Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-11-2010) 08-03-2011, n. 9008 Falsità ideologica in atti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 20.10.2009 la Corte di Appello di Ancona pronunziava la parziale riforma della sentenza emessa dal GIP presso il Tribunale di Ascoli Piceno in data 20.11.2002, appellata da G.B., imputato condannato per reato di cui agli artt. 479 e 495 c.p., qualificando il fatto come integrante gli estremi del reato di cui all’art. 476 c.p., commi 1 e 2.

Per tale delitto la Corte territoriale aveva rideterminato la pena in anni uno e mesi due di reclusione, confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per erronea applicazione dell’art. 476 c.p..

A riguardo evidenziava che l’imputato aveva dichiarato le generalità del proprio figlio, M., in occasione di un interrogatorio formale innanzi al giudice civile, e che in tale sede egli non aveva assunto gli obblighi di un testimone, non avendo prestato giuramento, onde doveva escludersi che il G. fosse dotato di qualifica di pubblico ufficiale, ai fini della contestazione.

In tal senso il ricorrente riteneva applicabile l’ipotesi di reato prevista dall’art. 495 c.p., comma 2, secondo la previsione normativa antecedente alla riforma di cui alla L. 24 luglio 2008, n. 125, e pertanto concludeva chiedendo l’annullamento della impugnata sentenza per violazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b).
Motivi della decisione

La Corte rileva che i motivi di ricorso risultano dotati di fondamento.

Invero la condotta ritenuta in sentenza risulta essere stata erroneamente qualificata, per aver ritenuto sussistenti i presupposti per configurare il delitto di cui all’art. 476 c.p. applicabile a coloro che abbiano realizzato il falso avendo qualifica di pubblici ufficiali.

Nella specie, come correttamente rilevato dalla difesa, trattasi di soggetto che in assenza dei vincoli tipici della qualifica di testimone, ossia in sede di interrogatorio formale nella causa civile, aveva reso dichiarazioni sulla propria identità personale, fornendo le generalità del figlio.

La condotta contestata appare invece riconducibile alla fattispecie prevista dall’art. 495 c.p., comma 1 sulla quale va inquadrataci senso che il privato ebbe a rendere la falsa dichiarazione sulla propria identità all’Autorità giudiziaria, in atto pubblico.

In tal senso ricorre, nella sentenza impugnata, un vizio inerente alla erronea qualificazione giuridica del fatto, così come dedotto dalla difesa nei motivi di impugnazione innanzi richiamati.

Il reato, come accertato, risulta commesso in data 29-3-2000, all’udienza tenutasi innanzi al Giudice di Pace di Ascoli Piceno, e dunque risulta decorso il termine di prescrizione, essendo applicabile la disposizione dell’art. 495 c.p., comma 1 nella formula previgente alla riforma di cui alla L. 24 luglio 2008, n. 125 che prevede come pena edittale la reclusione fino a tre anni.

Alla stregua dei precedenti rilievi la Corte, tenuto conto della intervenuta estinzione del reato, ai sensi dell’art. 157 c.p. nella attuale formulazione, che prevede un termine di prescrizione di anni sei, deve annullare l’impugnata sentenza sussistendo la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per erronea qualificazione giuridica del fatto; l’annullamento va pronunziato senza rinvio trattandosi di reato estinto per intervenuta prescrizione.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Qualificato il fatto come integrante gli estremi del reato di cui all’art. 495 c.p., comma 1, annulla senza rinvio la sentenza impugnata, essendo detto reato estinto per prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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