Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-01-2011) 09-03-2011, n. 9632

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte di Cassazione, con sentenza del 16 – 25 marzo 2010, aveva annullato con rinvio la sentenza della Corte di Appello di Napoli, che aveva condannato N.C. alla pena di anni dieci di reclusione ed Euro 3.500,00 di multa per due ipotesi di tentata estorsione aggravata e di partecipazione ad associazione per delinquere di carattere mafioso, limitatamente al trattamento sanzionatorio, non avendo la Corte di merito fatto corretta applicazione di quanto disposto dall’art. 63 c.p., comma 4.

Precisava la Corte di legittimità che il giudice di secondo grado, dopo avere stabilito in relazione alla circostanza speciale più grave, quella di cui all’art. 629 cpv. c.p., la pena di anni sei di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, aveva apportato due aumenti per le altre aggravanti ad effetto speciale, quella di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e la recidiva infraquinquennale, mentre poteva solo, facoltativamente, apportare sulla suddetta pena un unico aumento, fino ad un terzo.

La Corte di Appello di Napoli, quale giudice di rinvio, con sentenza emessa in data 10 giugno 2010, dopo avere rilevato che in effetti la Corte di merito aveva determinato la pena base per il reato più grave in relazione alla fattispecie tentata aggravata ai sensi dell’art. 629 c.p., comma 2, nn. 1 e 3, ivi inclusa la recidiva, e che successivamente aveva operato un aumento per l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 ed un altro per la continuazione, stabiliva che l’inciso dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 subito dopo la valutazione della incidenza della recidiva generica e subito prima delle aggravanti di cui all’art. 629 c.p., costituiva niente altro che un mero errore materiale, tenuto conto della sola considerazione aritmetica del calcolo effettuato.

Tanto premesso la Corte di merito, tenuto conto dei principi di cui all’art. 63 c.p., comma 4, condannava il N. alla complessiva pena di anni nove di reclusione ed Euro 3.500,00 di multa.

Con il ricorso per cassazione N.C. deduceva la violazione di legge e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione perchè il giudice di primo grado aveva errato calcolando due volte l’aumento di pena per l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, mentre il giudice di rinvio si era limitato a considerare che la prima menzione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 fosse niente altro che un refuso, senza spiegare per quale ragione refuso non poteva essere considerata la successiva indicazione aumentata ex art. 7 legge citata ad anni nove.

In tal modo sarebbero stati violati anche i principi del favor rei e dell’in dubio pro reo.

Il N. depositava anche motivi aggiunti con i quali denunciava la violazione dell’art. 63 c.p. e indicava nuovi argomenti a sostegno del ricorso.

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da N.C. non sono fondati. In effetti il problema è sorto per effetto di un refuso, essendo stato indicato due volte nella motivazione della sentenza di primo grado l’aumento di pena per effetto dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

La Corte di Cassazione ha considerato la possibile violazione dell’art. 63 c.p., comma 4, che consente in caso di concorso di più circostanza aggravanti ad effetto speciale un unico aumento di pena ed ha annullato la sentenza di secondo grado.

Il giudice di rinvio, interpretando, quanto era stato detto dal Tribunale ha chiarito che si trattava appunto di un refuso perchè in effetti l’aumento per l’aggravante di cui al citato art. 7 era stato applicato una sola volta.

In ogni caso la Corte di rinvio, nel rivalutare i motivi di impugnazione sul punto, ha riesaminato la questione ed ha rideterminato la pena, non superando i limiti di quella comminata dal giudice di primo grado e non incorrendo, pertanto, nel divieto di cui all’art. 597 c.p.p..

La Corte di rinvio ha determinato la pena base per il delitto di tentata estorsione pluriaggravata dalle circostanze di cui all’art. 628 c.p., comma 2, nn. 1 e 3, ivi inclusa la recidiva contestata, in anni sei si reclusione ed Euro 2.000,00 di multa.

Ha poi stabilito su tale pena l’aumento per l’aggravante di cui al citato art. 7 determinando la pena in anni otto di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa.

Infine ha applicato la continuazione per il reato sub A) determinando la pena in anni nove di reclusione ed Euro 3.500,00 di multa.

I calcoli appaiono corretti ed è stato pienamente rispettato il principio previsto dall’art. 63 c.p., comma 4.

La Corte di rinvio, nel rifare il calcolo della pena, non ha violato il principio del divieto di reformatio in peius perchè la pena comminata risulta inferiore sia a quella determinata dal Tribunale, sia da quella precisata dalla Corte di Appello nella sentenza annullata.

Risulta inammissibile il motivo aggiunto concernente il riconoscimento delle attenuanti generiche sia perchè il punto concernente il mancato riconoscimento delle stesse non era stato impugnato con il ricorso principale, sia perchè la Corte di Cassazione non aveva annullato sul punto, essendosi limitata a disporre il rinvio per erronea applicazione dell’art. 63 c.p., comma 4.

Per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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