Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-11-2010) 08-03-2011, n. 9028 setenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 3 ottobre 2003, il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, dichiarava G.G. responsabile dei reati di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. b), nel testo vigente alla data del 22 aprile 2000, di accertamento del fatto (capo A: detenzione a fine di porre in commercio 200 musicassette abusivamente riprodotte), alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c), nel testo allora vigente (capo B: messa in vendita dei predetti prodotti, privi del contrassegno SIAE) e all’art. 648 c.p. (capo C: ricezione dei prodotti di provenienza delittuosa), reati tutti in continuazione tra loro.

Tale decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Napoli, con sentenza del 5 aprile 2005.

Su ricorso dell’imputato, con sentenza in data 10 maggio 2007, la Corte di Cassazione, Seconda sezione penale, annullava la sentenza impugnata nella parte in cui aveva confermato la responsabilità penale di G.G. per il reato di ricettazione, di cui la Suprema Corte escludeva la configurabilità stante la concorrente contestazione per il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 111 ter, rinviando al giudice di appello per la rideterminazione della pena per il residuo reato (recte, per i residui reati) di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter.

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, giudicando in sede di rinvio, rideterminava la pena per i reati di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, "capi b) e c)" (recte, art. 171 ter, lett. b e c) in mesi due, giorni ventinove di reclusione ed Euro 449 di multa.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato a mezzo del difensore avv. Dino Mazzoli, il quale denuncia l’erronea applicazione della legge penale, in relazione ai principi affermati dalla sentenza Schwibbert della Corte europea di giustizia, recepiti in tre sentenze della Corte di Cassazione, tutte depositate in data 2 aprile 2008, secondo cui le disposizioni nazionali prevedenti, dopo l’entrata in vigore della direttiva comunitaria n. 189 del 1983, l’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE sui supporti informatici, costituiscono una regola tecnica da notificare alla Commissione UE affinchè sia opponibile a terzi.

E poichè nella specie tale notificazione non era avvenuta, doveva ritenersi l’insussistenza del fatto, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

In via subordinata, il ricorrente critica la mancata applicazione delle attenuanti generiche nella loro massima estensione.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è fondato, restando assorbito il secondo motivo, proposto solo in via subordinata.

2. Come osservato, tra le altre, da Cass., sez. 7, n. 21579, 6 marzo 2008, Boujlaib, ai fini dell’integrazione dei reati di cui alla L. n. 633 del 1941 che, come quello nella specie contestato al capo B, prevedono, tra gli elementi costitutivi della condotta, la mancanza del contrassegno SIAE, è richiesta la prova, incombente sul pubblico ministero, che l’obbligo di apposizione del predetto contrassegno, da qualificare "regola tecnica" ai sensi della normativa comunitaria (direttiva 83/189/CE), come interpretata dalla Corte di giustizia CE (sentenza 8 novembre 2007, Schwibbert, proc. C-20/05), sia stato introdotto dal legislatore nazionale anteriormente alla data del 31 marzo 1983, quale data di entrata in vigore della predetta direttiva, ovvero che, se introdotto successivamente, sia stato, in adempimento di detta direttiva, previamente comunicato dallo Stato italiano alla Commissione dell’Unione Europea; la mancanza di tale prova comporta l’assoluzione dell’imputato perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato (in termini analoghi, Cass., sez. 2, n. 30493, 30 giugno 2009, T.S.; Cass., sez. 3, n. 3455, 24 giugno 2008, Cissoko;

Idem, nella stessa udienza, n. 32067, ric. Mersal e n. 34553, ric. Beye; Idem, n. 13816, 12 febbraio 2008, Valentino).

3. Rappresenta del resto fatto "notorio", come rilevato dalla prima sentenza sopra citata, la circostanza che, almeno alla data del fatto che qui interessa, la regola tecnica che prevede l’apposizione del contrassegno SIAE nei prodotti di cui qui si discute non era stata notificata alla Commissione UE; con la conseguenza che la condotta contestata al capo B non può ritenersi prevista dalla legge come reato.

4. Non costituisce ostacolo a una simile conclusione il fatto che nella precedente pronuncia la Corte di Cassazione abbia annullato la prima sentenza della Corte di appello solo ai fini della determinazione della pena (in conseguenza della ritenuta insussistenza del reato di ricettazione); non pronunciandosi sul fatto-reato di cui al capo B, relativamente al quale, del resto, non era stato dedotto uno specifico motivo di ricorso (in senso analogo, in simili fattispecie, Cass., sez. 6, n, 30595, 22 giugno 2010, Diao, e Cass., sez. 6, n. 34376, 7 luglio 2010, Dia Mamadou, nelle quali però la sentenza Schwibbert era intervenuta successivamente alla sentenza di annullamento con rinvio).

Infatti, va rilevato che le sentenze della Corte di giustizia UE hanno efficacia vincolante anche ultra partes nei procedimenti davanti alle autorità giurisdizionali degli stati membri (v. per tutte Cass., sez 3, n. 13810, 12 febbraio 2008, Diop); sicchè, come osservato dalla citata sentenza n. 21579 nel ricorso Boujlaib, deve ritenersi che gli effetti della sentenza della Corte UE nel caso Schwibbert, in applicazione analogica pro reo delle evenienze legate alla sopravvenuta abrogazione di una norma incriminatrice o alla sua dichiarazione di illegittimità costituzionale, determinando una inapplicabilità della norma nazionale in quanto incompatibile con la normativa comunitaria, potrebbero essere fatti valere anche in sede esecutiva, a norma dell’art. 673 c.p.p.; e tanto più devono potere essere invocati finchè non si sia interamente esaurito il procedimento penale instaurato, in tutto o in parte, su una norma incriminatrice un elemento della quale, connesso a un adempimento formale della pubblica autorità, non sia mai stato integrato nè per quella fattispecie concreta nè, in assoluto, per altre dello stesso genere.

D’altro canto, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che il giudicato interno formatosi a seguito dell’annullamento parziale della Corte di Cassazione lascia intatti gli effetti che si producono a seguito di abolitio criminis, fenomeno che fa venire meno, prima ancora che la validità e l’efficacia della norma incriminatrice, la sua stessa esistenza nell’ordinamento giuridico (v. per tutte Cass., sez. 6, n. 26112, 16 aprile 2003, Costa; Idem, n. 356, 15 dicembre 1999, El Quaret; Idem, n. 3020, 5 febbraio 1996, Rondoni; nonchè, in genere, sugli effetti in executivis derivanti da abolitio criminis, Sez. un., n. 29023, 27 giugno 2001, Avitabile).

5. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio limitatamente al reato sub B perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Alla determinazione della residua pena, relativa al reato di cui al capo A, può provvedersi direttamente in questa sede, pur in mancanza di una specifica indicazione della porzione di pena derivante dall’aumento ex art. 81 c.p. da parte della Corte di appello in sede di rinvio, che pure vi era astretta dall’art. 533 c.p.p., comma 2.

Va infatti considerato che l’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), prevede che la Corte di Cassazione, quando deve annullare una sentenza, vi provveda senza rinvio nei casi in cui "ritiene superfluo il rinvio ovvero può essa medesima procedere alla determinazione della pena".

Questa previsione, letta anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, autorizza la Corte ad adottare al riguardo criteri equitativi, che, in mancanza di specifici e diversi indici di apprezzamento da parte del giudice di merito, possono nella specie consentire di determinare nella misura (sostanzialmente) di un terzo la porzione di pena da scomputare.

Pertanto, essendo stata la pena complessiva determinata dalla Corte di appello in mesi due, giorni ventinove di reclusione ed Euro 449 di multa, la pena relativa al residuo reato di cui al capo A può stimarsi congrua in mesi due di reclusione ed Euro 300 di multa.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato del capo B perchè il fatto non è previsto come reato e ridetermina la pena in mesi due di reclusione ed Euro 300 di multa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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