Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-02-2011) 09-03-2011, n. 9657 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il TdR di Napoli, con l’ordinanza in epigrafe riportata, ha confermato (escludendo la sussistenza dell’aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7) l’occ a carico di G.A., sottoposto a indagini con riferimento al delitto ex D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce:

1) mancanza di motivazione in ordine alla violazione dell’art. 292 c.p.p., lett. c) e c bis), atteso che il TdR non ha minimamente preso in considerazione la censura con la quale si lamentava che il GIP non aveva operato un vaglio autonomo degli elementi sottoposti alla sua attenzione, limitandosi, con il noto sistema del taglia-incolla, a recepire integralmente le argomentazioni sviluppate dal PM e poste a base della sua richiesta. Nè può farsi riferimento (come pure il Collegio cautelare fa) alla possibilità di integrazione dell’apparato motivazionale del provvedimento del GIP, in quanto, per le ragioni sopra indicate, tale apparato si deve ritenere, non carente, ma inesistente. La possibilità di motivare per relationem, pure ammessa dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi costituire eccezione a una regola e, se tale tipo di motivazione può ritenersi accettabile con riferimento ad es. al decreto autorizzativo di intercettazione, non può ritenersi applicabile a un provvedimento il cui effetto è quello di privare un cittadino della libertà;

2) mancanza e manifesta illogicità di motivazione in relazione alla sussistenza di gravi indizi in relazione ai reati sub A e B, atteso che, dal complessivo tenore della motivazione, si evince con chiarezza che il TdR non ha letto il contenuto delle intercettazioni, ma si è evidentemente limitato a recepire l’interpretazione che di tali conversazioni ha dato il GIP e, prima ancora, il PM. Invero, se avesse letto le trascrizioni, il Collegio cautelare mai avrebbe potuto affermare che il contenuto delle conversazioni del 9 e del 10 settembre 2005 costituisce prova del coinvolgimento del G. in una attività di smercio di sostanze stupefacenti. Sul punto, la motivazione esibita dal provvedimento impugnato è solo apparente, atteso che essa non ha alcuna pertinenza con il contenuto delle predette conversazioni intercettate. Invero è pacifico che il coindagato L. dovesse del denaro al ricorrente, ma è del tutto arbitrario sostenere che ciò fosse spiegabile in relazione al pagamento di partite di droga, piuttosto che per il pagamento di canoni di locazione arretrati, essendo in realtà il L. un inquilino del G.. In altro passaggio del provvedimento si sostiene poi che C.G. (asseritamente il "capo" della associazione) prende accordi diretti col L., tenendo all’oscuro il G.. Ebbene tale affermazione è inconciliabile con l’altra, contenuta nel medesimo provvedimento, in base al quale il G. sarebbe stato incaricato da C. di riscuotere il debito presso il L..

3) idem in relazione ai capi D ed E, atteso che è del tutto arbitrario sostenere che la sostanza stupefacente della quale fu trovato in possesso tale O.A. (0,5 g. di cocaina) gli sia stata fornita dal ricorrente. Si tratta dall’ennesimo fraintendimento conseguente alla mancata consultazione degli atti;

così come è contraddittorio sostenere il coinvolgimento del G. nella presunta cessione di stupefacente a tale M. M. da parte di Z.E., poichè tutto si fonderebbe sul fatto che la donna aveva convocato presso di sè il ricorrente prima di procedere a detta cessione.

4) mancanza e illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari e alla applicazione della custodia cautelare in carcere, atteso che il TdR ritiene operante la presunzione ex art. 275 c.p.p., comma 3, pur dopo avere escluso la sussistenza dell’aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7. Così ragionando, il Collegio cautelare trascura il fatto che, con la riforma del 2009, il dettato della predetta norma è stato esteso a reati che non hanno natura mafioso. La giurisprudenza richiamata dal TdR, viceversa, si riferisce al periodo antecedente. Orbene, se, per le persone imputate o indagate per delitti di stampo mafioso, la presunzione di pericolosità trova il suo fondamento nel fatto che l’adesione alle predette consorterie criminali rappresenta una scelta di vita e un punto di non ritorno, lo stesso non può dirsi per le altre ipotesi di reato, cui la normativa è stata successivamente estesa. D’altronde la Corte cost.le, con la recente sentenza 7.7.2010, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 275 c.p.p., comma 3, nella parte in cui, nel prevedere che quando sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti diversi da quelli di stampo mafioso, e applicata la custodia carceraria, salvo che siano acquisti elementi dai quali risulti la insussistenza di esigenze cautelari, non fa salva l’ipotesi in cui siano acquisti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Ebbene, non vi è ragione di non estendere tali considerazioni anche al delitto ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, attesa la profonda differenza strutturale tra tale associazione e quella ex art. 416 bis c.p.. Nell’associazione costituita per portare a esecuzione il "traffico" di sostanze stupefacenti, il vincolo tra gli associati è strettamente funzionale alla commissione dei reati- fine e, una volta, cessata l’attività delittuosa, viene meno anche il vincolo. In tale ottica, non è certo indifferente la lontananza temporale degli episodi contestati (nel caso in esame, sono trascorsi 5 anni).

Nel caso poi si dovesse ritenere non applicabili le su esposte direttrici interpretative, andrebbe sollevata questione di costituzionalità dell’art. 275 c.p.p., comma 3 in riferimento agli artt. 3, 13 e 27 Cost..
Motivi della decisione

La prima censura è, per la sua genericità, inammissibile.

La motivazione per relationem è stata ritenuta, dalla giurisprudenza di questa Corte, compatibile, se redatta secondo parametri puntualmente indicati, con l’obbligo del giudice di dar conto delle ragioni delle sue decisioni. Il principio non vale solo, come ritiene il ricorrente, per i decreti autorizzativi della attività di intercettazione, ma ha carattere generale (es. ASN 200804181-RV 238674) e si applica certamente ai provvedimenti de libertate (es ASN 200801533-RV 238816), oltre che, tanto per elencare, al provvedimento di espulsione dello straniero (ASN 200608357-RV 234081), alla motivazione della sentenza di appello (es. ASN 200838824-RV 241062) e così via.

E’, dunque, certamente lecito che il GIP motivi facendo riferimento alla richiesta del PM. Tale tecnica di motivazione può essere utilmente censurata se essa non si conforma ai principi che la giurisprudenza stessa ha elaborato (vedasi, tra le tante, ASN 200804181-RV 238674, oltre alla sentenza SU n. 17 del 2000, ric. Primavera e altro, RV 216664, che lo stesso ricorrente ha ricordato).

Il profilo di genericità consiste nel fatto che, col ricorso, non si chiarisce quali dei criteri perchè la motivazione per relationem sia accettabile sia stato violato, essendosi, come premesso, il ricorrente limitato a sostenere che detta motivazione, nel caso di specie, non era ammissibile.

Parimenti inammissibili sono le censure sub 2) e 3) perchè, pretendendo di isolare conversazioni intercettate o singoli brani di conversazioni, finiscono per chiedere a questo Collegio una rivalutazione (e, sostanzialmente, una reinterpretazione) delle predette conversazioni.

Ciò, ovviamente, non è nè consentito, nè possibile.

Non è consentito in quanto va ben al di là del compito e della funzione di un giudice di legittimità.

Non è possibile in quanto l’intero compendio probatorio va valutato (dal giudice del merito) nel suo insieme. Specie quando si tratta del contenuto di conversazioni intercettate, esse vanno lette certamente non segmentandole e atomizzandole, in quanto, evidentemente, vanno interpretate le une attraverso le altre, tenendo conto dei reciproci "intrecci" e delle sequenze temporali in cui esse si dipanano e tenendo anche conto di eventuali attività di controllo e riscontro operate dalla pg, anche in seguito all’ascolto di dette conversazioni.

Il TdR (pag. 6) scrive che la pg era riuscita a bloccare tale O., subito dopo che lo stesso aveva acquistato una dose di cocaina proprio dal G. e che sempre il ricorrente risultava essere stato convocato da tale Z. allo scopo di rendere possibile la cessione di altra dose a tale M..

In merito, il ricorrente afferma che si tratta di un fraintendimento (dovuto alla mancata lettura degli atti) e che non vi è alcun valido motivo per affermare quanto si legge nel provvedimento impugnato.

Trattasi di una "negatoria" del tutto generica, che mira a contrapporre (senza neanche indicare quali sarebbero gli atti "fraintesi") una versione dei fatti a quella fatta propria dal giudice del merito.

Anche sulla base di tali emergenze indizianti, viceversa, il Collegio cautelare ha operato un’interpretazione del linguaggio criptico e allusivo, spesso usato, tanto dal ricorrente, quanto dai suoi interlocutori nei loro colloqui telefonici.

Che poi L.F. fosse debitore del G. (anche eventualmente) per canoni di locazione arretrati, non esclude che vi fossero altre ragioni del suo "dare", atteso che, come si legge a pag. 5 del provvedimento impugnato, anche terze persone (ad es. il rumeno Ci.Di.) si sono intromesse in questo rapporto tra debitore e creditore. E il Ci., sempre per quel che si legge nell’ordinanza, faceva capo al C., il quale, in ipotesi di accusa, era il capo della struttura criminosa. Se si fosse trattato di un rapporto (lecito) tra G. e L., non vi sarebbe stata ragione che il primo avvertisse "Napoli" dello scorretto modo di agire del secondo. E, per il TdR, "Napoli" rappresenta il vertice della organizzazione che aveva sede, appunto, nel capoluogo campano.

Insomma, il TdR sviluppa una motivazione compiuta e congrua, con puntuali riferimenti al contenuto di numerose conversazioni intercettate (oltre che ad episodi accertati aliunde, come quelli – appena ricordati- che riguardano O. e M.) e non merita affatto la (generica) critica di superficialità e inconcludenza che il ricorrente gli muove.

La quarta censura è infondata.

Invero, quale che sia l’opinione che si può avere circa l’automatica estensione – ad opera del D.L. n. 11 del 2009 e della successiva legge di conversione- della presunzione di adeguatezza della custodia carceraria anche ai delitti cui il dettato dell’art. 275 c.p.p., comma 3 bis (e, tra questi, alla ipotesi criminosa ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74), sta di fatto che il TdR ha comunque motivato anche nel merito, facendo riferimento alla obiettiva gravità della condotta del G., alla sua posizione apicale, al carattere stabile della sua attività contro legem, alle sue frequentazioni di allarmanti contesti criminali. Il Collegio cautelare ha dunque espresso il suo convincimento sulla complessiva personalità dell’indagato (non solo, quindi, con riferimento al suo operato nell’ambito della societas sceleris per la quale si procede), traendone la conclusione di una elevata probabilità di reiterazione della condotta criminosa, utilmente contrastabile solo con la misura intramuraria.

La dedotta – in via subordinata – questione di costituzionalità, pertanto, appare priva di rilevanza.

Conclusivamente, il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato alle spese del grado.

La Cancelleria provvedere alle comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento; manda alla Cancelleria per le comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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