Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-02-2011) 09-03-2011, n. 9286 armi Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

G., dr. Vito D’Ambrosio, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza dell’8.4.2009 il GUP del Tribunale di Foggia dichiarava P.L. colpevole dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 comma 1 bis (capo a), L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7 (capo b), L. 110 del 1975, art. 23, commi 1 e 3 (capo c), art. 648 c.p. (capo d) e art. 697 c.p. (capo e), unificati sotto il vincolo della continuazione i reati di cui ai capi b), c), d) ed e), e, riconosciute le circostanze attenuanti generi che dichiarate equivalenti alla contestata recidiva, applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, lo condannava alla pena di anni 5, mesi 4 di reclusione ed Euro 34.000,00 di multa per il reato sub a) e di anni 3 di reclusione ed Euro 160,00 di multa per i reati ritenuti in continuazione, e perciò complessivamente alla pena di anni 8, mesi 4 di reclusione ed Euro 34.160,00 di multa.

La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 1.12.2009, in parziale riforma della sentenza del GUP, assolveva il P. dal reato di cui al capo d) perchè il fatto non sussiste e, unificati tutti gli altri reati ex art. 81 cpv. c.p., rideterminava la pena in anni 5 di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa.

Riportava la Corte territoriale la motivazione della sentenza di primo grado, da cui risultava che nel corso di una perquisizione in alcuni locali, ubicati all’interno di un fondo di proprietà del padre di P.L., ma in uso a quest’ultimo, venivano rinvenuti gr. 395,1 netti di eroina, una pistola automatica Kimar a salve, modificata e trasformata in arma comune da sparo, completa di caricatore e due cartucce, priva di dati identificativi, 43 cartucce inesplose.

Riteneva, quindi, la Corte di merito di non modificare le condivisibili valutazioni del primo giudice in ordine al regime delle circostanze, mentre considerava unitario il disegno dell’imputato in ordine ai reati di cui alla imputazione.

2) Ricorre per cassazione P.L., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla L. n. 110 del 1975, art. 23.

Erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto configurabile il reato in questione. Un’arma può dirsi clandestina quando, originariamente catalogata negli appositi elenchi, venga alterata nei suoi segni distintivi ed introdotta in un circuito clandestino. Il principio di tassatività e tipicità impedisce di considerare clandestina un’arma, originariamente non catalogata (in quanto a salve); in tal caso infatti non è ipotizzabile una condotta di alterazione o dissimulazione della matricola. Peraltro non risulta provato che le modifiche apportate abbiano reso efficiente e funzionante l’arma.

Secondo la giurisprudenza, in tal caso, è integrato il reato di detenzione di arma alterata (ma non clandestina).

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 81 c.p., art. 73 e L. n. 110 del 1975, art. 23. I giudici di merito, pur ammettendo che l’ambito spaziale e temporale del reato relativo alla detenzione della droga e quelli relativi all’arma è identico, hanno escluso il riconoscimento della continuazione. Al contrario la condotta di detenzione è unitaria e dal punto di vista volitivo ed esecutivo ingloba entrambe le res illecite.

Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio. La Corte territoriale, pur riconoscendo il leale comportamento processuale dell’imputato che ha ammesso le sue responsabilità, consentendo di ricostruire i fatti, non ne ha tratto le conseguenze sul piano sanzionatorio.

3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

3.1) In relazione al primo motivo, secondo la giurisprudenza, anche se risalente di questa Corte, che il Collegio ritiene di condividere e confermare, "la ratio della norma incriminatrice, di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 23 (armi clandestine) deve essere ricercata nell’esigenza di sottoporre a costante controllo tutte le armi comuni da sparo e le persone legittimate a detenerle. Sotto tale angolo visuale, non è dato cogliere alcuna differenza, ai fini del soddisfacimento della indicata esigenza, tra la detenzione di un’arma i cui numeri di matricola siano stati cancellati e quella di un’arma sulla quale i detti numeri, a causa della sua estrazione artigianale, non siano stati mai segnati. Infatti in entrambi i casi l’autorità viene a trovarsi nell’impossibilità di seguire i vari trasferimenti dell’oggetto e di individuare in ogni momento l’attuale detentore" (cfr. Cass. pen. sez. 1 n. 7914 dell’11.4.1988). La sentenza della sez. 1 n. 1323 del 18.3.1991 ribadiva, implicitamente, tale orientamento, ritenendo che correttamente fosse stata negata l’applicazione della diminuente del fatto di lieve entità L. n. 895 del 1967, ex art. 5 "in considerazione della qualità dell’arma, ossia del fatto che la stessa era proveniente da surrettizia modificazione (nella specie, relativa alla detenzione ed al porto di arma clandestina, trattavasi di un’arma giocattolo trasformata e divenuta funzionante)".

Ineccepibilmente, pertanto, i giudici di merito, richiamando la giurisprudenza di questa Corte sopra ricordata, hanno ritenuto che l’arma (una pistola originariamente a salve e poi artigianalmente trasformata in un’arma capace di esplodere proiettili cal.9) fosse, in quanto priva di matricola, da qualificare come clandestina.

3.2) Il secondo motivo è inammissibile.

Il ricorrente non tiene conto, infatti, che nel giudizio di appello è stato riconosciuto il vincolo della continuazione tra tutti i residui reati e quindi anche tra la detenzione dell’arma e la detenzione della sostanza stupefacente; nel richiamare il foglio 8, ultimo cpv., non si è reso conto che quella era la motivazione della sentenza di primo grado riportata integralmente nella sentenza di appello. La Corte territoriale ha ritenuto, invece, di applicare l’art. 81 cpv. a tutte le imputazioni, non risultando ragioni di crasi temporale o logica che impediscano di considerare unitario il disegno dell’imputato". Del resto il riconoscimento del vincolo della continuazione emerge chiarissimamente anche dal calcolo della pena e dalle statuizioni contenute nel dispositivo (pag. 10 sent. app.).

3.3) I giudici di merito hanno, infine, dato adeguatamente conto dell’esercizio del potere discrezionale loro riconosciuto nella determinazione del trattamento sanzionatorio.

Già il GUP aveva rilevato che, pur dovendosi riconoscere valenza positiva alle dichiarazioni rese dall’imputato, i fatti erano decisamente gravi in considerazione del quantitativo di droga rinvenuto e della disponibilità di un’arma clandestina, con abbondante munizionamento e che gli stessi precedenti penali, connotati dall’uso della intimidazione e della violenza, qualificavano in termini negativi la personalità dell’imputato, per cui le riconosciute circostanze attenuanti generiche andavano ritenute soltanto equivalenti alla recidiva contestati.

In presenza di siffatta articolata motivazione e di generiche deduzioni contenute nei motivi di appello in ordine all’invocato giudizio di prevalenza delle già concesse circostanze attenuanti generiche e ad una riduzione della pena, legittimamente la Corte territoriale si è limitata a far proprie le valutazioni del primo giudice "in ordine al regime delle circostanze" (la pena base, peraltro, è stata rideterminata, partendo dal minimo edittale).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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