Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-01-2011) 09-03-2011, n. 9314 Sentenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Catanzaro, decidendo sull’appello proposto da F.G. avverso il provvedimento con il quale il GIP del medesimo Tribunale, il 22.4.2010 aveva rigettato la sua istanza volta a far dichiarare la perdita di efficacia del titolo esecutivo a mente dell’art. 300 c.p.p., comma 4, con ordinanza del dì 8.7.2010, lo rigettava.

A sostegno della decisione il tribunale rilevava che:

– al F. era stata applicata, in data 3.6.2008, la misura della custodia cautelare in carcere in ordine a sette ipotesi delittuose di estorsione, tutte aggravate ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7 e che in relazione ad esse l’imputato era stato condannato all’esito di giudizio abbreviato alla pena di anni sette di reclusione;

– il GIP aveva rigettato l’istanza presentata dalla difesa dell’imputato ai sensi del citato art. 300 c.p.p., comma 4;

– avverso detto provvedimento era stato proposto appello al giudice del riesame;

– l’appello era infondato giacchè nella fattispecie si è in presenza di un unico reato di estorsione consumata e non già di un reato continuato, posto che la rateizzazione del "pizzo", provento estorsivo, caratterizza la figura del reato cd. "a consumazione prolungata" ovvero "a condotta frazionata" e non già alle figure tipiche del reato continuato ovvero permanente;

– a tale giuridica qualificazione consegue che, vertendosi in ipotesi di singoli atti di un’unica azione estorsiva, la consumazione di questa va spostato al tempo dell’ultimo pagamento;

– su tali premesse il fatto più grave in quanto più risalente sarebbe quello descritto nel capo 39 della rubrica e tenuto conto del tempo della detenzione, pari ad anni due, mesi uno e giorni uno, nonchè della entità della sanzione intlitta, pari ad anni sette di reclusione, non ricorre nella fattispecie alcuna violazione dell’art. 300 c.p.p., comma 4, giacchè inferiore il tempo della subita detenzione cautelare a quello della pena inflitta, posta a base del calcolo, per il reato più grave (appunto quello di cui al capo 39).

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione per violazione di legge e per difetto di motivazione l’imputato, assistito dal difensore di fiducia, il quale deduce, in particolare, che:

– il capo di imputazione di cui al capo 2) della rubrica descrive non già un’unica estorsione, bensì una pluralità di reati, avvinti dal vincolo della continuazione, il più risalente dei quali consumato nel (OMISSIS);

– vertedosi in ipotesi di reato continuato, ciascuno di quelli in esso compresi mantiene, oltre la ficto juris regolamentata dalla disciplina di favore, la propria individualità;

– nella fattispecie, il delitto più risalente è quello di cui al capo 2), consumato, come detto, nel (OMISSIS) e non già quello indicato dal Tribunale, ascritto al capo 39), consumato nel (OMISSIS), peraltro contestato nelle forme del tentativo;

– la tesi difensiva trova in eludibile conferma nella circostanza che la condanna inflitta al ricorrente contempla la pena base di anni sette di reclusione, aumentata, tra l’altro, di mesi tre "per ognuna delle tre fattispecie estorsive tentate" (così a pag. 69 della sentenza).

3. Il ricorso è fondato.

3.1 La difesa ricorrente pone due questioni giuridiche, quella relativa alla individuazione, nella fattispecie in esame, di un unico reato estorsivo ovvero di più condotte estorsive autonome, unificate a mente dell’art. 81 c.p. e quella della applicabilità o meno, al caso in esame, della regola posta dall’art. 300 c.p.p., comma 4, il quale, come è noto, testualmente recita:

"4. La custodia cautelare perde altresì efficacia quando è pronunciata sentenza di condanna, ancorchè sottoposta a impugnazione, se la durata della custodia già subita non è inferiore all’entità della pena irrogata".

Per la corretta interpretazione di tale regola è recentemente intervenuta questa Corte, nella sua più autorevole composizione, affermando il principio di diritto secondo il quale, nel caso di pena irrogata per il reato continuato, qualora il titolo cautelare riguardi solo il reato o i reati meno gravi, è la porzione di pena determinata in aumento, in applicazione del criterio del cumulo giuridico di cui all’art. 81 cpv. c.p., che deve essere considerata, a norma dell’art. 300 c.p.p., comma 4, per verificare se essa sia pari o inferiore alla durata della custodia cautelare già subita, in quanto è solo tale porzione di pena quella potenzialmente da porre in esecuzione con riferimento al reato o ai reati per i quali è in corso la custodia cautelare (Cass., Sez. Unite, 26/03/2009, n. 25956).

Con la citata pronuncia la ss.uu. hanno altresì precisato che, nell’ipotesi in cui la sentenza di condanna abbia ad oggetto un reato continuato ed il titolo cautelare riguardi solo uno dei reati in continuazione, e non la violazione più grave, la pena cui fare riferimento per verificare se la custodia cautelare subita sia ad essa non inferiore, ex art. 300 c.p.p., comma 4, è quella concretamente inflitta per il reato o (complessivamente) per i reati satellite cui si riferisce la custodia cautelare.

3.2 Ciò premesso osserva la Corte che nel caso di specie il giudice a qua ha rigettato l’istanza difensiva sul presupposto del che la sentenza di condanna resa dal Tribunale abbia affermato la colpevolezza dell’imputato in relazione ad un unico reato estorsivo, ancorchè articolato in più momenti, mentre in realtà i giudicanti hanno ritenuto sussistente una serie di autonome condotte estorsive, al momento della condanna considerate espressione di un unico disegno criminoso a mente dell’art. 81 c.p..

Di poi entrando in palese contraddizione logica e giuridica con l’esposto assunto, ha altresì precisato il giudice a quo che correttamente avrebbe il GIP, nel rendere il provvedimento appellato, individuato il reato più grave nella tentata estorsione di cui al capo 39 della rubrica.

4. Attesa pertanto l’erroneità della premessa, giacchè giudicata l’ipotesi data da più reati analoghi valutati in continuazione, e la contraddizione argomentativa riferita alla indicazione di una ipotesi di estorsione tentata (il capo 39 appunto) quale reato più grave di quella, pur contestata, compiutamente consumata, l’ordinanza deve essere radicalmente cassata, con rinvio al giudice territoriale affinchè, coerentemente con l’insegnamento di queste ss.uu., innanzi sintetizzato, provveda: a) a verificare le singole sanzioni determinate per il reato più grave e per quelli satellite; b) a verificare poi per quali condotte risulta adottata la misura cautelare; c) a confrontare la pena o le pene inflitte per i reati compresi nella misura al fine di verificare il rispetto o meno del principio dell’art. 300 c.p.p., comma 4.
P.Q.M.

la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame Tribunale di Catanzaro.

DISPONE trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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