Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-01-2011) 08-03-2011, n. 9074

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. In data 11 giugno 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ex art. 309 c.p.p., confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa confronti di P.V. (n. (OMISSIS)) dal Gip dello stesso tribunale il 21.5.2010, ravvisando a carico dello stesso gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. (capo 1), quale promotore ed organizzatore della ‘ndrina Pesce, operante in Rosarno e zone limitrofe, nonchè al reato di estorsione aggravata (capo 11).

Il tribunale – richiamata la motivazione dell’ordinanza emessa dal Gip – premetteva la già accertata esistenza dell’associazione di stampo mafioso, detta "ndrina Pesce, alla quale partecipavano numerosi componenti dell’omonima famiglia, alleata a quella dei Bellocco con la quale spartiva il controllo del territorio di Rosarno, a loro volta federate con i gruppi Piromallo e Molè.

Ripercorreva, quindi, gli elementi emersi dalle indagini posti a fondamento dell’affermata attuale operatività del sodalizio e della persistente direzione da parte dei capi anche nei periodi in cui erano detenuti, primo fra tutti P.A. che dal carcere continuava a mantenere I contatti con gli altri componenti della famiglia, dirimendo anche i contrasti tra coloro che ricoprivano un ruolo di vertice: il figlio di A., Fr. cl. (OMISSIS), ed i fratelli di A., G., detto "(OMISSIS)", e V., detto (OMISSIS).

Sottolineava il tribunale che la piena operatività del sodalizio nel periodo cui si riferiscono le indagini (2006-2007) emergeva, in specie, dalle azioni programmate dal gruppo al fine di reagire a due eventi rilevanti: la decisione di F.R., convivente, di altro fratello di A., S., di rendere dichiarazioni agli investigatori; l’omicidio di Sa.Do., killer del clan, ucciso l'(OMISSIS). Dalle conversazioni intercettate, soprattutto durante i colloqui in carcere tra i vari componenti della famiglia Pesce, emergevano circostanze rilevanti in ordine alle attività programmate dai sodali in quel periodo, alle dinamiche interne ed ai ruoli dei componenti del gruppo, soprattutto a seguito della scarcerazione i P.G. e P.V. (ricorrente), fratelli di A..

Il tribunale, quindi, riteneva la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di P.V. (cl. (OMISSIS)) in ordine ai reati in contestazione (e le conseguenti esigenze cautelari) sulla base di quanto emerso da alcune conversazioni captate tra vari componenti della famiglia il cui contenuto risultava univoco quanto alla ripresa dell’attività criminale all’interno del sodalizio da parte del predetto all’indomani della sua scarcerazione, avvenuta il 4.12.2006, determinando, peraltro, momenti di contrasto con altri componenti della famiglia, in specie con P.F., figlio di A..

Da dette conversazioni – in specie dal colloquio in carcere del 19.12.2006, tra P.F. cl. (OMISSIS) ed il cugino P. V. cl. (OMISSIS) – ad avviso del tribunale si rilevava il pieno coinvolgimento, con un ruolo decisionale, del ricorrente: nelle attività estorsive (specificamente indicate dai dialoganti), ivi compresa quella che vedeva vittima di pressioni G.G., legale rappresentante, della società CE.DI. SISA CALABRIA s.p.a. che gestiva il deposito e la distribuzione delle merci dei supermercati aderenti alla catena SISA; nella organizzazione dell’azione di reazione del gruppo all’omicidio del Sa..

2. Avverso il citato provvedimento P.V., tramite i difensori di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione nel quale con un unico motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’artt. 416 bis cod. pen. e art. 629 cod. pen., con riferimento all’art. 273 cod. proc. pen., contestando che il contenuto delle intercettazioni, unica fonte a carico del ricorrente, è del tutto inidoneo ai fini della sussistenza dei gravi Indizi in ordine ad entrambi i reati contestati, atteso che: a) Il ricorrente non partecipa a nessuna delle conversazioni captate; b) il principio affermato dalla Corte di legittimità – secondo il quale il contenuto delle intercettazioni ambientali non richiede i riscontri di cui all’art. 192 cod. proc. pen. relative alla ed, chiamata di correo – si riferisce solo alle dichiarazioni confessorie e non anche a quella eteroaccusatorie; c) le circostanze affermate da terzi, prive del requisito dell’attendibilità, univocità e coerenza, non risultano confortate da alcun elemento ulteriore; d) dubbie sono le modalità ed i tempi in cui detti terzi hanno appreso le circostanze riferite;

e) è inverosimile che il P., scarcerato solo pochi giorni prima della data in cui si svolge la conversazione più rilevante sia riuscito a porre in essere tutte le condotte attribuitegli; f) nella conversazione i cugini del ricorrente parlano solo di richieste di somme di danaro e non dell’esito delle stesse; g) le presunte vittime delle estorsioni di cui si parla nella conversazione hanno negato i fatti nelle dichiarazioni rese ai difensori; h) vi è contraddizione tra le circostanze riferite dai cugini del ricorrente nelle diverse conversazioni in ordine ai componenti del gruppo che avrebbero dovuto occuparsi di vendicare l’omicidio del Sa.; i) quando sono state realizzate, ad (OMISSIS), le rappresaglie contro i componenti della famiglia Ascone, ritenuti responsabili dell’uccisione del Sa., il ricorrente era detenuto a far data dal 2 luglio 2007.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato nei termini di cui ai motivi per le ragioni di seguito indicate.

1. Il vaglio di legittimità demandato a questa Corte non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

All’evidenza, gli elementi di fatto significativi ai fini della ritenuta sussistenza della gravità indiziaria a carico di P. V., in specie in relazione ai reati di cui agli artt. 416-bis e 629 cod. pen., sono stati valutati nel contesto complessivo delle emergenze Investigative sintetizzato nel provvedimento impugnato, richiamando, altresì, l’ordinanza del Gip con la quale è stata applicata la misura cautelare al ricorrente ed altri soggetti.

Sul punto vengono richiamate: la già accertata esistenza della ‘ndrina Pesce, facente capo a P.A. ed ai suoi fratelli;

gli accertati contatti del predetto, ancorchè detenuto, con i familiari inseriti nel contesto associativo; le circostanze emerse dalle conversazioni intercettate dalle quali inequivocabilmente si traeva l’intensa attività attraverso la quale i sodali continuavano a gestire il controllo del territorio attraverso attività illecite (estorsioni) ed apparentemente lecite.

Diversamente da quanto afferma il ricorrente, il compendio indiziario posto a fondamento della ritenuta partecipazione del P.V. cl. (OMISSIS) al sodalizio è costituito da una pluralità di circostanze che emergono in maniera chiara ed univoca dalle conversazioni tra i familiari nelle quali il predetto, da poco tornato in libertà, viene chiamato in causa ripetutamente e con riferimento a tutte le vicende che occupano in quel periodo l’attività del sodalizio, anche in contrasto con il nipote F. figlio di A..

Significativa sotto tale profilo è la conversazione del 19.12.2006 captata nel colloquio in carcere tra P.F. cl. (OMISSIS) ed il cugino Pe.Vi. cl. (OMISSIS) che parlano delle attività estorsive e ripetutamente fanno riferimento allo zio Ce. il quale ha rivendicato di essere stato "sempre uno ‘ndranghetista" e di aver "campato sempre di sgarro". E ancora, la conversazione tra i predetti nella quale si fa riferimento alla reazione dei Pesce contro gli Ascone per l’omicidio del Sa., per la quale P. F. cl. (OMISSIS) premeva particolarmente essendo legato da stretta amicizia con la vittima; alle richieste di F. il cugino afferma che lo zio C. ha dichiarato che "se la vedrà orbene, come viene ricordato nel ricorso, "gli indizi raccolti nel corso delle intercettazioni telefoniche possono costituire fonte diretta di prova della colpevolezza dell’imputato e non devono necessariamente trovare riscontro in altri elementi esterni, qualora siano: a) gravi, cioè consistenti e resistenti alle obiezioni e quindi attendibili e convincenti; b) precisi e non equivoci, cioè non generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto verosimile; c) concordanti, cioè non contrastanti tra loro e, più ancora, con altri dati o elementi certi". (Sez. 4, n. 22391, del 02/04/2003, Quehalliu Luan, rv. 224962).

All’evidenza, detto principio vale a maggior ragione con riguardo alla sussistenza del gravi indizi di cui all’art. 273 cod. proc. pen. per i quali non è richiesta la gravità, precisione e concordanza necessarie al fine di ritenere la ed. prova Indiziaria. Peraltro – diversamente da quanto si sostiene nel ricorso – le ragioni stesse poste a fondamento del suddetto principio rendono del tutto illogica la ipotizzata limitazione alle sole dichiarazioni "confessorie", ossia alle conversazioni cui partecipa l’indagato.

Di tal che, le circostanze riferite dai dialoganti nelle conversazioni intercettate devono essere valutate esclusivamente sulla base delle regole e dei criteri generali per lo scrutinio dei presupposti di gravità indiziaria di cui all’art. 273 cod. proc. pen..

Ed invero, il tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi e dei criteri innanzi richiamati, traendo gli indizi da univoci passaggi di conversazioni intercettate ed operando una valutazione chiara della verosimiglianza delle circostanze riferite dai congiunti dell’indagato, anch’essi inseriti nel contesto criminale e, pertanto, a conoscenza diretta della dinamiche del gruppo; essi, peraltro, fanno riferimento a fatti specifici, molti dei quali appresi direttamente dal ricorrente, utilizzando forme di espressione palesi, compiute e consequenziali, quindi, di agevole comprensione.

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso contestata al P..

Nè il ricorrente ha rappresentato elementi se non generici, volti a contraddire tale valutazione.

Non è pertinente – per quanto si è detto la questione del dubbio su modalità e tempi in cui i cugini che dialogano hanno appreso le circostanze cui si riferiscono; generiche congetture sono quelle introdotte sulle "regole di esperienza" in ordine a ciò che accade nei colloqui tra familiari in carcere.

Del tutto priva di pregio è la asserita inverosimiglianza che deriverebbe dalla circostanza temporale della conversazione ritenuta più rilevante, avvenuta pochi giorni dopo la scarcerazione del ricorrente. Infatti, all’evidenza, il contenuto della conversazione è assolutamente coerente e logico rispetto al pregresso inserimento del P. nel sodalizio familiare, come peraltro evidenziato dal tribunale nella parte relativa alle vicende della "ndrina Pesce.

Irrilevante è la circostanza che nella conversazione in cui si fa riferimento alle estorsioni si parla solo delle richieste di somme di danaro e non dell’esito delle stesse, tenuto conto, peraltro, che gli interlocutori affermano che alcune delle vittime sono state costrette ad andare via.

Nessuna contraddizione emerge – come valutato dal tribunale – nell’attribuzione a diversi soggetti della famiglia Pesce della programmazione dell’azione ritorsiva per reagire all’uccisione del Sa.. Non si tratta di versioni diverse e contrastanti, ma, al contrario, come il tribunale evidenzia, il contenuto delle conversazioni mette in risalto i contrasti Interni che si erano verificati in quel periodo in cui alcuni soggetti che rivestivano ruoli apicali erano in stato di detenzione.

Nè sotto il profilo logico, all’evidenza, può contraddire il coinvolgimento del P. nella scelta di predisporre le azioni di ritorsione suddette la circostanza che dette azioni si sarebbero poi realizzate in concreto soltanto nell’agosto del 2007, quando il ricorrente si trovava nuovamente detenuto perchè tratto in arresto il 2.7.2007.

Le dichiarazioni delle vittime delle estorsioni, raccolte dei difensori del ricorrente, non sono neppure valutabili atteso che sono state introdotte soltanto con il ricorso per cassazione.

5. In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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