Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-02-2011) 09-03-2011, n. 9285 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 22 ottobre del 2009, in riforma di quella pronunciata dal tribunale della medesima città il 18 settembre del 2008, condannava B.R. alla pena ritenuta di giustizia,quale responsabile di sequestro di persona, abuso sessuale e lesioni personali in danno della propria convivente G.A..

In primo grado, con sentenza del 18/09/2008, B.R. all’esito di giudizio dibattimentale celebratosi avanti il Tribunale di Brescia era stato assolto ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2 dai delitti di violenza sessuale continuata e sequestro di persona ai danni della convivente G.A. per insussistenza del fatto. Con la medesima sentenza si era dichiarato non doversi procedere per intervenuta remissione di querela in relazione ai diversi addebiti di minaccia grave e continuata, ingiuria e lesioni personali aggravate.

Secondo la ricostruzione fattuale contenuta nel provvedimento impugnato, in data 26/07/2007, i Carabinieri di Iseo intervenivano presso il pronto soccorso del locale nosocomio, ove si trovava una giovane donna in attesa di cure mediche che lamentava di essere stata vittima di maltrattamenti da parte del convivente.

La donna, identificata in G.A., denunciava che l’imputato, nel corso della serata del (OMISSIS), colto da un accesso di gelosia, l’aveva reiteratamente colpita con calci e pugni, cercando di strangolarla con il filo del carica batterie del cellulare.

Secondo il racconto della donna, nel corso della stessa serata, il convivente l’aveva varie volte percossa, le aveva sottratto il cellulare e le chiavi dell’alloggio e le aveva impedito di uscire di casa sino al giorno (OMISSIS), quando, approfittando del fatto che il B. dormiva,era riuscita ad allontanarsi recandosi appunto al pronto soccorso. La persona offesa dichiarava inoltre che durante il periodo di segregazione aveva dovuto subire vari rapporti sessuali impostile dall’imputato con la violenza. La G. sporgeva all’uopo querela, che tuttavia successivamente revocava. Il giudice di prime cure prendeva atto della deposizione dibattimentale con cui la parte offesa, ridimensionando in maniera marcata le proprie precedenti affermazioni, aveva confermato di avere avuto un litigio con il convivente nel corso del quale l’imputato, mosso da gelosia, l’aveva pesantemente minacciata, insultata e percossa;aveva aggiunto che il litigio era proseguito con modalità violente anche una volta giunti presso la loro abitazione, ove la sera stessa ed anche quella successiva i due avevano avuto vari rapporti sessuali, dapprima da lei rifiutati ma poi consentiti grazie alle provocanti insistenze dell’uomo. La G. aveva altresì precisato che il giorno (OMISSIS) aveva deciso di non recarsi al lavoro visti i segni che aveva sul viso e che anche nel corso di tale giornata di tanto in tanto il B., ripensando all’accaduto, l’aveva colpita con qualche schiaffo. Tale situazione si era protratta poi, secondo la versione dibattimentale della G., per altri due o tre giorni durante i quali le erano state inferte altre percosse ed insulti, senza che tali condotte fossero finalizzate a costringerla ad avere rapporti sessuali o a non allontanarsi dall’abitazione. Anzi a questo riguardo la G. aveva precisato di non essere uscita dall’abitazione per sua libera scelta, al fine di non fare inquietare il B. che glielo aveva proibito. A fronte delle contestazioni del pubblico ministero, la G. aveva affermato di non essere mai stata costretta con violenza e minaccia a subire atti sessuali da parte del convivente e che tale verbalizzazione era stata compiuta erroneamente o per equivoco dai carabinieri; identica giustificazione aveva fornito con riferimento alle risultanze del verbale di pronto soccorso da cui pure risultava la violenza sessuale.

Il Tribunale riteneva contraddittoria la prova circa gli addebiti di cui ai capi A) e B) in ragione della marcata diversità delle dichiarazioni rese dalla G. in dibattimento rispetto a quelle effettuate in sede di denuncia. Affermava la prevalenza delle dichiarazioni dibattimentali richiamando la norma di cui all’art. 500 c.p.p., comma 2; escludeva la possibilità di configurare la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 500 c.p.p., comma 4 e, pur dando atto di una palese inattendibilità della versione dibattimentale resa dalla persona offesa, in mancanza di dichiarazioni accusatorie utilizzabili, concludeva per l’insufficienza della prova circa la colpevolezza dell’imputato in ordine ai suddetti addebiti.

Quanto alle residue imputazioni di lesioni personali, minaccia ed ingiuria, il Tribunale prendeva atto della remissione di querela ed esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2 pronunciava sentenza di non doversi procedere.

La Corte d’appello,adita su impugnazione del Procuratore generale, ha invece affermato la responsabilità dell’imputato valorizzando le dichiarazioni dibattimentali rese dal teste M. al quale nell’immediatezza del fatto la parte offesa aveva denunciato di essere stata violentata e sequestrata.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore deducendo:

violazione di legge in ordine alla valutazione della prova per avere la corte privilegiato le dichiarazioni rese dalla parte lesa nella fase delle indagini preliminari in luogo di quelle rese in dibattimento nel contraddittorio delle parti;osserva che le dichiarazioni del teste M., valorizzate dalla Corte, non costituiscono un riscontro perchè il teste aveva testimoniato su fatti non percepiti direttamente; inoltre la parte offesa si era recata in caserma per denunciare di avere subito lesioni e non per chiedere la punizione del convivente per la violenza sessuale;

omessa motivazione in ordine al reato di cui al capo b).

Il ricorso era ulteriormente illustrato con memoria difensiva.
Motivi della decisione

Il ricorso va respinto perchè infondato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Anzitutto si rileva che ,come risulta dalla sentenza impugnata, la parte offesa al dibattimento ha confermato di essere stata ripetutamente minacciata e percossa dal convivente, il quale le aveva sottratto il telefono ed occultato le proprie chiavi. Le uniche divergenze riguardano i rapporti sessuali che, in base alle dichiarazioni dibattimentali, sarebbero stati consensuali e non coatti,come inizialmente riferito nonchè la circostanza che sarebbe rimasta chiusa per vari giorni all’interno dell’abitazione.

La Corte, dato atto di ciò e dell’inverosimiglianza della ritrattazione, perchè la parte lesa non era credibile quando intendeva far credere che nonostante le continue minacce e percosse, aveva avuto rapporti sessuali (anali, orali e vaginali) con il convivente, ha affermato la responsabilità del prevenuto non in base alle dichiarazioni originarie della donna, come erroneamente ritenuto dal difensore, ma in base alla testimonianza indiretta del dott. M.S.. Quest’ultimo aveva visitato la vittima al pronto soccorso ed al dibattimento ha riferito che la parte lesa le aveva confidato di essere stata segregata in casa e percossa e di avere più volte dovuto subire rapporti sessuali per via orale,anale e vaginale. Orbene,come già precisato dalla Corte, per il principio del libero convincimento del giudice, una volta sentito il teste diretto, nel contrasto tra la testimonianza diretta e quella indiretta, il giudice non è tenuto a privilegiare necessariamente quella diretta. D’altra parte ,la testimonianza indiretta anche se deve ovviamente essere valutata con cautela non deve essere riscontrata da elementi esterni. Secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte in tema di testimonianza indiretta, in caso di contrasto tra le dichiarazioni rese dal teste "de relato" e quelle rese dal teste di riferimento, il giudice ben può ritenere attendibili le prime anzichè le seconde, in quanto, da un lato, l’art. 195 cod. proc. pen. non prevede alcuna gerarchia tra le dichiarazioni e, dall’altro, una diversa soluzione contrasterebbe con il principio del libero convincimento del giudice, cui compete in via esclusiva la scelta critica e motivata della versione dei fatti da privilegiare. (Cass. n. 02010 del 2008; n. 9801 del 2007; n. 26027 del 2004).

Per quanto concerne il reato contestato al capo B) la corte ha puntualizzato che la parte lesa anche in dibattimento aveva ribadito che il convivente le aveva intimato di non allontanarsi e le aveva sottratto le chiavi ed il telefonino ed ha aggiunto che il teste M. aveva, tra l’altro, dichiarato che la G. le aveva confidato di essere stata segregata.

Quindi anche in ordine al reato contestato al capo B) esiste adeguata motivazione.
P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 616 c.p.p.;

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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