CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE – 25 maggio 2010, n. 19615. In materia di omicidio colposo.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Osserva

I – Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Potenza propone ricorso avverso la sentenza della stessa corte, del 10 aprile 2008, che, su appello degli imputati, in riforma della sentenza del Tribunale di Lagonegro, del 12 maggio 2006 – che aveva affermato la responsabilità di A.M., D.F. e C.C., in ordine al reato di cui agli artt. 113, 41, 589 comma 2 c.p., e li aveva condannati anche al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite – ha assolto il D. ed il C. dall’imputazione loro ascritta perché il fatto non costituisce reato, confermando nel resto la sentenza impugnata.

Secondo l’accusa, non condivisa dalla corte territoriale, il D. ed il C., nelle rispettive qualità di capo del nucleo addetto alla manutenzione della statale n. omissis, e di capo cantiere ANAS addetto alla sorveglianza di detto tratto stradale, in cooperazione colposa tra loro ed in concomitanza con la condotta indipendente dell’A., avevano provocato, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché nella violazione dell’art. 14 del codice della strada, un incidente stradale in conseguenza del quale aveva perso la vita P.F..

In particolare, ai due imputati raggiunti dal ricorso del PG, è stato contestato di non aver nelle rispettive qualità, curato la manutenzione del tratto stradale loro assegnato. Più precisamente, di non avere provveduto alla falciatura ed al taglio della vegetazione e dell’erba esistente all’altezza del km omissis della predetta arteria statale, nel punto di intersezione con la strada comunale omissis, la cui presenza riduceva considerevolmente la visuale dell’area di incrocio, e nel non avere apposto adeguata segnaletica orizzontale sul piano viabile e di “Stop” nel punto di innesto delle due strade.

All’A., la cui condanna è stata confermata e non impugnata, è stato contestato di avere violato l’art. 145 del codice della strada in quanto, nel percorrere la via omissis alla guida della propria auto, non aveva osservato il segnale di “Stop” che lo obbligava ad arrestarsi al limite dell’intersezione di detta via con la statale omissis. Con tale condotta egli aveva invaso la corsia di marcia del P., che alla guida della propria auto stava procedendo lungo la predetta statale, che era stato costretto, per evitare lo scontro con l’auto dell’A., ad effettuare una brusca sterzata a sinistra a causa della quale aveva perso il controllo della vettura che era andata ad impattare contro un albero posto sul ciglio destro della strada; impatto dal quale il P. aveva riportato gravi lesioni che ne avevano determinato la morte.

La corte territoriale, pur avendo dato atto:

a) che la presenza della folta vegetazione nel punto di incrocio tra le predette strade aveva certamente rappresentato per l’A. un oggettivo impedimento poiché aveva ostacolato la visuale della sede stradale sulla quale viaggiavano le auto provenienti dal lato sinistro, ed aveva influito sulla condotta di guida dello stesso, indotto ad oltrepassare la linea trasversale discontinua che delimitava la carreggiata, in corrispondenza del segnale di “Stop”, quantomeno in misura corrispondente alla lunghezza del cofano anteriore della sua auto;

b) che la barriera erbosa aveva rappresentato un antecedente causale necessario per il verificarsi del sinistro;

c) che l’incidente era stato determinato dall’eccessiva velocità dell’auto condotta dalla vittima, dal comportamento imprudente dell’A. e dalla limitata visibilità del tratto di strada teatro del sinistro a causa della presenza della folta vegetazione;

d) che l’ascrivibilità ai due dipendenti Anas della cattiva manutenzione della zona doveva ritenersi fuori discussione poiché entrambi avevano l’obbligo, in ragione delle rispettive qualifiche e mansioni, di garantire la sicurezza della circolazione stradale

tutto ciò premesso, la corte territoriale ha tuttavia ritenuto che nessun addebito potesse muoversi al D. ed al C. poiché nei loro confronti poteva ritenersi operante l’ipotesi di forza maggiore prevista dall’art. 45 c.p. Secondo la predetta corte, i due imputati, davanti alla presenza di circa 300 accessi sparsi sui due lati del tratto di strada di loro competenza, che presentavano analoghi rischi per la circolazione stradale, avevano fatto il possibile per garantire la eliminazione della vegetazione dilagante, non solo sollecitando l’intervento della ditta che si era aggiudicati i lavori di estirpazione delle erbe, ma iniziando i lavori di pulitura, affidati ai cantonieri. Di più, hanno sostenuto i giudici del gravame, non poteva pretendersi dai due imputati.

II – Avverso tale decisione, specificamente, avverso l’assoluzione del D. e del C., ricorre, dunque, il PG che deduce: a) violazione dell’art. 45 c.p.; b) mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.

Con riguardo al primo dei motivi proposti, rileva il ricorrente che, secondo il disposto dell’art. 45 c.p., il caso fortuito presuppone un nesso di causalità materiale tra la condotta e l’evento cui non si accompagni l’elemento soggettivo della colpa, in quanto l’agente non ha determinato l’evento per sua negligenza, imprudenza. L’esimente in questione, in tanto esiste, secondo il PG ricorrente, in quanto si sia verificato un fatto del tutto imprevedibile ed inevitabile dall’agente al quale, pur facendo uso di ogni possibile diligenza, è stato in sostanza impedito di adeguare la propria azione alla situazione creatasi; la stessa esimente non ricorre, invece, allorché all’agente possa attribuirsi una pur minima colpa. Orbene, nel caso di specie non ricorrerebbe né l’imprevedibilità dell’evento – come ha anche ammesso la corte territoriale allorché ha rilevato che qualche giorno prima il D. aveva sollecitato l’intervento della ditta che aveva appaltato i lavori, sicché l’evento non solo era prevedibile, ma era stato addirittura previsto – né l’inevitabilità dello stesso, atteso che l’evento era facilmente evitabile con la predisposizione di idonea segnaletica e con la stessa chiusura dell’accesso, peraltro abusivo. Ricorrerebbero, viceversa, specifici profili di colpa nei confronti dei due imputati, in termini di negligenza, di cui la corte non avrebbe tenuto conto. In realtà, il taglio dell’erba, sostiene, ancora il ricorrente, faceva carico agli imputati in forza del contratto collettivo di lavoro del personale non dirigente dell’ANAS, pertanto essi non potevano limitarsi ad attendere ed a sollecitare l’intervento dell’impresa appaltatrice, ma erano tenuti ad intervenire direttamente e tempestivamente.

II – Il ricorso è fondato.

In tema di reati colposi, la forza maggiore si pone quale causa di esclusione della punibilità allorché l’evento si ponga quale ineluttabile conseguenza di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, del tutto estraneo alla condotta dell’agente, nei cui confronti non sia rilevabile neanche il più esile profilo di colpa. L’ineluttabilità, l’imprevedibilità si pongono, quindi, quali condizioni necessarie perché l’evento determinatosi possa essere attribuito a forza maggiore.

Orbene, se così è, deve rilevarsi, con il PG ricorrente, che nel caso di specie tali condizioni sono del tutto assenti.

Certamente non imprevedibile può ritenersi l’incidente che ha causato la morte del P., essendo evidente il pericolo determinato dalla folta vegetazione cresciuta ai margini delle strade teatro del sinistro, la cui ingombrante presenza rappresentava un evidente rischio per la circolazione; essa, invero, come è stato ammesso dallo stesso giudice del gravame, avendo creato una vera e propria barriera erbosa, impediva ai conducenti dei veicoli che impegnavano la strada statale e le diverse vie di accesso di avvistarsi reciprocamente e tempestivamente. Il rischio, del resto, era stato previsto dagli imputati, se è vero che, come pure è stato sostenuto nella sentenza impugnata, era stato sollecitato l’intervento della ditta che si era aggiudicato l’appalto dei lavori di disboscamento e pulizia delle aree stradali in questione.

Sicuramente evitabile, d’altra parte, era l’incidente posto che, come ha osservato la stessa corte territoriale, sarebbe bastato, per porre in sicurezza l’incrocio, predisporre una più idonea segnaletica ovvero altri interventi d’urgenza, fino a giungere alla chiusura degli accessi più a rischio.

Mancano, dunque, nel caso in esame, le condizioni perché l’evento possa attribuirsi a forza maggiore, e contraddittoria e priva della necessaria coerenza logica è la sentenza impugnata che, pur avendo attribuito rilievo causale nella determinazione dell’evento alla presenza della folta vegetazione e pur avendo dato atto delle condotte omissive degli imputati, che avrebbero potuto intervenire per garantire le condizioni di sicurezza delle strade teatro dell’incidente, hanno contraddittoriamente ritenuto che essi avessero fatto quanto era in loro potere per impedire l’evento, peraltro attribuito a forza maggiore malgrado la riconosciuta prevedibilità e l’evitabilità dello stesso da parte degli imputati.

La sentenza impugnata meriterebbe, quindi, di essere annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Potenza, per nuovo giudizio, se non fosse che nel frattempo sono maturate le condizioni per la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione; declaratoria alla quale deve pervenirsi. V’è da osservare, invero, che, avuto riguardo al titolo del reato come qualificato dai giudici del merito, ricorrono le condizioni per pervenire a tale declaratoria. In realtà, accertato che il fatto è avvenuto il omissis e che, avuto riguardo alla pena prevista per il delitto contestato, come ritenuto dai giudici del merito, il termine massimo di prescrizione è, ai sensi dell’art. 157, comma 1 n. 4, c.p. (nella formulazione, più favorevole, precedente le modifiche di cui alla legge n.251/05) di cinque anni, estensibile fino a sette anni e sei mesi, ne discende che il termine in questione, tenuto anche conto dei periodi di sospensione, è interamente trascorso in epoca successiva all’emissione della sentenza impugnata.

Deve, peraltro, chiaramente escludersi, alla luce di quanto sopra esposto, che ricorrano le condizioni per l’applicazione dell’art. 129, comma 2, c.p.p., posto che, non solo non emergono elementi di valutazione idonei a riconoscere la prova evidente dell’insussistenza del fatto contestato agli imputati o della loro estraneità allo stesso, ma sono rilevabili valutazioni di segno del tutto opposto, conducenti alla responsabilità degli stessi.

Va, dunque, disposto l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza, essendo il reato ascritto estinto per prescrizione.

Quanto al tema della responsabilità civile, rileva la Corte che le contraddizioni ed incoerenze logiche riscontrate nell’impugnata sentenza, forniscono un quadro complessivo dei fatti e delle responsabilità del tutto incerto, tale da non consentire la conferma delle statuizioni civili nei termini indicati dal primo giudice. A tal fine, le parti eventualmente ancora interessate potranno ricorrere, a tutela dei propri interessi, alla sede civile competente.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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