che ha specificatamente confermato il fatto.

Tali propalazioni hanno trovato inoltre preciso riscontro, secondo quanto argomentato dal giudice territoriale, nelle affermazioni di B.D. che ha riferito come S.W. volesse "riaprire" al M., cui era stata in un primo momento negata la richiesta di uccidere il P., posto che R.A., con il quale i contatti, come dianzi ricordato, erano tenuti dallo Z., aveva avanzato la più volte menzionata richiesta di scambio dando poi l’assenso successivo affinchè anzichè P. P. fosse ucciso lo zio di questo.

Inoltre anche B.D. ha ribadito il fatto di aver accompagnato sul luogo dell’occultamento dei cadaveri un inviato dei R., a verifica della esatta esecuzione di quanto oggetto di accordo. L’attendibilità specifica di B.D. è data dalla sua posizione di spicco nel clan dei casalesi e dal fatto di aver parlato direttamente con lo Z. che aveva rapporti privilegiati con i R. e in particolare con R.A..

Analoga conclusione di attendibilità è stata formulata dal giudice territoriale per il D. i cui referenti informativi erano stati M. e lo stesso Z., fonti di per sè autonome e indipendenti da quelle del B.. Il riferimento del D. ai R., al plurale, come correttamente fatto valere dal giudice, coinvolge l’intera posizione apicale del clan, ovverosia sia S. che A..

27.1.2 – La sentenza gravata è anche attenta nel menzionare il contributo degli altri due collaboratori di giustizia: Q. e D.T.. Entrambi erano stati informati dai R. dell’accordo dei casalesi e della successiva eliminazione di P.G.. Il Q. aveva avuto modo anche di incontrare il giovane che era stato inviato dai R. per accertarsi dell’identità delle persone uccise.

27.1.3 – E’ appena il caso di rammentare inoltre, in tema di dichiarazioni de relato dei propalanti, l’orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui non è obbligatoria a norma dell’art. 195 c.p.p., l’escussione della fonte diretta di conoscenza ove questa si identifichi nell’imputato nei cui confronti si procede, data la sostanziale differenza esistente tra l’ipotesi in cui il dichiarante si riferisce a una terza persona informata dei fatti estranea al processo in corso e quella in cui il riferimento sia fatto all’imputato in grado di replicare, nonchè in considerazione della possibilità di ampia difesa garantita all’imputato con la facoltà prevista dall’art. 494 c.p.p. (Cass., Sez. 1,14 luglio 2003, n. 35422, rv. 225782). Ne consegue che dette propalazioni, allorquando rinviino a una fonte rappresentata da un soggetto imputato nel medesimo procedimento, non hanno, solo per questo, una efficacia minore o limitata, giuste le argomentazioni esposte.

28 – Il ricorso avanzato da R.S. (a firma dell’avv. Paolo Trofino) è destituito di fondamento e va rigettato.

28.1 – Il primo motivo di ricorso non è fondato e deve essere respinto. Sulla questione relativa alla eccezione in rito sviluppata in gravame attinente alla violazione delle facoltà di difesa ex artt. 523 e 524 c.p.p. questa Corte di legittimità si è già attardata al paragrafo 22.3. In merito invece alle censure circa il mancato rispetto dei canoni valutativi afferenti alle propalazioni dei pentiti si richiamano le argomentazioni di cui al punto 19.2. 28.1.1 – Ciò posto deve rilevarsi che il ricorso non appare meritevole di accoglimento profilandosi ai limiti dell’inammissibilità, in quanto evidenzia un trasparente intento di veicolare, pur sotto l’egida dei denunciati vizi di legittimità, una ricostruzione alternativa dei fatti in chiave difensiva, basata sulla rivalutazione, non proponibile in questa sede, delle risultanze probatorie già compiutamente esaminate dal giudice di merito e da quest’ultimo ragionevolmente ritenute, nel loro complesso, e idonee a comprovare la ritenuta responsabilità dell’imputato, pur nella ricordata necessità di un loro attento esame critico e di un’approfondita valutazione di attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni dei collaboranti in ottemperanza dei canoni valutativi in subiecta materia dettati dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità. Inoltre il R. avanza doglianze in larga parte già esaminate e confutate nella sentenza impugnata.

28.1.2 – In via specifica, quanto alla posizione del ricorrente, l’apparato logico-argomentativo della sentenza si profila immune da vizi logici e giuridici avendo dato analitico conto della elaborazione delle risultanze processuali. Richiamando qui quanto già esposto nella trattazione del gravame proposto da R. A. (paragrafi 27 e seguenti) si ribadisce il fatto che il giudice territoriale ha correttamente valorizzato le dichiarazioni di D.L. e B.D. per il fatto che gli stessi abbiano evidenziato nella vicenda il ruolo nodale dei R. (di entrambi, per l’apicalità della loro posizione in rapporto al tipo di decisione presa di voler eliminare il P.) poco rilevando che non vi fossero stati contatti personali con i R. stessi, visto che detti contatti erano tenuti, per i casalesi, dallo Z., personaggio di pacifica caratura delinquenziale e di posizione anch’esso verticistica della cosca, che a sua volta informava, tra gli altri, proprio i due collaboranti in questione e il B. in particolare.

In quest’ottica, le propalazioni di Q. e D.T. fungono da ulteriore forte riscontro alle precedenti propalazioni, visto che il Q., che sarebbe dovuto essere l’oggetto del patto di scambio nell’accordo R./ C., fu informato di ciò proprio da R.S., venendo poi a sapere il collaborante, sempre da R.S., con cui aveva una frequentazione quotidiana, della effettiva eliminazione di P.G. oltre che del fatto che vi era stato l’invio di un emissario da parte dei R. per la verifica della identità dei cadaveri. Anche il D. T. conferma il diretto coinvolgimento nella vicenda di entrambi i R. i quali, a suo dire, secondo quanto puntualmente riportato dalla sentenza gravata, lo informarono dei rapporti con i casalesi tramite Z. e C. nonchè della eliminazione del P. e del G..

28.1.3 – Esaustiva è infine la sentenza gravata perchè esamina anche la scarsa portata probatoria dei contributi sul punto del F. e del D. dando atto di essi con motivazione congrua e logica.

29 – Il ricorso avanzato da S.W. e Z.V. (a firma dell’avv. Mauro Valentino) è destituito di fondamento e va rigettato.

29.1 – Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile. In relazione alla eccezionalità della rinnovazione istruttoria in grado di appello si richiamano le considerazioni già sviluppate al paragrafo 22.4. Qui occorre aggiungere che, a comprovazione ulteriore della correttezza del diniego espresso dal giudice di seconde cure, vi è la semplice constatazione che la documentazione richiesta non ha alcuna attinenza probatoria con la vicenda per cui è giudizio ed è richiamata dalla difesa a titolo meramente esemplificativo per la sollecitazione a un più attento vaglio, da parte del giudice, delle propalazioni dei collaboranti. Trattandosi di fatti neppure probatoriamente collegati tra loro, la documentazione da acquisire si rivela pertanto non solo inutile ai fini del decidere ma persino pregiudizievole per la sua potenzialità fuorviante.

29.2 – Anche il secondo motivo di gravame è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

29.2.1 – Si richiamano anche per tale doglianza le argomentazioni già espresse al paragrafo 23.2 e ai rinvii ulteriori nello stesso contenuti. Qui si aggiunga che le censure difensive si risolvono in valutazioni meramente generiche e fattuali non proponibili in questa sede di legittimità in relazione peraltro a una motivazione della sentenza che si profila congrua e non contraddittoria.

29.2.2 – La decisione impugnata infatti non dimentica di valutare, in modo peraltro analitico, le prove a carico di entrambi i ricorrenti esaminando in modo approfondito le dichiarazioni dei due collaboranti ( D.L. e B.D.) che peraltro non formano oggetto di censura specifica in ricorso.

29.2.3 – In relazione invece alla doglianza riguardante la mancata individuazione del luogo di seppellimento dei due cadaveri si rinvia a quanto già espresso al paragrafo sub 19.2.3. 29.3 – Parimenti manifestamente infondato è il terzo motivo di impugnazione.

29.3.1 – Le argomentazioni difensive sul punto sono meramente fattuali e tendono a sovrapporsi a quanto già sufficientemente esplicitato dal giudice di seconde cure in modo coerente e logico e di per ciò solo sottratto al controllo di legittimità. Deve qui rilevarsi che, nell’ambito della malavita organizzata, sono tutt’altro che implausibili o infrequenti, oltre agli attriti tra fazioni all’interno di uno stesso clan, anche capovolgimenti di fronte eclatanti ovvero il formarsi di alleanze trasversali o incrociate, posto che la logica della coesione/contrapposizione tra componenti di una stessa cosca o di gruppi affiliati è spesso meramente economica, di controllo del territorio o di maggior potere di supremazia su questa o quella fazione.

29.3.2 – Si risolve invece in una considerazione meramente fattuale l’affermazione difensiva secondo cui apparterrebbe alla "logica comune, ma prima ancora ad un comportamento istintivo quello secondo il quale un soggetto si ritragga, si defili, si allontani da persone che lo vogliono uccidere". Non è chi non veda come la logica comune, per quanto sopra argomentato, mal si attagli a quella di un’organizzazione criminale del tipo del clan dei casalesi e alla subcultura che gli è propria.

29.4 – Il quarto motivo di ricorso è manifestamente privo di fondatezza e deve essere dichiarato inammissibile.

29.4.1 – Il ricorrente censura il mancato approfondito scrutinio da parte del giudice dell’appello della deposizione D.S., quando per contro l’esame svolto è da ritenersi esaustivo, posto che il contributo di questo propalante, pur non ponendosi in contrasto sui punti nodali con le dichiarazioni dei due pentiti D.L. e B.D. (in particolare in relazione alla conferma circa la sussistenza dell’antecedente logico della necessità del M. di dividere con il clan Puca/Verde una tangente) non è stato tuttavia ritenuto rilevante (probabilmente per la conoscenza indiretta e parziale dei fatti) ai fini del giudizio, giusta le sottolineate genericità e incertezze palesate, a dispetto della posizione apicale del collaborante. Le discrasie quando presenti, ha precisato il giudice in modo argomentato e non contraddittorio, non hanno avuto in ogni caso la forza di intaccare l’accusa del B. sia nei confronti dello S. che dello Z., confermando la ricostruzione complessiva del duplice omicidio.

30 – Il ricorso avanzato da Z.V. (a firma dell’avv. Massimo Biffa) è destituito di fondamento e va rigettato.

30.1 – Il primo motivo di ricorso, in particolare, non è fondato e deve essere respinto.

30.1.1 – In relazione alle censure mosse alla attendibilità dei collaboratori di giustizia D.L. e B.D. si richiamano qui, ancora una volta, le argomentazioni spese al paragrafo 19.2 mentre con riguardo alla denunciata mancanza di autonomia delle dichiarazioni del B. si rinvia al paragrafo 21.1.2 e per quanto invece riguarda l’utilizzo da parte del B. di espressioni analoghe a quelle utilizzate dal D., segno questo di una pretesa carenza di autonomia, si legga quanto riportato al paragrafo 23,2. 30.1.2 – Con riferimento infine alle censure concernenti la mancata valutazione da parte del giudice delle propalazioni del collaborante D.S. si rinvia alle determinazioni più sopra sviluppate al paragrafo 29.4.1 quando è stato trattato del gravame avanzato per S.W. e Z.V. a firma dell’avv. Valentino.

30.2 – Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato.

30.2.1 – Privo di fondamento è la rilevata prima contraddizione (attinente alla spinta utilitaristica del collaborante). Il giudice per vero afferma che il contributo dichiarativo del pentito deve essere sganciato, quanto alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni propalate, dalla scelta utilitaristica dei vantaggi conseguibili dallo stesso collaborante (in termini cioè di determinazione della pena e anche di accesso ai benefici penitenziari) perchè è su questa che la legge premiale conta di far leva nella lotta alla criminalità organizzata. In altre parole il pentito ha interesse, in generale, a collaborare in vista della contropartita promessa dal legislatore. Ma il collaborante ha interesse in concreto a dire comunque la verità, non tanto e non solo perchè essa è la verità, quanto piuttosto per il fatto che correrebbe il rischio di non essere ritenuto attendibile per motivi intrinseci ed estrinseci al narrato (non riuscendo così nell’intento di ottenere l’attesa riduzione di pena) ovvero, una volta ritenuto attendibile, di vedersi revocare i vantaggi conseguiti. Permane in altre parole una valutazione di fondo di egoistica utilità da parte del collaborante dei vantaggi conseguibili e dei rischi da correre durante la collaborazione, che nulla ha però a che vedere con lo scrutinio concreto di credibilità da parte del giudice, a prescindere che il pentito in ultima analisi collabori con la giustizia per una mera spinta utilitaristica ovvero per autentica volontà dissociativa. In questo meccanismo, voluto dalla legge, non vi è alcuna contraddizione.

30.2.2 – Priva di pregio è altresì la seconda censura (che attiene alla denunciata contraddizione in punto di dati mnesici del B.). Con evidenza la Corte territoriale non fa altro che far riferimento agli ordinari meccanismi mnemonici della mente umana secondo cui alcuni ricordi rimangono particolarmente impressi a prescindere dal momento dell’acquisizione, giusto il contesto emotivo di memorizzazione, mentre altri vengono invece rievocati con la metodologia associativa in forza della concatenazione dei dati e a seguito di sollecitazioni verbali. Nessuna contraddizione è quindi ravvisabile sul punto.

30.2.3 – Parimenti del tutto destituito di fondamento è il terzo profilo di illogicità lamentato dal ricorrente. Trattasi di doglianza generica e inammissibile oltre che proposta in difetto dell’onere di autosufficienza del ricorso (si fa riferimento per vero a un atto, la misura coercitiva della libertà personale indicata, che non viene allegato al ricorso, quantomeno nella parte in cui si assume essere stati riportati dati poi riferiti in dibattimento dal collaborante, non consentendo così a questa Corte il richiesto vaglio di legittimità). In ogni caso si richiamano le argomentazioni dianzi espresse in punto di lamentata mancanza di autonomia delle propalazioni del B. (paragrafo 23.2).

30.2.4 – Del tutto infondata è la censura motivazionale che attiene alla deposizione del teste M. che, secondo il ricorrente, non era tenuto a conoscere, nè risultava che conoscesse, la circostanza che sul posto presunto di occultamento dei cadaveri fosse intervenuto un mutamento dello stato dei luoghi. E’ evidente infatti che è del tutto irrilevante che il teste non fosse tenuto a sapere (o non risultasse che sapesse) dell’intervenuto cambiamento dello stato dei luoghi, quando è certo che il medesimo teste ha reso una deposizione in tal senso, sicchè la relativa valutazione probatoria, in carenza di elementi fattuali contrari non assunti in dibattimento e neppure indicati dal ricorrente (che certamente, visto che afferma che la deposizione del teste costituiva un "momento cruciale nella verifica di attendibilità del B.D." ben avrebbe potuto acquisire dati probatori, testimoniali e documentali, che fossero contrari alla risultanza sul punto) non è tangibile in questa sede essendo sorretta da adeguata e congrua motivazione.

30.2.5 – Nessuna illogicità è altresì ravvisabile in relazione alla interpretazione data dal giudice alle dichiarazioni del D. S.. Sulla questione si richiamano le argomentazioni esposte al punto 29.4.1. 30.2.6 – Da respingersi è anche il sesto profilo di censura.

Trattasi per vero di un mero tentativo di ricostruire la vicenda dando una diversa quanto inammissibile rilettura del dato probatorio già esaminato dal giudice che ha ritenuto, con motivazione congrua e logica, non affidabile il contributo dichiarativo del D.S..

30.2.7 – In merito alle censure motivazionali concernenti la denunciata non genuinità delle dichiarazioni del B. si è più sopra ampiamente scritto (paragrafo 21.1.2).

30.2.8 – Infine è appena il caso di sottolineare la irricevibilità della richiesta del ricorrente, formulata con separata istanza, di essere giudicato in questa sede con il rito abbreviato.

31. – Al rigetto dei ricorsi consegue di diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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