Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 07-03-2011, n. 184 Contratto di formazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) – La signora Ma.Ol.Ba. adiva il T.A.R. della Sicilia, sede di Palermo, chiedendo il riconoscimento del diritto a percepire l’indennità premio di fine servizio dovuta per il periodo di lavoro a tempo determinato, cui ha fatto seguito la successiva iscrizione a ruolo, ovvero del diritto al riconoscimento della suddetta indennità all’atto del collocamento in quiescenza.

La signora Ba. esponeva che era stata assunta, ai sensi della legge n. 285/1977, dalla Comunità montana di Corleone il 20 novembre 1978 e, a seguito dell’entrata in vigore della L.R. n. 32/1983, è transitata dapprima alla USL n. 52 (dall’1.12.1983) – nel ruolo del personale della quale era stata inquadrata, con decorrenza dal 1 giugno 1985, ai sensi della legge n. 39/1985 – e, quindi, alla AUSL n. 6; che, all’atto del suo inserimento nel personale di ruolo della USL, non aveva percepito alcuna somma a titolo di indennità premio di fine servizio in relazione al lavoro prestato prima di tale inquadramento, malgrado la sua richiesta in tal senso effettuata alla Comunità montana in data 15 maggio 1985, a ciò ostando la preclusione derivante dall’art. 9, comma 4, del D.Lgs. C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207; che, con sentenza n. 208 del 24 luglio 1986, la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale di detta norma nella parte in cui aveva disposto che l’indennità premio di servizio, prevista per il personale non di ruolo all’atto della cessazione del rapporto, non era dovuta nel caso di passaggio in ruolo; che aveva reiterato la pretesa alla corresponsione dell’indennità premio di servizio, mediante istanza presentata all’AUSL n. 6 in data 15 gennaio 1997 e, quindi, a seguito del diniego espresso dall’Azienda, attraverso analoga richiesta inoltrata alla Provincia di Palermo il 27 gennaio 1998.

2) – Con sentenza n. 1118 del 16 maggio 2006, il giudice adito ha respinto il ricorso.

Richiamando i propri precedenti giurisprudenziali e, in particolare, la sentenza n. 1555 del 2004, il T.A.R. ha sostenuto la "non assimilabilità dei rapporti di lavoro instaurati ai sensi della L. 1 giugno 1977 n. 285 con quelli afferenti al rapporto ordinario di pubblico impiego (eventualmente instaurato successivamente e conseguenzialmente al primo) e che tra gli stessi sussiste, al contrario, discontinuità e disomogeneità, essendosi condivisibilmente affermato che "I rapporti di lavoro instaurati ai sensi della L. 1 giugno 1977 n. 285 non sono assimilabili ai servizi non di ruolo nel rapporto ordinario di pubblico impiego, con la conseguenza che l’Amministrazione non è tenuta, per i suddetti rapporti, a corrispondere gli aumenti periodici di stipendio previsti dall’art. 30 L. 11 luglio 1980, n. 312" (C.d.S., sez. IV, 26 novembre 2001, n. 5939).

Tale consolidato e condivisibile orientamento comporta – ha proseguito il T.A.R. – che "non essendovi continuità alcuna tra tale rapporto e quello afferente al rapporto ordinario di pubblico impiego instaurato successivamente e conseguenzialmente al primo, il concetto di "costanza di rapporto" subisce una cesura allorché muti il titolo del rapporto intrattenuto dal dipendente con la pubblica amministrazione, con la conseguenza che le rivendicazioni – anche retributive e previdenziali – afferenti il rapporto di lavoro instaurato ai sensi della L. 1 giugno 1977 n. 285 seguono il regime ad esse proprio, anche in punto di prescrizione del relativo diritto, senza che possa valere in senso contrario la circostanza del permanere di "un rapporto di impiego, proprio a cagione dell’inammissibilità dei due titoli giuridici".

Quanto ai tempi entro cui detto diritto doveva essere esercitato, doveva ritenersi applicabile l’ordinario termine decennale.

Nel caso di specie, come concludeva il T.A.R., in conformità dell’eccezione sollevata dall’Amministrazione, la pretesa della ricorrente doveva ritenersi prescritta, essendo trascorsi dieci anni dalla data della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte costituzionale n. 208/1986.

3) – La ricorrente ha proposto appello avverso la summenzionata sentenza.

A suo avviso, l’eccezione di prescrizione doveva essere respinta, in quanto, in materia di indennità di fine rapporto, la data di maturazione del credito va individuata in quella della cessazione definitiva dal servizio. Ciò nella considerazione che, come precisato dalla Corte costituzionale 12-18.11.1993 n. 401", "indennità per i periodi pre-ruolo prestati anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 152 del 1968 non diventa esigibile alla data di riferimento per la determinazione della base di computo, bensì – contemporaneamente all’indennità premio di fine servizio e in aggiunta a questo – alla data di cessazione definitiva del rapporto. In ogni caso, il diritto all’indennità sarebbe stato da essa fatto valere sin dal 1985, con la conseguenza che la cennata sentenza della Corte costituzionale, essendo sopravvenuta durante la pendenza del rapporto di lavoro, avrebbe dovuto trovare piena applicazione.

Resiste all’appello l’Azienda sanitaria provinciale di Palermo, subentrata dal 1 settembre 1909, in base alla legge regionale n. 5 del 2009, alla soppressa Azienda USL n. 5 di Palermo.

4) – L’appello è infondato, in base alla giurisprudenza amministrativa, consolidatasi a far tempo dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 1991.

Nel sistema delineato dalla legge 1 giugno 1977, n. 285, recante disposizioni per l’assunzione dei giovani con contratto di formazione lavoro, non è consentita la riconoscibilità, a favore del personale assunto con la legge sull’occupazione giovanile, dell’anzianità maturata anteriormente all’immissione in ruolo, ai fini giuridici ed economici e, tanto meno, ai fini del trattamento di quiescenza e degli aumenti periodici di stipendio (cfr. Cfr. C.d.S., sez. VI, 3 marzo 1997 n. 360 e, più di recente, sez. IV, 27 marzo 2008, n. 1253).

In tema di disciplina dell’occupazione giovanile sono individuabili tre distinti rapporti, ciascuno dei quali ha una specifica fonte normativa autonoma e autonoma disciplina: a) quello d’impiego pubblico a termine, disciplinato dalla legge n. 285 del 1977 e da un contratto di formazione lavoro ex lege prorogato e mai modificato, fino all’espletamento dell’esame di idoneità (cui è assimilato il rapporto tra socio e cooperativa convenzionata con la pubblica amministrazione); si tratta di un rapporto preliminare e precario che non è neppure assimilato al trattamento giuridico, assistenziale e previdenziale dei dipendenti non di ruolo dello stesso;

b) quello di pubblico impiego non di ruolo a tempo indeterminato fino all’ammissione dei ruoli, costituito ai sensi della legge n. 33 del 1980 con l’iscrizione nelle apposite graduatorie a seguito del superamento dell’esame di idoneità: qui il rapporto, a differenza del precedente stadio e a causa dell’accertamento di idoneità è assimilato allo "status" dei dipendenti non di ruolo;

c) quello di pubblico impiego di ruolo nelle diverse amministrazioni, disciplinato dalle relative disposizioni attualmente vigenti. Come affermato dalla giurisprudenza (A.P., n. 1 del 1991, cit. e, più di recente, C.d.S., Sez. IV, 26 maggio 2006, n. 3175), nel sistema delineato dalla summenzionata legge n. 285/1977 non esiste alcuna norma che consenta, a favore del personale assunto con la legge sull’occupazione giovanile la riconoscibilità, ai fini giuridici ed economici, dell’anzianità maturata anteriormente all’immissione in ruolo e la valutabilità della stessa ai fini del trattamento di quiescenza e degli aumenti periodici di stipendio.

Ciò posto, non v’è dubbio che, come rettamente affermato dal T.A.R., a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 208 del 1986, l’appellante avrebbe dovuto far valere la pretesa alla corresponsione all’indennità premio di fine servizio nel termine decennale decorrente dalla pubblicazione della sentenza stessa nella Gazzetta ufficiale (1 agosto 1986) e che, non essendo ciò accaduto, la pretesa stessa si è estinta per prescrizione.

5) – In conclusione, per le suesposte considerazioni, l’appello deve essere respinto, con assorbimento di ogni altro motivo ed eccezione, restando, comunque, salvo il diritto dell’appellante, derivante dall’art. 12 della legge n. 152 del 1968, di riscattare il periodo di servizio prestato prima del passaggio in ruolo (cfr. Corte costituzionale, 9-24 luglio 1986, n. 208).

Circa la spese, le competenze e gli onorari del presente grado di giudizio, si ravvisano giustificati motivi per compensarli tra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, respinge l’appello in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese, le competenze e gli onorari dei due gradi di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo il 9 giugno 2010, dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Paolo D’Angelo, Guido Salemi, estensore, Filippo Salvia, Pietro Ciani, componenti.

Depositata in Segreteria il 7 marzo 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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