Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 31-01-2011) 09-03-2011, n. 9651 Applicazione della pena Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

el PG Dott. Febbraro Giuseppe, inammissibilità.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per Cassazione N.N. avverso la sentenza del Gip di Monza in data 15 maggio 2001 con la quale le è stata applicata la pena concordata col PM, in ordine a due ipotesi di bancarotta preferenziale e ad altrettante ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario. Alla N., quale componente del consiglio di amministrazione della spa Dataconsyst – dichiarata fallita il (OMISSIS) – era stata mossa la contestazione di avere, in concorso con C. (che era stato parimenti componente del Cda) e con Ca., eseguito una serie di pagamenti preferenziali in favore sia di C. personalmente, che del suo studio, di Ca. e della Banca commerciale italiana, essendo consapevole dello stato di dissesto della società (capi A e B).

Inoltre le era stato contestato di avere, nella stessa qualità, ed in concorso anche con Ca. e con Ce. (consigliere della Dataconsyst) fraudolentemente esposto nel bilancio dell’esercizio 1994 della società poi fallita, fatti non rispondenti al vero ex art. 2621 c.c. (capi D ed E).

La ricorrente, rimessa in termini per la presentazione del ricorso con ordinanza del giudice della esecuzione in data 19 novembre 2009, deduce:

1-2) la mancanza di motivazione in ordine alla assenza dei presupposti per il proscioglimento nel merito ex art. 129 c.p.p..

Il giudice aveva adottato una formula di stile senza considerare che i requisiti per il proscioglimento nel merito invece sussistevano ed erano stati poi anche rilevati dal giudice che, in separato procedimento, aveva assolto i coimputati C. e Ce. con la formula "perchè il fatto non sussiste" (sentenza del Tribunale di Monza del 17 aprile 2003).

In tale sentenza, a favore del C., in ordine alle contestazioni di bancarotta preferenziale, era stata riconosciuta la assenza del dolo specifico del reato, essendosi riconosciuto che quello aveva agito non per alterare la par condicio creditorum ma nella convinzione del salvataggio prossimo della società: evenienza non verificatasi per fatti indipendenti dalla volontà del soggetto e cioè per la sopravvenuta impossibilità della vendita di un immobile di prestigio della società, rimasto privo di certificato di agibilità a causa dell’incendio scoppiato nel palazzo del Comune.

Nella stessa sentenza citata, riguardo alla contestazione di bancarotta fraudolenta impropria contestata a Ce., il Giudice era giunto alla conclusione che il reato in questione, nella fattispecie concretamente individuata, tale più non poteva considerarsi a seguito della novella introdotta con D.Lgs. n. 61 del 2002, mancando la contestazione e la prova del requisito del nesso di causalità tra la condotta di falso e il dissesto della società;

3) la prescrizione dei reati.

Il PG presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

In data 10 gennaio 2011 la difesa ha depositato una memoria a confutazione delle argomentazioni del PG. Il ricorso è fondato.

In ordine al denunciato vizio di motivazione riguardante le contestazioni di bancarotta preferenziale occorre ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’art. 111 Cost. e dall’art. 125 c.p.p., comma 3 per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti. Tuttavia, in tal caso, esso non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a i una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedetti nell’imputazione. Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata compiuta la verifica; richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di i proscioglimento a norma del citato art. 129 (Sez. 1, Sentenza n. 752 del 27/01/1999 Cc. (dep. 22/03/1999) Rv. 212742).

Nella specie non risulta che la parte abbia dedotto, in sede di patteggiamento, specifici motivi e argomenti a sostegno di una eventuale richiesta di proscioglimento nel merito della ricorrente, come del resto implicitamente confermato anche nella memoria difensiva depositata il 10 gennaio 2011 (pag. 3).

Non si tratta evidentemente, della creazione di uno specifico onere di allegazione della parte, come sembra sostenere il difensore nella memoria, ma della rappresentazione del perimetro entro il quale deve dispiegarsi il dovere di motivazione del giudice, alla stregua del principio sopra esposto, pena la censura da parte del giudice della legittimità.

Il silenzio serbato sul merito da parte del difensore in sede di rappresentazione della richiesta di patteggiamento vale in altri termini a circoscrivere l’ampiezza della motivazione sulle cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., ampiezza che non può certo mutare in relazione all’evento successivo dell’accertamento della insussistenza del reato in capo al coimputato in separato procedimento. Lo svolgimento della istruttoria dibattimentale e l’accertamento di elementi valorizzatali ai fini della esclusione dell’elemento soggettivo riguardante il coimputato C., cioè, sono evenienze che, in quanto tali ossia nella loro natura di emergenze di altro processo, non possono spiegare i loro effetti riguardo alla vicenda processuale di chi ha in precedenza concordato la pena: e ciò per il rilievo, già evidenziato, che in tale ultima sede il giudice è tenuto al proscioglimento solo quando apprezzi in maniera chiara ed inequivoca situazioni atte a comportare la sentenza di proscioglimento nei confronti dell’imputato. E la chiarezza e/o inequivocità della possibilità di estendere alla N. le cause di proscioglimento riguardanti il C. peraltro personali riguardando il dolo – è soltanto affermata dal ricorrente nel gravame in esame mentre non risulta che, alla stessa conclusione, il giudice del patteggiamento sia stato sollecitato a giungere e, quel che conta, potesse giungere in base agli atti in suo possesso al momento della ratifica del concordato.

Tuttavia il ricorso risulta fondato in quanto è da accogliere la doglianza sulla abolitio criminis riguardante i reati sub D) ed E).

Si afferma in giurisprudenza che è dal capo di imputazione elevato che la Corte di Cassazione deve rilevare la "abolitio criminis" sopravvenuta alla sentenza impugnata indipendentemente dall’oggetto del gravame ed anche per il caso di ricorso inammissibile (Rv.

225702).

Si è aggiunto, sia pure con riferimento alla fase della esecuzione, che l’istituto della revoca della sentenza a seguito di "abolitio criminis", a norma dell’art. 673 c.p.p., opera anche in relazione alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti prevista dall’art. 444 c.p.p., atteso che, da un lato, il rito del patteggiamento non tocca il principio di diritto sostanziale "nullum crimen sine lege", operante anche retroattivamente, con conseguente cessazione delle sanzioni irrogate e dei loro effetti, in caso di abrogazione della norma incriminatrice, e, dall’altro, il giudice dell’esecuzione non deve compiere alcun accertamento di merito, ma solo la valutazione in astratto della fattispecie oggetto della sentenza rispetto al nuovo assetto del sistema penale, e ciò anche quando la norma incriminatrice non sia stata interamente abrogata, ma riscritta con una riduzione del relativo ambito di operatività (Rv.

217089).

Nel caso di specie deve darsi anche applicazione ai principi che, in materia di accertamento dell’eventuale abolitio criminis, le Sezioni unite hanno dettato con riferimento alla fase del giudizio di legittimità.

Secondo il supremo consesso "la Corte di Cassazione è chiamata a decidere sulla base dell’accertamento compiuto dal giudice di merito e contenuto nella sua sentenza. Se nelle more tra la pronuncia della decisione impugnata e la trattazione del ricorso è intervenuta un’abolizione parziale è alla decisione impugnata che la Corte di Cassazione deve fare riferimento per stabilire se gli elementi richiesti dalla nuova legge avevano o meno formato oggetto dell’accertamento giudiziale, e in caso affermativo su di essi deve esercitare il suo giudizio; ma se quegli elementi non hanno formato oggetto di accertamento e la Corte di Cassazione si trova in presenza di un fatto che, per come è stato accertato dal giudice di merito, rientra nell’ambito dell’abolizione, e dunque non è più previsto come reato, non può che trame le conseguenze imposte dall’art. 129 c.p.p. e art. 620 c.p.p., comma 1, lett. a). Un annullamento con rinvio in funzione meramente esplorativa non può ritenersi consentito".

Nella specie non risulta dalla formulazione del capo di imputazione o dalla motivazione della sentenza che la condotta di falsificazione del bilancio addebitata e N. sia stata intesa dal titolare della azione penale o dal giudice come capace di avere cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società.

Nella descritta situazione il reato di bancarotta fraudolenta impropria è destinata a cadere per la operatività dell’abolitio criminis, fatta salva la eventuale rilevazione di fattispecie penalmente rilevanti, di minore gravità ed in rapporto di continenza, che, ove mai fossero da reputare sussistenti per il superamento delle "soglie" di punibilità in esse previste, sarebbero comunque prescritte.

Il rilevato intervento dell’istituto della abolitio crimins su talune delle fattispecie che hanno formato oggetto del patto sulla pena comporta che tale patto debba ritenersi sciolto, non potendo superare indenne, nella sua globalità, il vaglio da parte di questa Corte di legittimità.

La fondatezza di uno dei motivi di ricorso comporta d’altro canto che in ordine ai reati sub A) e B) possa e debba intervenire, ad opera di questa Corte, la declaratoria della prescrizione, maturata successivamente alla pronuncia della sentenza del 2001.

Invero, pur essendo pacifico, allo stato attuale della giurisprudenza, che nel caso di specie debba applicarsi il vecchio regime della prescrizione il nuovo è operativo, in ragione del calcolo della pena, più favorevole, solo in relazione ai processi che, alla data di entrata in vigore della novella – 8 dicembre 2005 – non avevano raggiunto la fase della pubblicazione del dispositivo della sentenza di condanna di primo grado), è anche da notare che, in ragione delle concesse attenuanti, la pena edittale è inferiore ai cinque anni di reclusione e il termine di prescrizione era di sette anni e mezzo. Il termine della prescrizione è cioè scaduto nel 2003 e tanto va rilevato in questa sede.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio quanto ai capi A) e B) perchè i reati sono estinti per intervenuta prescrizione e quanto ai capi D) ed E) perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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