Cass. civ. Sez. V, Sent., 12-05-2011, n. 10445 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 18.3.2000 Bipiesse Riscossioni s.p.a., società concessionaria del servizio di riscossione per la Provincia di Cagliari, notificava al Consorzio CEIS s.p.a. avviso di mora per il pagamento della somma di L. 26.614.841 dovuta a titolo di IVA, interessi ed accessori, per l’anno di imposta 1991.

Proponeva ricorso avverso l’atto esecutivo S.G., denunciando la nullità della notificazione dell’avviso di mora effettata, in violazione dell’art. 145 c.p.c. e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, presso il domicilio del legale rappresentante anzichè presso la sede legale del Consorzio in (OMISSIS).

Il ricorso, in contumacia del Concessionario per la riscossione veniva rigettato con sentenza della IV sez. CTP di Cagliari in data 5.12.2000 n. 1069 che accertava la ritualità della notifica eseguita presso il domicilio del rapp.te legale del Consorzio a mani del coniuge convivente, e comunque la sanatoria della nullità della notifica in seguo alla costituzione in giudizio del destinatario, e compensava le spese di giudizio tra le parti.

Anche l’appello era rigettato con sentenza della 1^ sez. CTR di Cagliari in data 16.6.2005 n. 42 che condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado liquidate in Euro 550,00 oltre accessori di legge.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione S. G., con atto notificato ex art. 149 c.p.c. in data 12.6.2006 presso la sede legale della società concessionaria ed in data 9.6.2006 presso il domicilio del legale rapp.te della stessa, affidando la impugnazione a quattro mezzi.

Non si è costituita la società BIPIESSE Concessionaria del servizio di riscossione per la Provincia di Cagliari.
Motivi della decisione

1. La sentenza di appello ha dichiarato infondati i motivi di impugnazione proposti dal legale rapp.te del Consorzio CEIS s.p.a. rilevando:

– che la eccezione di nullità dell’atto di conferimento a parte di BIPIESSE Riscossioni s.p.a. dell’incarico di assistenza tecnica non meritava accoglimento avendo la società, costituitasi in grado di appello, depositato procura speciale conferita per scrittura privata autenticata nella sottoscrizione dal notaio Gaetano Porqueddu in Sassari con atto in data 30.7.1996;

– che la notifica dell’avviso di mora era esente da vizi essendo stata eseguita senza successo, dapprima presso la sede legale del Consorzio, quindi presso l’ufficio del legale rapp.te del Consorzio e, su indicazione di questi, presso altro Comune, ma inutilmente, ed infine presso la residenza del legale rapp.te del Consorzio con consegna dell’atto al coniuge convivente;

– in ogni caso eventuali vizi di nullità della notifica dell’atto esecutivo dovevano ritenersi sanati in conseguenza della costituzione in giudizio del ricorrente.

Rigettava l’appello anche quanto al motivo di impugnazione relativo alla compensazione delle spese di lite in primo grado e condannava l’appellante soccombente al pagamento delle spese del grado liquidate in Euro 550,00 oltre accessori di legge.

2. Il ricorrente censura la sentenza impugnata deducendo i seguenti motivi:

1 – vizio di nullità del procedimento, nonchè vizio motivazionale, per errata applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 3, art. 23, commi 2 e 3 e art. 24, avendo i Giudici di appello ritenuto valida la costituzione in giudizio della società resistente sebbene in difetto di regolare "procura ad litem", ed avendo ritenuta rituale la notifica dell’avviso di mora al domicilio del rapp.te legale dopo aver esaminato le precedenti relate negative di notifica acquisite irritualmente al giudizio in quanto depositate soltanto alla pubblica udienza 12.5.2005;

2 – violazione e falsa applicazione degli artt. 145 e 156 c.p.c. e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nonchè vizio della motivazione, non avendo i Giudici di appello rilevato la nullità della notifica eseguita direttamente al domicilio del rapp.te legale anzichè previamente alla sede del Consorzio (come prescritto dall’art. 145 c.p.c., comma 1, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 263 del 2005), ed ancora avendo ritenuto erroneamente i Giudici territoriali che il vizio di notifica fosse sanato per raggiungimento dello scopo con la proposizione del ricorso avverso l’avviso di mora, non tenendo conto che la notifica era indirizzata a persona diversa dal rappresentante legale del Consorzio e che lo S. aveva impugnato l’atto tributario "in proprio" e non in qualità di rapp.te legale del Consorzio, con conseguente inapplicabilità della sanatoria ex art. 156 c.p.c., comma 3;

3 – omessa pronuncia sul motivo di appello concernente il capo della sentenza di primo grado relativo alle spese di lite (art. 112 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, avendo rigettato immotivatamente i Giudici di appello il gravame proposto avverso il capo della sentenza di primo grado che statuiva la compensazione delle spese di lite;

4 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 12 e 15, nonchè vizio motivazionale, avendo la CTR condannato il ricorrente alle spese del grado di appello in favore di una parte che non poteva considerarsi ritualmente costituita in giudizio.

3. Il primo motivo è inammissibile.

3.1 Dalla sentenza impugnata risulta che il difensore dello S. alla udienza di discussione ha "fatto rilevare l’irregolarità della costituzione in giudizio della controparte per mancanza di potere del legale rappresentante della BIPIESSE Riscossioni per irregolarità dell’atto di conferimento del potere di rappresentanza stesso".

Nella esposizione del fatto svolta in relazione alla indicata censura, il ricorrente sembra, da un lato, fare derivare il vizio di costituzione della società dalla omessa "indicazione/elencazione" di tale documento nell’atto di costituzione e risposta della BIPIESSE s.p.a. depositato presso la segreteria della CTR; dall’altro sembra, invece, volere contestare che il documento contenente il conferimento dell’incarico di assistenza tecnica sia stato ritualmente prodotto in giudizio dalla società appellata.

Quanto al primo profilo di censura rileva il Collegio che lo stesso ricorrente si contraddice, affermando (ricorso pag. 2) che "l’atto di costituzione e risposta 3.4.2001 della Bipiesse Riscossioni…fa riferimento a certa procura notarile Dott. G. Porqueddu attribuente il diritto di rappresentare e difendere la resistente a tale Dott. Gianmario Virdis…".

Ove poi la critica rivolta ai Giudici territoriali fosse quella di avere, in conseguenza di una svista, supposto la esistenza di un fatto (incarico di assistenza tecnica conferito con scrittura privata autenticata che la sentenza impugnata afferma essere stata "prodotta in copia ed agli atti") la cui esistenza doveva invece intendersi incontrovertibilmente esclusa non essendo stato il documento prodotto in giudizio, è appena il caso di rilevare che il motivo sarebbe manifestamente inammissibile, dovendo essere fatto valere l’errore di percezione del fatto con il mezzo revocatorio ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4) e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64.

Quanto al secondo profilo di censura, la parte ricorrente viene a prospettare un vizio (deposito dell’atto di conferimento dell’incarico successivo alla costituzione in giudizio ex art. 54, comma 1, che rinvia al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, comma 2) diverso da quello consistente nella "irregolarità dell’atto di conferimento del potere di rappresentanza" (id est da un vizio proprio della scrittura privata autenticata rilasciata con atto separato dalla società resistente ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 3 – vizio peraltro rimasto ignoto in carenza di esaustiva esposizione del fatto processuale) esaminato dal Giudice di appello, e dunque introduce una questione nuova inammissibile nel presente giudizio di legittimità.

Peraltro il motivo in esame, in relazione alla indicata censura, dovrebbe ritenersi comunque infondato, alla stregua dei principi giurisprudenziali affermati da questa Corte, in quanto: l’assistenza tecnica non è "condizione di ammissibilità" degli atti processuali ma è solo fonte di un dovere per il giudice adito di invitare le parti a munirsi di idonea assistenza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 12, comma 5, ultima parte, derivando l’inammissibilità soltanto dalla inottemperanza a tale ordine (Corte cost. sent. 13.6.2000 n. 189; Corte Cass. 5^ sez. 28.2.2008 n. 5255); tale sistema trova applicazione nei confronti non solo del contribuente ma di tutte le parti per le quali la speciale disciplina del processo tributario non prevede la facoltà di stare in giudizio senza l’assistenza di un difensore abilitato (norme processuali che in quanto derogative dell’obbligo generale di difesa tecnica non sono suscettibili di interpretazione estensiva), e quindi anche nei confronti del concessionario del servizio di riscossione (Corte Cass. 5^, sez. 9.10.2009 n. 21459); ne consegue che il vizio di omessa assistenza tecnica della parte – ove non rilevato e non seguito da invito alla regolarizzazione, si risolve in una mera irregolarità, che non determina un vizio di nullità della sentenza, e che può essere rilevata soltanto dalla parte alla quale è riconosciuto un interesse giuridicamente tutelato ad essere adeguatamente assistita (Corte Cass. 5^, sez. 8.2.2008 n. 3051; id. 28.2.2008 n. 5255).

3.2 Il primo motivo è inammissibile anche in relazione alla censura relativa alla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 24, in cui sarebbe incorso il Giudice di appello fondando la pronuncia di rigetto della impugnazione su documenti (precedenti relate negative di notifica dell’avviso di mora) irritualmente prodotti giudizio.

Come infatti ripetutamele ribadito dalla giurisprudenza di legittimità "l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un "error in procedendo", presuppone comunque l’ammissibilità’ del motivo di censura (Corte Cass. 1 sez. 20.9.2006 n. 20405) e quanto alla sussistenza del requisito della "esposizione sommaria dei fatti di causa" di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), "è necessario, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, che in esso vengano indicati, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate" (Corte cass sez. lav. 12.6.2008 n. 15808).

Ne consegue che qualora si denunci che un documento, la cui valutazione probatoria è stata ritenuta decisiva dai Giudici di merito ai fini della risoluzione della controversia, è stato irritualmente acquisito al giudizio in violazione delle norme processuali che disciplinano la produzione dei documenti nel giudizio tributano ( D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, comma 2, art. 24, comma 1, art. 32, comma 1 e art. 58), e tale questione non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di non incorrere nella pronuncia di inammissibilità del motivo per novità della questione "ha l’onere non solo allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi la giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima esaminare nel rito la questione stessa" (Corte Cass. 5^, sez. 2.4.2004 n. 6542; id. 3^, sez. 18.3.2005 n. 5972 id. 1^ sez. 8.6.2006 n. 13406; Corte Cass. 2^ sez. 19.3.2007 n. 6361 – con riferimento ad omessa pronuncia su domande od eccezioni).

Orbene il ricorrente ha asserito che il documento in questione non era stato indicato nell’elenco, nè allegato, all’atto di costituzione e risposta ed era stato prodotto soltanto alla udienza di trattazione, ma ha trascurato di trascrivere tanto l’atto difensivo della società appellata, che il verbale di udienza 12.5.2005, impedendo a questa Corte di assolvere alle verifiche di ammissibilità de motivo.

4. Il secondo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Il ricorrente censura la sentenza di appello per violazione dell’art. 145 c.p.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, in quanto la notifica dell’avviso di mora avrebbe dovuto essere dichiarata nulla sotto il duplice profilo:

a) della omessa indicazione nell’atto tributario notificando dei dati identificativi del legale rapp.te del Consorzio nonchè della omessa previa notifica dell’atto presso la sede legale (domicilio fiscale) della persona giuridica;

b) della notifica dell’avviso di mora "a persona diversa dall’effettivo rapp.te legale della persona giuridica" con conseguente inapplicabilità, al ricorso proposto dal destinatario, della sanatoria dei vizi ex art. 156 c.p.c., per raggiungimento dello scopo dell’atto.

4.1 Il profilo di censura sub lett. b) deve essere esaminato con precedenza in quanto dirimente: ed infatti, incontestato che il soggetto contribuente debba individuarsi nel Consorzio CEIS s.p.a., la notifica dell’avviso di mora, se eseguita nei confronti di altro soggetto (persona fisica) priva di qualsiasi collegamento con il contribuente, sarebbe da considerare, non affetta da nullità (sanabile), ma addirittura inesistente (cfr. Corte Cass. 2^ sez. 2.12.2009 n. 25350 "la notificazione è inesistente quando sia stata effettuata in un luogo o con riguardo ad una persona che non presentino alcun riferimento con il destinatario dell’atto, risultando a costui del tutto estranei, mentre è affetta da nullità (sanabile con effetto ex tunc attraverso la costituzione del convenuto, ovvero attraverso la rinnovazione della notifica cui la parte istante provveda spontaneamente o in esecuzione dell’ordine impartito dal giudice), quando, pur eseguita mediante consegna a persona o in luogo diversi da quello stabilito dalla legge, un simile collegamento risulti tuttavia ravvisabile, così da rendere possibile che l’alto, pervenuto a persona non de tutto estranea al processo, giunca a conoscenza del destinatario; conf. id. 2^ sez. ord. int.

26.4.2010 n. 9904).

Tuttavia la circostanza di fatto in questione non risulta abbia costituito oggetto di esame nei precedenti gradi merito, risultando dalla sentenza della CTR che, nel giudizio di primo grado, il ricorrente aveva impugnato l’avviso di mora esclusivamente in relazione al vizio di nullità della notifica effettuata presso il domicilio del rapp.te legale anzichè presso la sede legale della società; mentre con i motivi di appello il ricorrente aveva gravato la sentenza di prime cure esclusivamente in punto di erroneità della pronuncia in ordine alla ritualità della notifica eseguita direttamente al rapp.te legale, nonchè in punto di attribuzione delle spese di lite, e si era inoltre limitato a contestare l’accertamento relativo alla sanatoria dell’atto ex art. 156 c.p.c., comma 3, eccependo "che il soggetto costituitosi non è il contribuente-consorzio CEIS s.p.a. ma la persona fisica alla quale nel proprio domicilio è stato notificato l’avviso di mora".

Indipendentemente dalla scarsa comprensibilità di quest’ultima eccezione come riportata nella sentenza appello (essendo del tutto ovvia la non coincidenza del soggetto-contribuente con la persona fisica al domicilio della quale era stata eseguita la notifica – anche nel caso in cui tale persona fosse il rappresentante legale), appare tuttavia evidente come tale questione – ove anche considerata nei termini indicati nel ricorso per cassazione – integra un ulteriore e più radicale vizio di validità (inesistenza) della notifica, e dunque una questione diversa dal vizio di nullità ex art. 145 c.p.c., dedotto con l’atto introduttivo (cfr. Corte Cass. 3^ sez. 11.3.1998 n. 2678 che evidenzia come "in materia di notifiche alle persone giuridiche, la nullità può sussistere, ai sensi dell’art. 145 cod. proc. civ., sia quando l’atto è notificato a soggetto diverso da quello che si era inteso evocare in giudizio; sia quando è notificato sì al soggetto passivamente legittimato, ma in un luogo diverso dalla sede (effettiva o legale), Tuttavia i due vizi, attinenti ambedue alla violazione dell’art. 145 cod. proc. civ., si fondano su quaestiones farti differenti), e la parte ricorrente era, pertanto, onerata, onde non incorrere nella inammissibilità del motivo per novità, di specificare puntualmente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., la censura fatta valere con il motivo di ricorso per cassazione, da un lato, indicando l’atto processuale con il quale era stata tempestivamente e ritualmente introdotta nel giudizio di primo grado; dall’altro riproducendo il contenuto dell’avviso di mora e della relata di notifica nonchè indicando e descrivendo le eventuali prove costituite dedotte nei precedenti gradi di giudizio a sostegno della eccezione e che i Giudici di merito non avrebbero debitamente considerato, al fine di consentire alla Corte di verificare la rituale e tempestiva acquisizione della eccezione al "thema decidendum" nonchè la fondatezza delle relative asserzioni, senza dover ricorrere all’esame degli atti dei giudizi di merito o di documenti esterni al ricorso.

In difetto di assolvimento del predetto onere, il motivo – in relazione al profilo di censura indicato – deve ritenersi inammissibile in quanto privo del requisito di autosufficienza e volto ad introdurre una nuova questione in fatto il cui accertamento è precluso in sede di legittimità. 4.2 Dalla inammissibilità della censura sopra esaminata deriva, per logica conseguenza, la infondatezza delle altre censure mosse – con il secondo motivo – alla sentenza di appello in relazione al vizio di nullità della notifica per violazione dell’art. 145 c.p.c., ed alla autonoma "ratio decidendi", posta a base della decisione impugnata, concernente la intervenuta sanatoria ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, del vizio di nullità della notifica dell’avviso di mora.

Ed infatti, premesso che la interpretazione sistematica dell’art. 145 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art., comma 1, lett. e, nn. 1 e 3) e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 (richiamato in materia di I.V.A. dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56) accolta dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte ed alla quale questo Collegio aderisce, consente di ribadire che "gli atti tributavi devono essere notificati al contribuente persona giuridica presso la sede della stessa, entro l’ambito del domicilio fiscale, secondo la disciplina dell’art. 145 cod. proc. civ., comma 1. Qualora tale modalità risulti impossibile, si applica il successivo art. 145 cod. proc. civ., comma 3 e la notifica dovrà essere eseguita ai sensi degli artt. 138, 139 e 141 cod. proc. civ., alla persona fisica che rappresenta l’ente. In caso d’impossibilità di procedere anche secondo questa modalità, la notifica dovrà essere eseguita secondo le forme dell’art. 140 cod. proc. civ., ma se l’abitazione, l’ufficio o l’azienda del contribuente non si trovino nel comune del domicilio fiscale, la notifica dovrà effettuarsi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e) e si perfezionerà nell’ottavo giorno successivo a quello dell’affissione del prescritto avviso di deposito nell’albo del Comune" (cfr. Corte Cass. 1^ sez. 15.9.1995 n. 9766; id. 5^ sez. 9.5.2002 n. 6609; id. 5^ sez. 20.2.2006 n. 3618;

id. 5^ sez. 23.6.2006 n. 14664; id. 5^ sez. 10.3.2008 n. 6325; id. 5^ sez. 7.7.2009 n. 15856), e dunque ove si dovesse ritenere invalida la notifica dell’avviso di mora eseguita direttamente ai sensi degli artt. 138 139 e 141 c.p.c. nei confronti del rappresentante legale in quanto non preceduta dalla notifica presso la sede legale della società, ciò premesso la decisione impugnata va esente da censure in quanto i Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Corte in materia di sanatoria dei vizi della notifica degli atti tributari – ex art. 156 c.p.c., comma 3, principi che hanno trovato definitiva conferma nella pronuncia resa a SS.UU. in data 5.10.2004 n. 19854.

Tali principi possono riassumersi come segue:

– alla notifica degli atti di accertamento tributario si applica (in materia di imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60) la disciplina processuale delle notificazioni contenuta nel Codice di rito e dunque anche l’art. 156 c.p.c., comma 3, in tema di sanatoria per raggiungimento dello scopo dell’atto;

– la notifica degli avvisi di accertamento non è atto processuale in quanto costituente il mero antecedente dell’eventuale instaurazione della lite fiscale (il primo atto processuale del giudizio tributario va individuato nel ricorso del contribuente): da ciò consegue che le nullità della notifica dell’avviso non sono rilevabili "ex officio" dal Giudice;

la notifica dell’avviso opera sul piano sostanziale e si inserisce nell’esercizio dell’attività provvedimentale della Amministrazione in quanto atto (di partecipazione) con il quale la PA, nell’esercizio della potestà autoritativa tributaria, porta a conoscenza del contribuente la propria pretesa: al tempestivo perfezionamento della notifica dell’avviso la legge ricollega la consumazione del potere di accertamento, trattandosi di potere il cui esercizio è assoggettato a rigorosi limiti temporali a pena di decadenza della pretesa tributaria; – la sanatoria delle nullità del procedimento notificatorio per raggiungimento dello scopo (ipotesi che si verifica nel caso di impugnazione dell’avviso, irritualmente notificato, da parte del contribuente) opera certamente in relazione all’atto di partecipazione, ma non si estende anche ai vizi di validità od efficacia del provvedimento amministrativo partecipato (avviso di accertamento), nel senso che, anteriormente alla sanatoria, l’atto di partecipazione – in quanto viziato e non in grado di realizzare lo scopo cui è destinato – è inidoneo a produrre gli effetti che la legge riconduce alla conoscibilità dell’atto partecipato (decorrenza per il destinatario del termine di decadenza per la impugnazione dell’avviso di accertamento), mentre, una volta che l’atto di partecipazione invalido ha egualmente raggiunto lo scopo con la conseguita conoscenza di fatto da parte del destinatario del provvedimento amministrativo, la sanatoria della nullità determina il venire meno dell’interesse del destinatario a denunciare "esclusivamente" il predetto vizio, che può essere fatto valere, invece, nel caso in cui il ricorrente intenda dimostrare la tempestività della impugnazione ovvero intenda impugnare la validità degli atti consequenziali (per omessa valida notifica dell’atto presupposto) o ancora intenda far valere la decadenza (sostanziale: prevista dalle leggi regolative delle singole imposte) dell’Amministrazione dal potere di accertamento. Ed infatti la sanatoria per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., comma 3, pur impedendo la declaratoria di nullità dell’atto di partecipazione non esplica alcun effetto sui requisiti di validità ed esistenza dell’avviso di accertamento non potendo quindi impedire il decorso del termine di decadenza previsto dalla legge per l’esercizio della potestà impositiva eventualmente maturato precedentemente al fatto sanante (piena conoscenza del provvedimento da parte del contribuente): pertanto la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento "può essere sanata relativamente al conseguimento delle finalità dell’atto di portare a conoscenza del destinatario i termini della pretesa tributaria e sentirgli così un’adeguata difesa ma dell’esercizio del diritto di difesa mediante proposizione del ricorso non può mai derivare una convalida ex fune di un atto imperfetto, di per sè inidoneo ad evitare la decadenza" (cfr. Cass. SU n. 19854/2004; conf. Cass. 5^ sez. 9.6.2010 n. 13852).

La tempestiva proposizione del ricorso ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. e), e art. 21, da parte del rappresentante legale del Consorzio, in quanto fatto dimostrativo dell’avvenuta conoscenza del contenuto dell’atto notificato, sana i vizi di nullità della notifica avendo questa comunque raggiunto il suo scopo.

1 ricorrente deduce (omettendo tuttavia di trascrivere il contenuto degli atti richiamati che i Giudici di merito avrebbero travisato) che tali principi non sarebbero applicabili al caso di specie in quanto "la persona fisica che rappresenta l’Ente non è identificata nell’atto impugnato", inoltre "il ricorrente S.G. – agiva "in proprio"- e non quale legale rapp.te del Consorzio CEIS" ed "il reale contribuente inteso come il destinatario della pretesa fiscale portata dal titolo esecutivo-avviso di mora non è il ricorrente (lo S.) ma il CEIS-Consorzio. Ma tali circostanze di fatto, come si è visto, introducono un tema di indagine del tutto nuovo che non ha costituito oggetto di esame da parte dei Giudici di merito i quali, al contrario, proprio sul presupposto dell’accertamento in fatto della eseguita notifica dell’avviso di mora – emesso nei confronti del contribuente Consorzio CEIS s.p.a. – presso il domicilio del rapp.te legale dell’ente ai sensi dell’art. 145, u.c. (nel testo vigente pro tempore), e della successiva impugnazione dell’atto notificato da parte della persona fisica indicata nella notifica quale rapp.te legale, hanno concluso per la sanatoria dei vizi della notifica per raggiungimento dello scopo.

Tali accertamenti in fatto, in conseguenza della inammissibilità delle precedenti censure esaminate tendenti a contestarli, debbono ritenersi irrevocabili e non possono, pertanto, essere rimessi nuovamente in discussione in questa sede 5. Il terzo motivo con il quale il ricorrente deduce omessa pronuncia (violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) della CTR in ordine al motivo di appello con il quale era stata dedotta la violazione da parte del primo giudice della regola ex art. 92 c.p.c., sulla attribuzione delle spese di lite, deve essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse, previa corretta qualificazione dello stesso come vizio di violazione della norma processuale di cui all’art. 92 c.p.c. (in sostanza il Giudice di appello, confermando sul punto la sentenza di prime cure, sarebbe incorso nello stesso errore di applicazione della norma processuale commesso dai primi Giudici).

Dalla sentenza della CTR si rileva, infatti, che il ricorrente con i motivi dell’atto di appello aveva investito tale Giudice anche in ordine alla erroneità della pronuncia di primo grado sulla compensazione delle spese di lite, rilevando in particolare la insussistenza dei "giusti motivi" legittimanti detta pronuncia e la contraddittorietà della stessa tenuto conto la Bipiesse Riscossioni s.p.a. era rimasta contumace in primo grado.

I Giudici di appello, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, non hanno omesso di pronunciare su tale motivo di gravame (e non sono quindi incorsi nella violazione dell’art. 112 c.p.c.), avendo invece espressamente statuito il rigetto della impugnazione anche in relazione al dedotto motivo, affermando in modo sia pure sintetico che "per effetto di quanto sopra resta inaccoglibile anche il secondo motivo di doglianza, dovendosi, al contrario, riconoscere alla BIPIESSE RISCOSSIONI il rimborso delle spese del giudizio".

Premesso che le due proposizioni contenute in detta statuizione (rigetto dello specifico motivo di gravame; condanna del ricorrente alle spese del grado di appello – liquidate nel dispositivo) debbono essere tenute ben distinte, la affermazione secondo cui dal rigetto degli altri motivi di gravame deriva anche il rigetto della impugnazione sul capo delle spese non può essere condivisa, tenuto conto che l’istituto della compensazione può. evidentemente, trovare applicazione nella sola ipotesi in cui entrambe le parti processuali abbiano sostenuto spese per apprestare le proprie difese, ipotesi che rimane esclusa nel caso di specie essendo una delle parti (Bipiesse Riscossioni s.p.a.) rimasta contumace nel primo grado di giudizio, dovendo aggiungersi per mera precisazione che tale parte, costituitasi nel successivo grado di giudizio, non ha comunque diritto, neppure nel caso in cui risulti totalmente vittoriosa, ad ottenere il rimborso di spese – non sostenute – attinenti alla precedente fase processuale in cui essa era rimasta contumace (cfr.

Corte Cass. 2^ sez. 12.3.1975 n. 922; id. 3^ sez. 27.11.1973; id. 3^ sez. 27.3.1987 n. 2994).

Tanto premesso, rileva il Collegio che in ordine alla censura non sussiste la condizione di ammissibilità della impugnazione. Ed infatti, secondo il principio di diritto costantemente affermato da questa Corte, l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c. – va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata; sicchè è inammissibile, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico, (cfr. Corte Cass. sez. lav. 23.5.2008 n. 13373; id. sez. lav. 10.11.2008 n. 26921; id. 2^ sez. 25.6.2010 n. 15353, che confermano il precedente orientamento:

Corte Cass. 1^ sez. 8.8.2003 n. 11969, id. 3^ sez. 26.7.2005 n. 15623; id. 1^ sez. 19.5.2006 n. 11844. Vedi Corte Cass. sez. lav.

6.3.2007 n. 5120 secondo cui "il principio fondamentale dell’interesse ( art. 100 cod. proc. civ., impedisce di domandare la cassazione di una sentenza per il solo fatto che presemi una motivazione carente, essendo onere del ricorrente specificare quali indagini, se correttamente eseguite, avrebbero potuto portare ad un risultato utile"). Nella specie la modifica della statuizione errata emessa dal Giudice di primo grado ("compensazione delle spese di lite" tra il contribuente-ricorrente, totalmente soccombente, e la società Concessionaria del servizio di riscossione, resistente- contumace. risultata vittoriosa) con la statuizione corretta che quel Giudice avrebbe dovuto adottare in considerazione della contumacia della parte resistente (nulla a disporre sulle spese), modifica conseguente all’eventuale accoglimento del corrispondete motivo con il quale il ricorrente impugna in sede di legittimità la erroneità della pronuncia della CTR denunciano la violazione dell’art. 92 c.p.c., non determinerebbe alcun risultato utile di cui potrebbe avvantaggiarsi il ricorrente-soccombente.

6. Il quarto motivo con il quale il ricorrente impugna il capo della sentenza di appello concernente la condanna alle spese di lite in favore di Bipiesse Riscossioni s.p.a. è infondato.

Il ricorrente sostiene che Giudici territoriali avrebbero illegittimamente pronunciato la condanna alla rifusione delle spese del grado in favore di una parte che – secondo la tesi difensiva esposta dallo stesso ricorrente con il primo motivo di ricorso per cassazione – non poteva ritenersi ritualmente costituita in giudizio.

Non avendo, tuttavia, trovato accoglimento il ricorso in relazione al (primo) motivo "presupposto", ne consegue la infondatezza del (quarto) motivo da quello totalmente dipendente.

7. Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Nulla deve disporsi sulle spese di lite del presente giudizio non avendo svolto difese la parte resistente.
P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso. Nulla sulle spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *