Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-02-2011) 09-03-2011, n. 9283 reati tributari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 18.1.2010 la Corte di Appello di Brescia confermava la sentenza del GVP del Tribunale di Bergamo del 13.10.2008, con la quale P.I.A., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generi che ed applicata la diminuente per la scelta del rito, era stato condannato alla pena (sospesa) di mesi 8 di reclusione per il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5 perchè, nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. Automax Import Export, con sede in (OMISSIS), al fine di evasione fiscale, ometteva di presentare la dichiarazione annuale relativa all’imposta sul valore aggiunto per l’anno 2005, con sottrazione di imposta per Euro 120.644,28.

Rilevava la Corte territoriale che l’appellante, ribaltando la linea difensiva, peraltro contraddittoria, espressa nel giudizio di primo grado, aveva sostenuto l’applicabilità del meccanismo del cd. reverse charge (detto anche di conversione contabile), secondo cui debitore dell’IVA non è, come normalmente avviene, il soggetto che effettua la cessione del bene ma il destinatario.

Nel disattendere l’impostazione difensiva, riteneva la Corte che il termine reverse charge indicasse proprio la diversa modalità di annotazione contabile, dovendo il compratore, soggetto IVA, dichiarare l’acquisto del bene attraverso un’auto fatturazione da annotare sia nel registro IVA che delle fatture emesse, sia nel registro IVA degli acquisti. Il mancato assolvimento di tale procedura impediva la possibilità di avvalersi del sistema del reverse charge.

2) Ricorre per Cassazione P.I.A., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la inosservanza e/o erronea applicazione di legge.

Essendo pacifico che i veicoli erano usati e che si applicava il cosiddetto regime del margine, non vi è prova che l’ammontare dell’IVA sulla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita avesse superato i limiti della penale responsabilità (non è stato neppure verificato che le auto fossero state rivendute in Italia e, nell’affermativa, il prezzo di vendita). Non è stato, quindi, provato il superamento della soglia di punibilità. L’omessa registrazione delle fatture di acquisto costituisce mero illecito amministrativo. Peraltro, da numerose fatture risulta che è stata applicata dal cedente tedesco l’IVA nella misura del 16%, per cui in ogni caso andava sottratto l’ammontare versato.

Deduce, poi, che il riferimento nel capo di imputazione alla data del 26 aprile 2007 (data della constatazione) è fuorviante, essendosi il reato, eventualmente perfezionato alla data del 30 aprile 2006 (data di presentazione della dichiarazione IVA); il reato è, pertanto prescritto.

3) Il ricorso è aspecifico e manifestamente infondato per cui va dichiarato inammissibile.

3.1) Il ricorrente prescinde totalmente dalla motivazione della sentenza impugnata che aveva rilevato la inapplicabilità del sistema del reverse charge, stante la mancanza del presupposto delle annotazioni contabili.

Ribaltando ancora una volta la linea difensiva, il ricorrente, a quel che è dato comprendere, ritorna su quella sviluppata nel corso del giudizio di primo grado.

Ma il GUP aveva già, ineccepibilmente, rilevato come il regime del margine non potesse trovare applicazione (per poter usufruire di tale sistema è necessario che il cedente attesti di operare nel suddetto regime attraverso la prescritta annotazione). E, con valutazione in fatto non sindacabile nel giudizio di legittimità, aveva accertato che nell’anno 2005 il P. aveva effettuato 33 transazioni di acquisto di autoveicoli usati con imprenditori concessionari tedeschi, che non operavano in regime del margine, come emergeva dall’assenza negli atti della necessaria annotazione. Tali operazioni, perciò, costituivano acquisti comunitari e l’imputato aveva conseguentemente evaso l’IVA nella misura ordinaria del 20% per un ammontare pari ad Euro 118.094,28, ampiamente al di sopra della soglia di punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5. 3.2) Anche l’eccezione di prescrizione è destituita di ogni fondamento.

Anche a voler ritenere come dies a quo la data del 30 aprile 2006 (indicata dal ricorrente), il termine massimo di prescrizione di anni 7 e mesi 6 non è certo decorso.

3.3) Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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