T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 07-03-2011, n. 2077 Condono

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente ha presentato in data 28/2/95 domanda di sanatoria ai sensi della L. 724/94 in relazione ad un fabbricato destinato ad uso civile abitazione composto di un piano terra, di mq. 34,19 realizzato sul terreno di sua proprietà, sito nel Comune di Colonna, Località Capo Gillaro, riportato in catasto al foglio 6, part. 341, 342.

Il terreno ricade in zona F rurale secondo il P.R.G. di Colonna, e secondo il P.T.P. n. 9 ricade in zona 4 – "Zona agricola non compromessa con modesto valore paesaggistico ed ambientale".

Con provvedimento n. 12 del 30/11/07, il Comune di Colonna ha reso parere favorevole ai sensi della L. 47/85, ma detto atto è stato annullato dal decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali dell’1/2/08.

La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Lazio, con decreto del 27/2/08, ha provveduto a rettificare il decreto in data 1/2/08 nella parte in cui dichiarava l’immobile oggetto di sanatoria come ricadente in due comuni diversi e riteneva sussistente la competenza della Regione Lazio.

Detto atto, secondo il ricorrente, non sarebbe idoneo a rettificare il precedente decreto in quanto correggerebbe il provvedimento del Comune di Colonna del 31/01/20008, mentre l’atto annullato dal Ministero porterebbe la data dell’1/2/2008.

Avverso i due provvedimenti il ricorrente deduce i seguenti motivi di impugnazione:

1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 146 e 159 del D.Lgs. 42/04. Violazione e falsa applicazione della L.R. n. 59/95. Eccesso di potere – Inesistenza dei presupposti in fatto ed in diritto – Difetto assoluto di istruttoria e di motivazione – Contraddittorietà.

Sostiene il ricorrente che il proprio manufatto ricadrebbe in area già compromessa tenuto conto dell’estrema vicinanza con il casello autostradale di San Cesareo dell’Autostrada RMNA.

Il Comune di Colonna avrebbe reso il parere favorevole – dopo aver eseguito un’approfondita istruttoria – avendo tenuto conto delle limitate dimensioni del manufatto e del contesto ambientale nel quale è inserito.

2. Violazione di legge (artt. 1 e 3 della L. 241/90) – Difetto di motivazione – Contraddittorietà – Travisamento.

Deduce il ricorrente il difetto di motivazione del provvedimento impugnato: l’Amministrazione statale non avrebbe rilevato specifiche difformità della costruzione rispetto alle prescrizioni recate dal P.T.P. limitandosi a dichiarare una generica incompatibilità, né avrebbe indicato le specifiche ragioni di contrasto del fabbricato con l’ambiente vincolato

3. Violazione e falsa applicazione della L. 59/95 – Eccesso di potere – Error in iudicando.

Il provvedimento sarebbe viziato perché giustificherebbe l’annullamento del provvedimento comunale ritenendo l’immobile ricadente in due comuni, mentre nel caso di specie il fabbricato ricadrebbe esclusivamente nel Comune di Colonna.

Insiste quindi il ricorrente per l’accoglimento del ricorso.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

Anche il Comune di Colonna si è costituito in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso.

In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie nelle quali hanno meglio illustrato le loro tesi difensive.

All’udienza pubblica del 21 dicembre 2010, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame il ricorrente ha impugnato il provvedimento della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Lazio dell’1/2/08, con il quale è stato annullato il provvedimento del Comune di Colonna n. 12 del 30/11/07, con cui era stato reso parere favorevole, ai sensi dell’art. 32 della L. 47/85 e dell’art. 39 della L. 714/94, sulla domanda di sanatoria presentata con riferimento all’intervento abusivo realizzato sull’immobile di proprietà del ricorrente e sito nel Comune di Colonna, Località Campo Gillaro, distinto in catasto al foglio 6, part. 341 e 342, sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi del D.M. 5/4/60.

La zona nella quale ricade il fabbricato è classificata dal P.T.P. ambito n. 9 come Zona "C", sottozona "C/04" – zona agricola con modesto valore paesistico e ambientale; per detta zona il P.T.P. detta le seguenti prescrizioni e modalità d’uso: l’edificazione è consentita, sempreché ammessa dagli strumenti urbanistici vigenti, con il limite di mc 0,015/mq su lotti minimi di 20.000 mq. Quando si disponga di un lotto non inferiore a mq. 2.000, è ammessa la costruzione soltanto di monolocali per ricovero attrezzi agricoli di altezza non superiore a m. 2,50 e superficie non superiore a mq. 9

Nel disporre l’annullamento del provvedimento comunale, la Soprintendenza ha rilevato:

– che l’intervento non sarebbe conforme alle norme del P.T.P. n. 9 in quanto la superficie totale delle opere realizzate sarebbe di mq. 43,53 per un’altezza di mt. 3 su di un lotto di terreno inferiore a 500 mq;

– che il richiamo motivazionale al P.T.P. non sarebbe sufficiente a giustificare il contrasto tra l’opera che si intenderebbe condonare ed i contenuti del vincolo, così come caratterizzati dalle disposizioni del piano territoriale paesistico;

– che l’autorizzazione o il parere non adempirebbero all’obbligo legale di una motivazione esauriente e completa in ordine alla compatibilità dell’opera realizzata rispetto alle valenze del vincolo e alla sua disciplina;

– che l’atto emesso dal Comune dovrebbe ritenersi illegittimo in quanto, trattandosi di edificio ricadente in due comuni diversi, il parere per la sanatoria dovrebbe essere rilasciato dalla Regione Lazio.

Prima di esaminare le singole censure proposte avverso il decreto datato 1 febbraio 2008, occorre rilevare che l’erronea localizzazione del fabbricato oggetto di sanatoria (ed il conseguente riferimento alla competenza della Regione Lazio) costituisce un evidente errore materiale, come peraltro dimostra l’adozione del provvedimento di rettifica del decreto da parte della stessa Soprintendenza, che – però – per un nuovo errore materiale, non riporta esattamente la data del decreto oggetto di correzione.

In ogni caso – al di là dell’erronea indicazione della data del decreto da rettificare -, è indubitabile che l’atto del 27/2/08 costituisca la rettifica di quello dell’ 1/2/08, in quanto nel testo del provvedimento viene espressamente richiamato l’atto da rettificare, individuato con la denominazione di "D.S. 01/02/2008" e di questo atto viene trascritto integralmente il testo da correggere: ne consegue che l’erronea indicazione della data contenuta nel dispositivo costituisce un mero errore materiale che non può togliere effetto all’atto di rettifica.

Il terzo motivo di ricorso deve essere quindi respinto, in quanto l’erronea localizzazione del fabbricato è frutto di un evidente errore materiale prontamente corretto dall’Amministrazione; peraltro, essendo l’atto motivato sulla base di altri presupposti – idonei a sorreggerlo – l’errore anche se non fosse stato corretto, non avrebbe potuto comunque comportare la declaratoria di illegittimità del provvedimento.

Infondati sono, infatti, gli altri motivi di ricorso con i quali lamenta il ricorrente il difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento impugnato, non potendosi condividere la sua tesi secondo cui la Soprintendenza non avrebbe dovuto far applicazione della disciplina recata dal P.T.P. n. 9 trattandosi di sanatoria; secondo il ricorrente, infatti, in caso di parere ex art. 32 della L. 47/85, le Amministrazioni comunali non sarebbero tenute ad attenersi rigidamente alle prescrizioni recate dai piani paesistici, ma potrebbero valutare discrezionalmente il reale ed effettivo stato dei luoghi nei quali si trova il manufatto oggetto di sanatoria, e verificare così la compatibilità in concreto del fabbricato con il tessuto paesaggistico nel quale l’opera si colloca.

Le censure sono infondate.

Innanzitutto ritiene il Collegio che legittimamente l’autorità ministeriale abbia rilevato, ponendolo a base del disposto annullamento, il difetto di motivazione dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’autorità comunale.

L’articolo 82 del DPR n. 616/1977, il successivo art. 151 del D.Lgs. n. 490/1999 ed oggi la normativa contenuta nel D.Lgs. n. 42/2004) configurano un sistema complesso di tutela del paesaggio, implicante l’intervento sia della Regione che dello Stato, in cui la concorrenza dei poteri è disciplinata dal principio di leale cooperazione (Corte Cost., sent. N. 359/1995, n. 151/1986, n. 302/1988).

Con specifico riferimento ai poteri della Regione (o dell’ente subdelegato), va rilevato che la funzione dell’autorizzazione è quella di verifica della compatibilità dell’opera edilizia che si intende realizzare con l’esigenza di conservazione dei valori paesistici protetti dal vincolo.

È stato, infatti, evidenziato (cfr. Cons.Stato, VI, 14111991, n. 828; VI, 2591995, n. 963) che quest’ultimo contiene un accertamento circa l’esistenza di valori paesistici oggettivamente non derogabile e che è compito dell’autorizzazione accertare in concreto la compatibilità dell’intervento con il mantenimento e l’integrità dei richiamati valori.

Difatti, il paesaggio è un valore costituzionale primario e, pertanto, l’autorità amministrativa non deve svolgere una ponderazione comparativa tra un interesse primario ed un interesse secondario, ma unicamente operare un giudizio in concreto circa il rispetto da parte dell’intervento progettato delle esigenze connesse alla tutela del paesaggio stesso.

La determinazione dell’ente locale deve, dunque, essere motivata anche quando abbia contenuto positivo, favorevole al richiedente.

Tale principio, già consolidato in giurisprudenza in relazione alla peculiare natura dell’atto ed alla rilevanza degli interessi coinvolti (cfr. Cons.Stato, VI, 15121981, n. 751; 1951981, n. 221; IV, 18111980, n. 1104), trova oggi espresso fondamento normativo nell’articolo 3 della legge n. 241/1990, secondo il quale ogni provvedimento amministrativo, di contenuto sia negativo che positivo, deve essere motivato, recando l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione in relazione alle risultanze dell’istruttoria.

Quanto, poi, al contenuto di tale motivazione, la giurisprudenza è ferma nel ritenere, ai fini della congruità e sufficienza della stessa, che debba esservi l’indicazione della ricostruzione dell’iter logico seguito, in ordine alle ragioni di compatibilità effettive che – in riferimento agli specifici valori paesistici dei luoghi – possano consentire tutti i progettati lavori, considerati nella loro globalità e non esclusivamente in semplici episodi di dettaglio (cfr. Cons.Stato, VI, 571990, n. 692; 14111991, n. 828; 2591993, n. 963; 2061995, n. 952).

Le considerazioni sopra svolte valgono anche per il procedimento di condono edilizio di opere realizzate su aree sottoposte a vincolo, per il quale l’articolo 32 della legge n. 47/1985 dispone che "il rilascio della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria… è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso".

Invero, la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, VI, 2811998, n. 114) ha avuto modo di chiarire che il suddetto parere ha natura e funzioni identiche alla autorizzazione paesaggistica, in quanto entrambi gli atti costituiscono il presupposto per l’assentimento del titolo che legittima la trasformazione urbanistico edilizia della zona protetta; con la conseguenza che anche in tale caso è applicabile il potere ministeriale di annullamento del provvedimento.

Venendo, dunque, all’esame della fattispecie concreta oggetto del presente giudizio e facendo applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, appare evidente il difetto di motivazione del provvedimento comunale che afferma la compatibilità delle opere con il contesto paesistico protetto, con i criteri di gestione dell’area, e con gli obiettivi di compatibilità paesistica stabiliti dall’art. 20 del testo coordinato delle N.T.A. del P.T.P. Ambito n. 9 senza indicarne le ragioni, considerato l’evidente contrasto con la disciplina recata dal P.T.P. con riferimento all’indice di fabbricabilità e al lotto minimo.

La Soprintendenza ha rilevato che il mero richiamo al contenuto della norma del P.T.P. non può ritenersi sufficiente a sostenere la compatibilità dell’intervento con la normativa paesistica quando vi è un evidente contrasto (come nel caso di specie) con la disciplina ivi contenuta.

Né può ritenersi, che trattandosi di procedimento di condono, il Comune, nell’esercizio del suo potere subdelegato, possa discostarsi dalla disciplina di tutela effettuando valutazioni soggettive disancorate dai parametri normativi: il giudizio di compatibilità, infatti, viene reso tenendo conto dalla disciplina normativa vigente al momento della pronuncia; la disposizione di portata generale di cui all’art. 32, primo comma, della legge 47 del 1985 relativa ai vincoli che appongono limiti all’edificazione, non reca, infatti, alcuna deroga al principio di legalità che impone l’esplicazione della funzione amministrativa secondo la norma vigente al tempo in cui la funzione si esplica ("tempus regit actum").

Pertanto nella considerazione che, in mancanza di una deroga espressa, la compatibilità dell’intervento edilizio da sanare deve essere effettuata con riguardo alla disciplina urbanistica vigente al momento in cui il parere deve essere reso, in quanto prima l’immobile non aveva giuridica esistenza, l’art. 32, primo comma, della legge 47 del 1985 deve interpretarsi "nel senso che l’obbligo di pronuncia da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione all’esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria e che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente" (cfr. Cons di Stato, Sez. V, 22 dicembre 1994 n. 1574)(così testualmente T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia 25/7/05 n. 785).

Ne consegue che il Comune (quale ente subdelegato) e la Soprintendenza sono tenuti ad applicare la normativa paesistica vigente al momento del rilascio dell’autorizzazione.

Il ricorso deve essere quindi respinto perché infondato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Amministrazione resistente che liquida in complessivi Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre accessori di legge; dispone invece la compensazione delle spese nei confronti del Comune di Colonna.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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