T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 04-03-2011, n. 2001 Trasferimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente è assistente della Polizia di Stato e presta servizio presso il Commissariato Tor Carbone a Roma.

In data 17.12.2007 ha presentato istanza di trasferimento – ai sensi dell’art. 33, comma 5, della L. 104/1992 presso il Commissariato di P.S. di Anzio e Nettuno, o in alternativa presso l’Istituto Sovrintendenti e perfezionamento Ispettori di Nettuno.

Con il provvedimento datato 27.5.2009, prot. n. 333.D/76370, notificato in data 12.6.2009, la sua richiesta è stata rigettata.

Il provvedimento è supportato dai seguenti elementi:

"a. gli elementi forniti con nota del 28.1.2009 non sono atti a poter comprovare, come richiesto dalla legge e dalla circolare esplicativa in materia, n. 333.A.9806.G.3.2 del 31.7.2009, che il dipendente assista in atto, in via continuativa ed esclusiva, il portatore di handicap;

b. la continuità nell’assistenza, infatti, postula una presenza costante e quotidiana accanto al soggetto portatore per le necessità assistenziali, che non si rinviene nel caso di specie, attesa la distanza tra la sede di servizio e la residenza del genitore".

Con il ricorso in epigrafe l’interessato ha impugnato il predetto provvedimento e ha prospettato i seguenti motivi di diritto:

1). Violazione e falsa applicazione art. 33 L. 104/1992, violazione dei principi costituzionali in tema di tutela del diritto alla salute, eccesso di potere per travisamento dei fatti, motivazione carente e perplessa, contraddittorietà dell’azione amministrativa.

Con ord. n. 5363/2009 il Collegio ha respinto la domanda cautelare.

In data 20.10.2009 l’interessato ha presentato istanza di riesame.

Con successiva nota prot. n. 333.D./573, notificata il 24.3.2010, l’Amministrazione ha comunicato al ricorrente che "l’Ufficio non avvierà alcuna istruttoria poiché dall’istanza prodotta dall’interessato non emergono elementi tali da determinare positivamente l’autorità procedente. Rimangono pertanto ferme le determinazioni espresse con la ministeriale p.n. del 27.5.2009".

In data 14.6.2010 sono stati proposti motivi aggiunti avverso l’ultima nota citata.

Tanto premesso, il ricorso e i motivi aggiunti devono essere respinti.

Sostanzialmente, con i motivi di ricorso l’interessato contesta il rilievo fatto dall’amministrazione (circa la distanza tra la sua attuale sede di servizio e quella del padre che renderebbe impossibile la continuità dell’assistenza) e sostiene di avere acquisito una serie di certificazioni che attestano il contrario.

Inoltre, fa presente che gli altri suoi congiunti sono impossibilitati a prestare la detta assistenza (e che anche questo risulterebbe dalla documentazione versata in atti).

Anche nei motivi aggiunti ribadisce le argomentazioni svolte nel ricorso principale.

Le censure non meritano positivo apprezzamento.

La L. 5 febbraio 1992 n. 104 (legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) ha introdotto una serie di disposizioni particolari, intese a tutelare, con la massima efficacia e completezza, le posizioni dei soggetti che si trovano in determinate condizioni di svantaggio psichico o fisico.

Come noto, l’art. 33, quinto comma della legge n. 104 del 1992 stabilisce che: "Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede".

Ora, dalla sopra richiamata normativa si ricava che due sono i requisiti che devono ricorrere per legittimare il pubblico dipendente a chiedere di essere assegnato alla sede più vicina al domicilio dell’assistito: il primo è il requisito della continuità dell’assistenza al soggetto portatore di handicap il secondo è quello della sua esclusività.

La giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 325 del 29/7/1996) ha ritenuto che la norma citata – se da un lato ha senz’altro un alto intento umanitario, essendo finalizzata alla salvaguardia della assistenza agli handicappati, al di fuori dell’ambito familiare stesso – subordina il diritto di scegliere la sede di lavoro al verificarsi di precise e tassative condizioni di carattere soggettivo – che consistono nell’essere la persona portatrice di handicap; che il lavoratore assistente di detta persona deve essere con essa convivente e parente od affine entro il terzo grado; che l’assistenza deve essere continuativa.

Tutto ciò precisato, deve osservarsi che, in ogni caso, pur in presenza delle condizioni soggettive appena esposte, l’Amministrazione interessata concede il trasferimento richiesto "ove possibile", subordinandolo, pertanto, alle esigenze del servizio.

Anche la giurisprudenza amministrativa si è espressa nel senso che, nel caso contemplato dall’art. 33 quinto comma della legge n. 104/1992, i parenti o gli affini hanno il diritto di scegliere la sede di lavoro più idonea al loro domicilio, a condizione che la persona portatrice di handicap che essi assistono con continuità sia affetta da una minorazione caratterizzata dalla gravità, di cui al terzo comma dell’art. 3 della stessa legge n. 104/1992 (cfr. C.d.St. VI, 20/11/1995 n. 1314, II, 5/4/1995 n. 3037/94; TAR Toscana, I Sez. 3/10/1995, n. 442).

In altre parole – poiché la normativa citata di cui alla legge n. 104 del 1992 introduce profonde deroghe ai principi comuni che regolano i trasferimenti dei pubblici dipendenti – deve essere compiuto un rigoroso accertamento delle condizioni soggettive e oggettive che consentono l’attribuzione dei benefici legati allo stato di portatore di handicap con un apposito procedimento. Nella specie, il Collegio condivide quanto sostenuto in replica da controparte anche in base agli orientamenti giurisprudenziali più recenti.

In particolare, la continuità nell’assistenza, infatti, postula una presenza costante e quotidiana accanto al soggetto portatore per le necessità assistenziali che non si rinviene nel caso di specie, attesa la distanza tra la sede di servizio e la residenza del genitore.

Con riferimento al requisito della continuità, va specificato che l’art. 33 comma 5, l. 5 febbraio 1992 n. 104 ha come scopo primario quello di ampliare la sfera di tutela del portatore di handicap, salvaguardando situazioni di assistenza in atto, accettate dal disabile, al fine di evitare rotture traumatiche e dannose (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 04 febbraio 2010, n. 1464); non ha accordato il beneficio del trasferimento, invece, a chi inoltri la domanda di trasferimento per futuri fini di assistenza (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 09 novembre 2009, n. 10939). In altri termini, la norma tutela situazioni di continuità assistenziale in atto al momento della domanda e non future rispetto ad essa.

Inoltre, sebbene il diritto di che trattasi sia ora riconosciuto – nel testo della norma modificato dalla l. 8 marzo 2000 n. 53 – anche al di fuori della circostanza della convivenza del dipendente con il portatore di handicap, il requisito della continuità assistenziale non può ritenersi provato nei casi, come quello di specie, di notevole distanza tra la sede di assegnazione del dipendente pubblico e il domicilio del disabile, situati in Regioni diverse e a distanza di centinaia di chilometri, sicché in tali casi manca necessariamente uno dei requisiti richiesti dall’art. 33, l. n. 104 del 1992 per l’attribuzione del beneficio ivi previsto (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 16 luglio 2009, n. 7034).

Se deve ritenersi che rientrino nel concetto di continuità dell’assistenza situazioni in cui il dipendente sia il fondamentale punto di riferimento per l’assistenza del disabile, quanto meno sotto il profilo della costante organizzazione e supervisione delle cure necessarie, delle buone condizioni di vita e delle relazioni affettive, tale lontananza, però, costituisce elemento presuntivo contrario a detta continuità di assistenza.

Inoltre, anche in relazione all’istanza di riesame, non risulta depositata documentazione nuova da parte del ricorrente e, dunque, l’amministrazione non poteva orientarsi in senso diverso rispetto a quello che ha fatto.

In conclusione, il ricorso e i motivi aggiunti devono essere respinti.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge il presente ricorso e i successivi motivi aggiunti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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