Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-12-2010) 08-03-2011, n. 9024 Falsità ideologica in atti pubblici commessa da privato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Procuratore della Repubblica di Roma ricorre avverso la sentenza 24.11.09 del G.i.p. di Roma che ha dichiarato, ex art. 129 c.p.p., non doversi procedere, perchè il fatto non costituisce reato, nei confronti di P.D. in ordine al reato di cui all’art. 483 c.p., consistito nell’avere, nella sua qualità di architetto, attestato falsamente, nell’istanza presentata all’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di Roma e provincia, di non aver mai riportato condanne, laddove invece, in data 31.1.2000, era stata emessa a suo carico condanna a mesi cinque e giorni dieci di reclusione per il reato di cui all’art. 485 c.p..

Deduce il p.m. ricorrente – nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza – violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, dal momento che l’imputato, nella dichiarazione resa di fronte al Consiglio dell’Ordine degli Architetti il 14.7.09, aveva espressamente affermato che "avendo riportato una condanna con la pena sospesa e non menzione, in buona fede ho ritenuto mio diritto non farne menzione come d’altra parte risulta dai descritti certificati".

Era quindi chiaramente emerso che il P. aveva agito volontariamente e nella piena consapevolezza dell’esistenza a suo carico di una sentenza di condanna ed era evidente l’errore in cui era incorso il g.i.p. che aveva confuso la coscienza e volontarietà della condotta di falso con l’ignoranza o l’erronea conoscenza della legge penale che, ai sensi dell’art. 5 c.p., non scrimina in quanto non scusabile e quindi evitabile.

Illogico e contraddittorio era stato pertanto sostenere da un lato che il P. era convinto della veridicità delle sue dichiarazioni dirette al Consiglio dell’Ordine degli Architetti e, per riflesso, che non intendeva provocare una modificazione della realtà nella inconsapevolezza di agire contro un dovere giuridico, e dall’altro affermare che la buona fede dell’imputato discendeva dalla convinzione di poter confidare sull’avvenuta estinzione del reato ai sensi dell’art. 445 c.p.p., dal momento che in tal caso era evidente come il P. fosse a conoscenza dell’esistenza di una precedente sentenza al punto da conoscerne gli effetti e i benefici giuridici.

Osserva la Corte che il ricorso è fondato.

Il g.i.p. ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di P.D., perchè il fatto non costituisce reato, avendo ritenuto l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato di cui all’art. 483 c.p. per buona fede inesigibile dell’imputato il quale, convinto di poter confidare sull’avvenuta estinzione del reato, ex art. 445 c.p.p., e sull’inesistenza di iscrizioni a suo carico – come evidenziata dal prodotto ulteriore certificato del casellario giudiziale -, con la dichiarazione resa non aveva inteso provocare una modificazione della realtà, essendo inconsapevole di agire contro un dovere giuridico, convinto invece della veridicità della sua affermazione.

Il dolo, generico, integratore del delitto di falsità ideologica di cui all’art. 483 c.p. è costituito dalla volontà cosciente di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero (Cass., sez. 2, 28 ottobre 2003, n. 47867), sicchè per andare esente da addebito penalmente rilevante, sotto il profilo soggettivo, sarebbe dovuto risultare che il P. – allorchè aveva affermato, nella sua domanda di iscrizione all’Albo degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia, di cui alla dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 446, di non aver riportato condanne penali – era convinto della veridicità di tale sua affermazione.

Orbene, essendo risultato dal certificato del casellario giudiziale acquisito dal Consiglio dell’Ordine che al P. era stata applicata, ai sensi degli artt. 444 e seg. c.p.p., dal Tribunale di Roma, con sentenza 31.1,2000 (poi divenuta irrevocabile), una pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione per il reato di cui all’art. 485 c.p., appare contraddittoria l’affermazione del g.i.p. secondo cui con tale dichiarazione l’imputato "non voleva provocare una modificazione della realtà, nè era consapevole di agire contro un dovere giuridico, essendo egli convinto della veridicità di tale affermazione", in quanto il certificato del casellario acquisito personalmente dall’imputato non riportava alcuna iscrizione e comunque il P. era convinto di poter confidare sull’avvenuta estinzione del reato.

E’ infatti proprio tale ultimo assunto ad apparire dimostrativo invece della consapevolezza da parte del P. dell’esistenza di una precedente condanna a suo carico e risulta quindi illogico inferire dall’affidamento di una incensuratezza solo formale e dal convincimento della comunque avvenuta estinzione del reato in ordine al quale era stata applicata la pena patteggiata, l’assenza dell’elemento psicologico del reato di cui all’art. 483 c.p. per una pretesa inconsapevolezza dell’imputato di agire contro un dovere giuridico, nella convinzione anzi di aver reso ai destinatari della domanda di iscrizione all’albo affermazioni corrispondenti al vero, laddove al P. era solo richiesto – nella dichiarazione sostitutiva resa D.P.R. n. 445 del 2000, ex art. 46 – di indicare se avesse o meno riportato condanne.

L’impugnata sentenza va di conseguenza annullata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo giudizio.
P.Q.M.

La Corte, annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma, per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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