Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-01-2011) 09-03-2011, n. 9311 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza in data 10 giugno – 9 luglio 2010, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Oristano in data 10 novembre 2009, emessa all’esito di giudizio abbreviato, ha rideterminato la pena inflitta a P.G., con la contestata e ritenuta recidiva reiterata, in quella di anni 8 e mesi 4 di reclusione, così riducendo la pena irrogata dal primo giudice di anni 9 e mesi 8 di reclusione, per i reati, unificati col vincolo della continuazione, di tentato omicidio aggravato, detenzione e porto abusivo di fucile e danneggiamento aggravato, commessi in (OMISSIS), previo riconoscimento, in appello, della circostanza attenuante di cui alla L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 7 e succ. mod., con riguardo alla violazione della legge sulle armi.

A sostegno del più grave delitto di tentato omicidio in danno di M.R. (ex convivente dell’imputato) e del di lei figlio, C.M., contro i quali, a termini di contestazione, il P. esplose un colpo di fucile caricato a panettoni, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua volontà, consistite nella pronta reazione delle persone offese, le quali, avendo capito le intenzioni dell’antagonista, si gettarono a terra per evitare di essere colpite, la Corte di appello, dopo avere ricostruito il contesto di forte contrapposizione tra le parti e di intimidazione agita dal P. nei confronti della M. e del C. (solo il giorno prima l’imputato aveva minacciato di morte quest’ultimo e, in numerose occasioni, aveva rivolto analoghe minacce alla donna, cui contendeva il godimento di una casa popolare ad entrambi assegnata durante la loro convivenza, ma rimasta nella disponibilità del solo P. dopo la cessazione del rapporto con timore dell’uomo di esserne privato), ha sostenuto che tutti gli elementi raccolti deponevano per l’univocità, oltre che per l’idoneità, degli atti posti in essere dall’imputato diretti a colpire mortalmente la M. e il C.: a) l’uso di un fucile con micidiale carica a panettoni che invasero il piccolo locale (cucinino) dell’appartamento della madre della M., in cui le persone offese erano provvisoriamente residenti in attesa della soluzione della vertenza col P. sull’assegnazione dell’ex casa comune, con una forza cinetica sufficiente per uccidere, considerata la profondità (28 mm) di impatto sulla parete retrostante; b) gli immediati prodromi dello sparo, allorchè la M. e il C. si trovavano sulla veranda della loro casa al primo piano della palazzina, spettatori allarmati dal danneggiamento di uno degli pneumatici dell’autovettura della M., parcheggiata sulla strada sottostante, appena perpetrato dal P. in reazione al negatogli ingresso in casa e alla chiamata della polizia da parte della donna; c) l’accertata direzione del colpo, dal basso verso l’alto e seguendo i movimenti delle persone offese, sparato dall’imputato che si trovava sulla strada, nei pressi di un lampione della pubblica illuminazione essendo l’azione avvenuta poco prima delle 22.30, ad una distanza di circa dieci metri dalla palazzina e di fronte ad essa, cosicchè il P. poteva vedere la M. e il C. ed essere visto dai suoi antagonisti: quest’ultimi, accortisi che era armato e puntava l’arma contro di loro, si erano spostati dalla piccola veranda nell’adiacente cucinino illuminato, gettandosi a terra immediatamente prima di avvertire il colpo, simile ad una bomba, la cui traiettoria era stata tecnicamente ricostruita ad un’altezza di circa mt. 1,90 dal piano di calpestio del locale, solo pochi centimetri più sopra le teste del C. (alto mt.

1.82) e della M. (alta mt, 1,64), che, perciò, sarebbero state spaccate dai micidiali proiettili della rosata, se le vittime non avessero avuto la prontezza di buttarsi sul pavimento.

2. Avverso la predetta sentenza il P., tramite il difensore, avvocato Agostinangelo Marras, ha proposto ricorso, in data 30 settembre 2010, deducendo un unico motivo, ravvisato nella violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto ritenuta sussistenza del tentativo di omicidio piuttosto che del delitto di minaccia aggravata.

Ad avviso del ricorrente, l’idoneità dell’azione deve essere apprezzata in concreto e non in astratto, sulla base di elementi oggettivi che indichino la reale volontà dell’agente e non fondandosi sulla rappresentazione di elementi meramente suggestivi.

Nella fattispecie non potrebbe prescindersi dalla considerazione che, al momento dello sparo, le vittime non erano a vista, come avrebbe ammesso la stessa M. nella sua seconda chiamata telefonica alla Questura di Oristano, parlando del fucile prelevato dal P. all’interno dell’autovettura con la quale era giunto sul posto, e da lui puntato contro l’abitazione dell’ex convivente mentre ella, temendo di essere vista, si nascondeva insieme al figlio.

Non sussistendo, quindi, alcun bersaglio al momento dello sparo, sarebbe assolutamente irrilevante il tipo di arma usata nonchè il caricamento della stessa e il fatto che i panettoni siano andati ad impattare sul soffitto della cucina, trovandosi le vittime assolutamente fuori dalla traiettoria di tiro.

Ad ulteriore suffragio della predetta ricostruzione, il ricorrente adduce la circostanza della mancata reiterazione dello sparo, non risultando alcuna traccia del secondo sparo pur riferito dai testimoni ed erroneamente svalutato dalla Corte di merito, la quale ha ritenuto sufficiente anche solo il primo sparo per affermare la sussistenza del tentativo omicidiario.

Ritiene, invece, il ricorrente che, al riguardo, si ponga un’alternativa tra l’esclusione del secondo sparo o la sua ammissione senza tracce lasciate nell’appartamento delle persone offese, da cui comunque deriverebbe una sola logica conclusione che evidenzierebbe la volontà del P. di minacciare, seppure pesantemente, ma non di uccidere le vittime, altrimenti avrebbe reiterato il colpo ovvero lo avrebbe ripetuto in direzione della loro abitazione.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile.

L’unico motivo proposto, infatti, sollecita una diversa valutazione degli elementi probatori acquisiti nel corso del giudizio di merito, pur accuratamente considerati nella diffusa motivazione della Corte territoriale, collocando l’azione di sparo contro la casa delle vittime a bersaglio per così dire vuoto, per essersi la M. e il C., che erano all’interno dell’abitazione, già nascosti allo sguardo del loro aggressore, mentre la decisione impugnata assume, con ricostruzione adeguatamente motivata del fatto sulla base del materiale probatorio acquisito, la contestualità tra l’azione di sparo del P. e il repentino abbassamento della M. e del C., scappati dalla piccola veranda dove inizialmente si trovavano nell’adiacente cucinino illuminato, immediatamente raggiunto dalla rosata del colpo a panettoni esploso dall’imputato, il quale seguì con l’arma i movimenti delle vittime e sparò nella loro direzione, al punto che i proiettili penetrarono nel soffitto e nella parete retrostante il locale, poco sopra le teste dei mancati bersagli.

Parimenti valutativo è il rilievo che il secondo colpo, di cui non è stata trovata traccia, pur essendo stato riferito dai testimoni che hanno dichiarato di averlo udito, non fu sparato contro l’appartamento della M. e del C., ciò che dimostrerebbe l’intento non omicida del P., il quale non avrebbe evitato di sparare nuovamente in direzione delle vittime, ove fosse stato realmente animato dalla volontà di uccidere, e, comunque, non si sarebbe limitato ad una sola esplosione se il suo intento, non raggiunto col primo sparo, fosse stato proprio quello di sopprimere i suoi antagonisti.

Questa Corte ha già chiarito che, "in virtù della previsione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), novellato dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 il controllo del giudice di legittimità si estende alla omessa considerazione o al travisamento della prova, purchè decisiva, con la precisazione che ciò che è deducibile in sede di legittimità e rientra, pertanto, in detto controllo è solo l’errore revocatorio (sul significante), in quanto il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata, introdotto con la suddetta novella, non può che essere inteso in senso stretto, quale rapporto di negazione sulle premesse, mentre ad esso è estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per "brani" nè fuori dal contesto in cui è inserito. Ne deriva che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e che, pertanto, restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio" (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, dep. 27/02/2007, Ienco, Rv. 236540; in senso conforme, con precisazione della differenza tra preteso "travisamento del fatto", non deducibile come motivo di ricorso per cassazione, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e "travisamento della prova", rilevante invece come vizio di legittimità del provvedimento, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano: Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, dep. 23/10/2007, Casavola, Rv, 238215).

Nella fattispecie, dunque, essendosi il ricorrente limitato a prospettare una ricostruzione alternativa della dinamica del fatto senza specificare quali atti del processo la giustificherebbero in contrasto con la limpida e coerente rappresentazione della condotta del P. esposta nella sentenza impugnata, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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