Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-01-2011) 08-03-2011, n. 8970 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 13.2.2009 la Corte di Appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania del 22.11.2001, con la quale N.R. era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti all’aggravante contestata, ritenuta l’ipotesi lieve di cui all’art. 609 bis c.p., ultimo comma, alla pena di anni tre di reclusione per il reato di cui all’art. 609 bis e ter c.p., n. 1, di cui al capo a (in esso assorbito il reato di cui al capo b) per aver compiuto atti sessuali in danno della minore A.S..

Ricordava la Corte territoriale che, il giorno del fatto, S. aveva accompagnato la madre al Comune di Agropoli, dove la donna svolgeva attività di pulizia. La bambina aveva iniziato a salire e scendere con l’ascensore ed in una di queste occasioni il N., usciere presso il Comune, era salito insieme a lei dandole un bacio sulla bocca. Il N. aveva, quindi, invitato la piccola ad avvicinarsi ad una scrivania, dove egli era seduto e, dopo averla toccata nella zona vaginale, l’aveva costretta a toccargli con la mano il pene.

Tanto premesso in fatto, riteneva la Corte territoriale che le dichiarazioni della bambina e quelle della madre, che ne aveva ricevuto le confidenze, fossero pienamente attendibili e che nessun dubbio potesse esservi in ordine alla identificazione dell’imputato.

Quanto alla eccezione di inutilizzabilità della consulenza disposta dal P.M., ex art. 359 c.p.p., rilevava la Corte che l’attivazione del meccanismo di cui all’art. 360 c.p.p. costituisce un potere e non un obbligo del P.M., tanto che la consulenza espletata in violazione delle regole previste da tale ultima norma assume valenza ex art. 359 c.p.p.; in ogni caso, la difesa aveva avuto ampiamente la possibilità di contro esaminare il consulente dr.ssa L.M..

2) Ricorre per cassazione N.R., a mezzo del difensore.

Preliminarmente solleva questione di legittimità costituzionale/ per violazione dell’art. 25 Cost., comma 2, dell’art. 609 bis c.p. per indeterminatezza della espressione "Atti sessuali".

Denuncia poi la violazione di legge in relazione all’art. 360 c.p.p., nonchè la mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

Dovendo la consulenza disposta dal P.M. espletarsi su un minore, la cui psiche è soggetta ad un processo evolutivo, si sarebbe dovuto procedere con le forme previste dall’art. 360 c.p.p.. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, la effettuazione di un accertamento tecnico irripetibile senza avviso alla persona sottoposta ad indagini da luogo ad una ipotesi di nullità ex art. 178 c.p.p., lett. c), che impedisce di introdurre surrettiziamente nel processo l’atto nullo attraverso l’esame del consulente. Denuncia, inoltre, la violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., nonchè la mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

Con l’atto di appello erano stati sollevati specifici rilievi in relazione alla ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza di primo grado, evidenziandosi in particolare che: a) essendo le scale impegnate dall’impresa di pulizia, era necessario per raggiungere i piani superiori servirsi necessariamente dell’ascensore; b) essendo in corso le operazioni elettorali, vi era un notevole affollamento al piano terra dove trovavasi la scrivania del N.. Era quindi materialmente impossibile che il ricorrente potesse porre in essere gli atti sessuali contestati. La Corte territoriale ha omesso ogni motivazione sul punto.

E’ pacifico, inoltre, che non fu la piccola ad indicare il nome del molestatore e che ad individuare il prevenuto fu la madre dopo aver appreso i fatti. La Corte, per superare i rilievi della difesa, ricorre ad una vera e propria congettura, assumendo che S. avrebbe potuto apprendere il nome del N. in occasione di una visita del predetto al figlio.

3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

3.1) Va dichiarata, innanzitutto, manifestamente infondata la sollevata questione di costituzionalità.

Questa Corte ha già affermato che "In materia di reati sessuali non è affetta da indeterminatezza la nozione di atti sessuali di cui all’art. 609 bis cod. pen., la quale – interpretata alla luce della libertà sessuale, interesse protetto dalla fattispecie-comprende tutti quegli atti indirizzati verso zone erogene della vittima e quindi anche i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime anche sopra i vestiti, suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale dell’autore" (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 21167 del 25.5.2006).

3.2) Quanto al secondo motivo, venendo denunciata la violazione di norme processuali, il giudice di legittimità è giudice anche del fatto, per cui è consentito l’accesso agli atti. Dai verbali di udienza del giudizio di primo grado non risulta che sia stata sollevata l’eccezione di nullità della consulenza tecnica disposta dal P.M.. La eccezione venne, quindi, proposta per la prima volta con l’atto di appello.

E, secondo la giurisprudenza pacifica di questa Corte, "Qualora il P.M. proceda ad un accertamento tecnico irripetibile senza dare il previsto avviso alla persona indagata ed al suo difensore, non si realizza una ipotesi di inutilizzabilità del mezzo, ma di nullità ai sensi dell’art. 178 cod. proc. pen., comma 1 la quale, non rientrando nel novero di quelle previste dal successivo art. 179 cod. proc. pen. deve essere eccepita prima della deliberazione della sentenza di primo grado" (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 10688 del 15.10.1996).

Che si tratti di una nullità a regime intermedio che andava sollevata nei termini di cui all’art. 180 c.p.p. è stato ulteriormente confermato dalla giurisprudenza più recente (cfr.

Cass. pen. sez. 2 n. 11052 del 23.1.2009, Cass. sez. 3 n. 3908 del 3.12.2009).

Essendo stata tardivamente eccepita solo con i motivi di appello, la eventuale nullità deve comunque ritenersi sanata.

Trattandosi di questione di diritto la motivazione della sentenza di appello va in tal senso corretta.

3.3) Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

I Giudici di merito, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, hanno ritenuto che le dichiarazioni della bambina e quelle della madre fossero pienamente attendibili in ordine al patito abuso sessuale e che non potessero esservi dubbi quanto alla identificazione nell’imputato dell’autore.

E’ pacifico che, nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Allorchè quindi le due sentenze concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella, precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (cfr. ex multis Cass. sez. 1 n. 8868 del 26.6.2000-Sangiorgi).

Già il Tribunale, attraverso un esame dettagliato delle risultanze processuali, aveva rilevato che le dichiarazioni della piccola S. erano state fin dal primo momento lineari, senza contraddizioni ed incertezze, non viziate da spunti accusatori poco credibili o da esagerazioni nei toni. Significativo della spontaneità ed assenza di etero induzioni era, inoltre, il fatto che la testimonianza della minore fosse stata resa attraverso un linguaggio adeguato e conforme al suo sviluppo ed al suo stato socioculturale, e con un vocabolario adeguato alla età. Tutti tali elementi erano indice rassicurante di attendibilità e di trasmissione di dati probatori non alterati da interferenze esterne. Le dichiarazioni della bambina trovavano, inoltre, conforto nella testimonianza della madre e nell’assoluta linearità del comportamento successivo al fatto di entrambi i genitori, i quali, con estrema prudenza, avevano accolto le confidenze della bambina e rivelato assenza di segnali di acredine, rancore o aggressività nei confronti dell’imputato.

La Corte territoriale, nel far propria la motivazione della sentenza di primo grado, ha ritenuto che le censure difensive non fossero idonee a scalfire l’impugnata sentenza ed in particolare la ritenuta piena attendibilità della parte offesa. Sul punto l’indagine di legittimità è circoscritta, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato all’accertamento dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

Esula infatti dai poteri della Corte quello di una "rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e per il ricorrente più adeguata valutazione delle risultanze processuali (Cass. sez. un. n. 06402 del 2.7.1997).

Il ricorrente, peraltro, ripropone le medesime doglianze (già, come si è visto, disattese dai giudici di merito) attraverso una lettura diversa ed a lui più favorevole delle risultanze processuali.

3.4) Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute, in questo grado di giudizio, dalla costituita parte civile, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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