Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-02-2011) 09-03-2011, n. 9319

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

a chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Svolgimento del processo

L’11 dicembre 2009 la Corte d’appello di Milano rigettava la domanda di restituzione nel termine avanzata da V.P. per proporre impugnazione avverso la sentenza del g.i.p. del Tribunale di Milano in data 5 giugno 2008. Osservava che non era riconducibile all’ipotesi del caso fortuito ( art. 175 c.p.p., comma 1) l’asserito comportamento negligente del difensore di fiducia che aveva erroneamente calcolato il termine per presentare l’appello avverso la decisione di primo grado, in quanto grava sulla parte l’onere di scegliere un professionista valido e di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito.

2. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione personalmente V., il quale lamenta erronea interpretazione dell’art. 175 c.p.p., comma 1, atteso che la motivazione del provvedimento impugnato è incentrata sul concetto di negligenza, mentre con l’istanza ex art. 175 c.p.p. si stigmatizzava l’ignoranza dei termini per proporre l’impugnazione da parte del difensore, profilo in ordine al quale erano stati omessi gli accertamenti sollecitati dalla parte, da cui, peraltro, non può pretendersi la preventiva verifica della padronanza, da parte del legale prescelto, delle ordinarie regole di diritto che dovrebbero costituire il bagaglio tecnico di qualsiasi soggetto legittimato all’esercizio della professione forense.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. L’art. 175 c.p.p., comma 1, stabilisce che il pubblico ministero, le parti private e i difensori sono restituiti nel termine per proporre impugnazione stabilito a pena di decadenza, se provano di non averlo potuto osservare per caso fortuito o forza maggiore.

Tale previsione ha una sua autonomia rispetto a quella contenuta nel comma successivo e subordina la restituzione nel termine alla prova dell’impedimento dovuto a caso fortuito o forza maggiore (Sez. 5, 9 novembre 2005, n. 43870; Sez. 1, 11 aprile 2006, n. 15543).

In adesione all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, si osserva che costituisce causa di forza maggiore quel fatto umano o naturale al quale non può opporsi una diversa determinazione volitiva e che, perciò, è irresistibile. Il caso fortuito è un dato della realtà imprevedibile e che soverchia ogni possibilità di resistenza e di contrasto (Sez. Un. 11 aprile 2006, n. 14991; v, anche Corte Cost. n. 101 del 1993).

Ciò che caratterizza, dunque, il caso fortuito è la sua imprevedibilità, mentre nota distintiva della forza maggiore è l’elemento della irresistibilità. Connotazione comune ad entrambi è la inevitabilità del fatto.

L’interpretazione letterale dell’art. 175 c.p.p., comma 1, evidenzia la necessità di tenere distinte la posizione dell’imputato da quella del suo difensore e, quindi, di attribuire rilievo all’assenza di diligenza non solo del legale, ma anche del suo assistito (Sez. 2, 11 novembre 2003, n. 49179; Sez. 1, 24 aprile 2001, n. 25905; Sez. 5, 1 febbraio 2000, n. 626). Al contempo non si deve sovrapporre il piano della astratta possibilità di restituzione nel termine con il concreto assolvimento dell’onere probatorio.

Sotto il primo profilo grava sull’imputato non solo l’onere di effettuare, compatibilmente con le contingenze e le scansioni temporali del procedimento, una scelta ragionata del difensore, ma anche di controllare l’esatto adempimento del mandato difensivo e di adottare tutte le cautele imposte dalla normale diligenza per vigilare sull’esatta osservanza, da parte del legale, dell’incarico a lui conferito. La nomina di un difensore di fiducia non può, infatti, giustificare in ogni caso la mancata attivazione dell’imputato in vista della diretta acquisizione di notizie sullo stato del procedimento (cfr. in tal senso, invece, Sez. 5, 23 marzo 2007, n. 18820), essendo connaturato al particolare rapporto fiduciario che lo lega al professionista il diritto-dovere dell’assistito di rappresentare carenze nell’effettivo esercizio del diritto di difesa, di chiedere chiarimenti sullo svolgimento della procedura e sulla strategia difensiva.

Con riguardo al secondo aspetto, spetta all’interessato dimostrare di avere informato il proprio legale delle difficoltà incontrate per garantire l’effettività della rappresentanza e di essersi adoperato, anche presso le competenti cancellerie, per informarsi dell’esito del suo processo.

Una lettura dell’art. 175 c.p.p., comma 1, rispettosa non solo della sua natura di rimedio restitutorio di carattere eccezionale, ma anche dei principi affermati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cedu, sentenza 27 aprile 2006, Sannino contro Italia; sentenza 18 gennaio – 6 novembre 2007, Hany contro Italia) consente, pertanto, di affermare che l’attivazione del restituzione nel termine per impugnare ex art. 175 c.p.p., comma 1, non deve essere posta in correlazione unicamente con il comportamento inadempiente del difensore, bensì anche con il rispetto delle ordinarie regole di diligenza da parte dell’imputato.

2. Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata appare conforme ai principi sinora illustrati, considerato che V.: a) ebbe a presenziare, assistito dal legale di fiducia, al giudizio abbreviato celebrato nei suoi confronti a seguito di specifica, espressa scelta di questo tipo di rito; b) non ha in alcun modo manifestato personalmente la volontà di proporre impugnazione avverso la sentenza di primo grado, emessa il 5 giugno 2009, del cui epilogo decisionale era perfettamente a conoscenza; c) non ha documentato in nessuna forma di essersi attivato presso il legale di fiducia per stimolare ulteriori iniziative processuali o per chiedere chiarimenti sulla proposizione del mezzo di gravame; d) si è astenuto dal rivolgersi alla competente cancelleria per acquisire ogni utile informazione a lui dovuta.

Contrariamente all’assunto del ricorrente, una conclusione del genere non confligge con i principi enunciati da altra decisione di questa Corte (Sez. 6, 26 giugno 2009, n. 35149), concernente una fattispecie del tutto diversa in cui l’imputato detenuto aveva reiteratamente manifestato per iscritto, con dichiarazioni rese all’ufficio matricola del carcere, la sua volontà di proporre appello e aveva documentato che la sua volontà di proporre impugnazione era ben nota al difensore, il quale aveva erroneamente giustificato la mancata redazione dei motivi con l’omesso avviso di deposito della sentenza di primo grado.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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