Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-05-2011, n. 10239 Assegno di invalidità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. B.L. impugnava dinanzi alla Corte d’appello di Lecce la decisione con cui il Tribunale della stessa città, pronunciando sulla sua domanda intesa ad ottenere la pensione di inabilità o l’assegno di invalidità civile, aveva dichiarato improponibile la domanda nei confronti dell’INPS e l’aveva respinta nei confronti del Ministero del Tesoro. La Corte di merito, espletata c.t.u., in riforma della sentenza di primo grado dichiarava il diritto della B. all’assegno di invalidità con decorrenza dal 1 luglio 2002 e condannava il Ministero al pagamento della prestazione, ma tale decisione veniva annullata con rinvio dalla Corte di cassazione, che, su ricorso della stessa B., rilevava la omessa pronuncia in relazione alla censura sollevata in appello in ordine alla improponibilità della domanda nei confronti dell’INPS. La Corte d’appello di Bari, giudice di rinvio, con la sentenza qui impugnata, in riforma della sentenza di primo grado riteneva la legittimazione passiva dell’Istituto e lo condannava al pagamento dell’assegno di invalidità, secondo le conclusioni della c.t.u. espletata nella precedente fase di giudizio.

2. Di questa sentenza la B. domanda la cassazione con due motivi. L’INPS e il Ministero non hanno svolto difese. Motivazione semplificata.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo si lamenta la omessa valutazione del complessivo quadro morboso della ricorrente, ai fini sia della configurazione delle condizioni per il diritto a pensione sia della determinazione della decorrenza della prestazione. Con il secondo motivo la ricorrente si duole che la sentenza impugnata si sia limitata a richiamare le conclusioni diagnostiche del c.t.u. senza considerare le sue complessive condizioni di salute a decorrere dalla data della domanda amministrativa, così come invece impone la disciplina sulle prestazioni assistenziali.

2. Tali motivi, da esaminare congiuntamente per la connessione delle censure proposte, sono infondati. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio in materia di invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in una inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche in relazione alla data di decorrenza della prestazione (cfr. ex multis Cass. n. 569 del 2011; n. 9988 del 2009). Nella specie, le censure della ricorrente si risolvono in un mero dissenso in relazione alla diagnosi operata dal c.t.u., cui la Corte di merito ha prestato adesione, essendo del tutto generici, in particolare, i riferimenti alle nozioni scientifiche riguardanti l’evoluzione della malattia cronica del midollo spinale, che, peraltro, non contrastano, di per sè, con la valutazione del consulente d’ufficio riguardo alla avvenuta stabilizzazione di tale malattia e alla data di insorgenza del diritto alla prestazione assistenziale.

3. In conclusione, il ricorso è respinto. Nulla per le spese in assenza di attività difensive delle parti intimate.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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