Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-01-2011) 09-03-2011, n. 9451 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 9 aprile 2010 la Corte di Appello di Catanzaro liquidava in favore di R.D. la somma di Euro 2.115,00 a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal predetto. La Corte di Appello osservava che R. direttore provinciale del lavoro di Crotone, era stato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari per la durata di giorni diciotto, in relazione al reato di truffa e abuso di ufficio; e che il prevenuto era stato poi prosciolto dal G.i.p. di Crotone con sentenza in data 31.5.2007, divenuta irrevocabile. La Corte territoriale evidenziava che dagli atti non risultava che R. avesse dato causa con condotta dolosa o gravemente colposa alla applicazione o al mantenimento dello stato di custodia cautelare.

Richiamati i criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimità nella liquidazione dell’indennizzo previsto a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione, la Corte territoriale applicava il parametro aritmetico costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2, ed il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anche esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita. La Corte di Appello temperava detto importo in ragione della metà, per l’obiettivo minor grado di afflittività della restrizione domiciliare.

La Corte territoriale considerava che non sussistevano elementi per maggiorare in via equitativa detto importo, atteso che non dovevano confondersi gli effetti della breve detenzione subita dal richiedente con quelli derivanti dalla pendenza del procedimento penale.

Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Catanzaro ha proposto ricorso per cassazione R.D., a mezzo del difensore, deducendo, con unico motivo, l’erronea applicazione della legge penale e l’Illogicità della motivazione del provvedimento impugnato. Assume il ricorrente che la Corte territoriale abbia errato nell’interpretazione delle norme che riconoscono il diritto ad ottenere un indennizzo da chi abbia subito una detenzione rivelatasi ingiusta. La parte rileva che il giudice della riparazione ha liquidato l’indennizzo unicamente sulla base del calcolo aritmetico, non considerando in via equitativa le ulteriori conseguenze derivanti dalla ingiusta detenzione subita da un dirigente pubblico; e ciò con specifico riguardo al prestigio professionale del richiedente. Il ricorrente rileva, inoltre, che erroneamente la Corte di Appello ha applicato rigidamente il principio dell’onere della prova rispetto al danno subito dall’istante, principio che non risulta conferente nell’ambito dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, in cui il giudice del merito opera valutazioni di natura equitativa.

Il Procuratore Generale con requisitoria scritta ha chiesto il rigetto del ricorso.

L’esponente ha depositato memoria difensiva.

Il ricorso è infondato.

Deve, invero, premettersi, che la Suprema Corte ha da tempo chiarito (Cass. Sez. U, Sentenza n. 1 del 13/01/1995, dep. 31/05/1995, Rv.

201035) che la liquidazione dell’indennizzo in questione va disancorata "da criteri o parametri rigidi" e che deve, al riguardo, "procedersi con equità, valutando la durata della custodia cautelare e, non marginalmente, non in termini residuali, le conseguenze personali e familiari, derivanti dalla privazione della libertà", questa intesa non "come un dato o valore statico, ma come valore dinamico, come valore (…) indispensabile ad ognuno per sviluppare, liberamente, la propria personalità (…)", sicchè "debbono essere valutati i due criteri di proporzionamento della riparazione, che consistono nella durata della custodia cautelare e nelle conseguenze personali e familiari derivanti dalla privazione della libertà (…)". Ne consegue che il giudice della riparazione deve procedere alla liquidazione dell’indennizzo, sulla base di tali parametri ed entro il tetto massimo del quantum indennizzabile, tenendo conto della durata della custodia cautelare ed apprezzando tutte le conseguenze pregiudizievoli che essa ha comportato, sotto il profilo personale, familiare, patrimoniale, morale, diretto o mediato "che sia(no) in rapporto eziologico con la ingiusta detenzione". Ed è stato ulteriormente chiarito (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24287 del 09/05/2001, dep. 14/06/2001, Rv. 218975) che la liquidazione dell’indennizzo va effettuata tenendo conto del parametro aritmetico costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2, e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita, mentre il potere di liquidazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto non può mai comportare il superamento del tetto massimo normativamente stabilito. Posto, dunque, che quel criterio aritmetico sopra enunciato deve essere tenuto presente quanto meno come dato di partenza della relativa valutazione indennitaria – ponendosi esso come dato oggettivo di equità valutabile dal giudice – anche in riferimento alle modalità, più o meno afflittive della detenzione, ove il giudice intenda discostarsi dalla misura dell’indennizzo, in tal guisa determinabile, deve fornire adeguata motivazione idonea a dare contezza delle circostanze specificamente apprezzate, sotto il profilo personale e familiare, che a quel sensibile discostamento abbiano condotto (Cass. Sez. 4^, sentenza n. 30317 del 21.6.2005, Rv.

232025).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha tenuto conto della reale afflittività della cautela subita, ed ha fornito adeguata motivazione idonea a dare contezza delle ragioni per le quali ha ritenuto di non potersi discostare dal criterio aritmetico. La Corte di Appello ha, infatti, osservato che il trasferimento del pubblico dipendente non aveva comportato un decremento patrimoniale e che l’eventuale disistima maturata all’interno della comunità di riferimento era da collegarsi eziologicamente alla pratica per assenteismo richiamata al capo d) della imputazione. Il richiamato processo logico e valutativo seguito dal giudice della riparazione appare conferente e perciò non suscettibile di sindacato alcuno in sede di legittimità.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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