T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 07-03-2011, n. 2065 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con i primi tre gravami, meglio specificati in epigrafe, la parte ricorrente ha impugnato tutti gli atti endoprocedimentali adottati dalle differenti autorità coinvolte dal procedimento, e quello della conferenza dei servizi con cui si era esitato negativamente l’istanza, presentata dalla parte ricorrente in esito all’Avviso Pubblico del 12.9.05, relativa ad intervento da realizzarsi nel Comune di Olevano Romano con i benefici del "Patto Territoriale delle Colline Romane".

Con ordinanza n. 3411 del 14 luglio 2009, sul ricorso n. 4773 del 2009, è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare del parere negativo della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Roma del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Con l’ultimo ricorso, il n.463/2010 ha infine richiesto l’annullamento del provvedimento finale negativo dell’Agenzia di Sviluppo, riprendendo anche le censure già in precedenza introdotte nei precedenti gravami. In particolare, il gravame è affidato alla denuncia di sette rubriche relative rispettivamente: alla violazione dell’articolo 10 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241; all’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, all’errore sui presupposti, alla disparità di trattamento ed all’ingiustizia manifesta; alla violazione dell’articolo 1, comma 203, della legge n. 662/1996, dell’articolo 34 del D. Lgs. n. 267/2000; dell’art.41 comma 3 delle NTA del PTRR di cui alla GR nn.556 del 25 luglio 2007 e del n.1095 del 21 dicembre 2007; dell’art.42 delle NTA del PTRR del 14 2.2008; dell’art. 2, comma 34 della L.R. n. 22/1997; e dell’art. 27bis della L. R. n.24/1998.

La Difesa Erariale si è costituita in giudizio per il Ministero, versando alcuni atti relativi al parere negativo della Soprintendenza.

La Regione Lazio costituitasi nei diversi giudizi, con memorie sostanzialmente analoghe, ha confutato le argomentazioni di controparte, concludendo per il rigetto.

L’Agenzia di Sviluppo per le Colline Romane(ASP), che ha emanato il provvedimento impugnato, si è costituita in tutti i giudizi ma non ad resistendum ma, del tutto singolarmente, ad adjuvandum, in relazione ad un riferito interesse del "Patto e della correttezza del procedimento".

L’ ASP con le proprie memorie ha dunque affermato la fondatezza di tutte le censure introdotte dalla parte ricorrente.

La parte ricorrente, con memoria per l’udienza pubblica di discussione, ha sottolineato come il provvedimento avrebbe del tutto ignorato il reale stato dei luoghi di un territorio oramai del tutto compromesso dal limitrofo insediamento di strutture produttive, come sarebbe documentato dalle fotografie. Richiamando le proprie argomentazioni; infine ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Chiamata all’udienza pubblica, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.
Motivi della decisione

Preliminarmente i ricorsi vanno riuniti per le evidenti ragioni di connessione.

1.Par.. In primo luogo, come esattamente eccepito dalla Difesa Regionale, deve essere pronunciata l’inammissibilità dei primi tre ricorsi, tutti concernenti atti istruttorii relativamente al procedimento concernente l’istanza per la realizzazione di un complesso agroricettivo per la produzione e la lavorazione di vino e olio, ed in particolare:

– del n. 4773/2009, diretto avverso il parere negativo predella Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici;

– n. 6975/2009 concernente il verbale del 3/04/09 con cui è stata dichiarata conclusa negativamente la conferenza dei servizi;

– n. 7180/2009 diretto avverso la nonapprovazione dell’intervento e della relativa variante urbanistica, da parte del Dipartimento Urbanistica e Territorio della Regione Lazio.

Come è noto, gli atti endoprocedimentali producono una lesione diretta ed attuale, e quindi sono impugnabili, solo se impediscono la conclusione e determinano l’arresto, del procedimento (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 19 giugno 2006, n. 3649). Sul piano processuale, dal momento dell’emanazione dell’atto conclusivo del procedimento, gli atti endoprocedimentali cessano quindi di avere un’autonomia giuridica, perché l’impugnazione dell’atto conclusivo ricomprende necessariamente anche quelli intermedi. In tali casi, gli atti istruttorii ed i pareri acquisiti confluiscono nell’alveo complessivo del provvedimento finale, ed in ogni caso la loro eventuale, provvisoria, rilevanza lesiva viene meno con l’adozione dell’ atto finale.

Di qui l’inammissibilità, per difetto del requisito dell’attualità dell’interesse, dei primi tre gravami in quanto è evidente l’oggettiva carenza di interesse ad ottenere l’annullamento di atti prodromici una volta che sia impugnato il provvedimento finale.

– 2.Par.. Con il ricorso n. 463 del 2010 la parte ricorrente chiede l’annullamento — sia per vizi propri che per vizi derivati dall’illegittimità degli atti presupposti — del provvedimento finale con cui l’Agenzia Sviluppo Provincia per le Colline Romane ha dichiarato la conclusione negativa del procedimento concernente l’istanza per la realizzazione di un complesso agroturistico, denominato "Scuole di agricoltura di M.G." per la produzione e la lavorazione di vino e olio in Comune di Olevano Romano, con le agevolazioni previste nell’ambito del "Patto Territoriale delle Colline Romane".

Il diniego, su conforme decisione della Conferenza dei Servizi, è stato pronunciato in conformità ai pareri negativi della Soprintendenza per i Beni Architettonici e paesaggistici; e del Dipartimento Urbanistica e Territorio della Regione Lazio.

– 2.Par..1. Con il primo motivo si lamenta che, in violazione dell’articolo 10 bis della legge n. 241/1990, l’ Agenzia per lo Sviluppo Locale delle Colline Romane (ASP) non avrebbe dato una specifica motivazione del mancato accoglimento delle osservazioni. La stessa ASP, cui era stata demandata l’istruttoria e l’adozione del provvedimento finale, avrebbe sollecitato, senz’esito, il Dipartimento Territorio della Regione Lazio, a fornire elementi utili relativi alla fondatezza del motivo della ricorrente.

L’assunto va respinto per un triplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, ai fini dell’esatta comprensione della vicenda in esame, deve sottolinearsi, come accennato in fatto, come vi sia stata una contrapposizione di carattere politicoamministrativo, tra Regione e Soprintendenza da un lato, che concordavano nel giudicare negativamente l’intervento proposto a cagione l’imponenza delle costruzioni che si volevano realizzare, e l’Amministrazione Comunale e l’ASP dall’altro, che ritenevamo legittima l’allocazione di ulteriori, e consistenti, volumi edilizi sulle aree in questione.

Di qui la situazione, invero singolare, dell’ASP la quale, pur avendo adottato il definitivo arresto procedimentale, in luogo di controdedurre direttamente sulle osservazioni (cui pure era astrattamente tenuta come organo istruttore) conformemente alle conclusioni delle Conferenza dei servizi, si è limita a girare la richiesta alla Regione senza provvedere in proposito. Il provvedimento attiene dunque a antica categoria (teorizzata anche dalla dottrina) degli atti artatamente precostituiti per poter essere demoliti in sede giurisdizionale, come dimostrano direttamente le difese dell’ASP, che si è costituita in giudizio al fine di affermare, peraltro apoditticamente, la fondatezza anche del presente motivo.

In secondo luogo, sotto il profilo sostanziale, si deve per contro ancora rilevare, che le osservazioni concernevano, nel merito, argomentazioni: — specularmente "a contrario," rispetto a quelle poste a base dei pareri negativi; — la cui confutazione poteva essere agevolmente desunta dal complesso degli atti istruttori, rilevanti ai fini dell’esito del procedimento (arg. ex T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 17 febbraio 2010, n. 603); — che, peraltro, sono state poi state sostanzialmente riproposte, per essere disattese anche in questa sede.

A tale proposito si ricorda che l’art. 10 bis, l. n. 241 del 1990 deve essere interpretato in chiave sostanziale, alla luce della sua "ratio", che è quella di consentire al privato di far valere le proprie ragioni nell’iter procedimentale, consentendo cioè allo stesso quell’apporto partecipativo in grado di orientare in senso a lui favorevole il provvedimento finale. La norma non prevede quindi un mero simulacro formale, la cui violazione sia opponibile anche quando l’omissione non abbia inciso in alcun modo sulla formazione della volontà dell’Amministrazione stessa e nemmeno sulle possibilità di difesa dell’interessato (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8831).

Pertanto, laddove il privato sia stato posto perfettamente in grado di comprendere le ragioni in base alle quali la sua istanza allo stato non poteva essere accolta, deve ritenersi legittimo il provvedimento finale di diniego dell’istanza (cfr. anche T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 12 febbraio 2010, n. 898).

In terzo luogo, anche a voler del tutto prescindere dal rilievo che precede, appare risolvente il richiamo all’orientamento per cui l’art. 10 bis della L. 7 agosto 1990 n. 241, che impone di instaurare il contraddittorio affinché il richiedente possa fornire ulteriori chiarimenti o documenti atti a mutare l’orientamento dell’Amministrazione, presuppone necessariamente che la competenza alla decisione appartenga a un’unica autorità, e quindi non è affatto applicabile ai procedimenti complessi, nei quali l’autorità che emette il provvedimento finale è vincolata al parere obbligatorio o alle conclusioni finali di organi a ciò qualificati (così Consiglio Stato, sez. II, 31 maggio 2010, n. 3981). Analogamente nel caso di procedimenti connotati dall’utilizzo, a fini acceleratori e semplificatori, della Conferenza di servizi(cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 23 dicembre 2008, n. 6161; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 10 novembre 2009, n. 7217).

In base ai principi generali in materia di interpretazione della legge, deve quindi ritenersi che la normativa speciale del procedimento di cui agli artt. 14 e segg concernente la conferenza dei servizi, deve ritenersi prevalente sulla norma generale dell’art. 10bis.

Non vi è dunque ragione di applicare la regola generale dell’art. 10 bis, L. n. 241 del 1990 in quanto il principio della partecipazione del cittadino al procedimento, è infatti direttamente garantito dalla possibilità stessa dell’interessato di presenziare alla predetta Conferenza dei Servizi, ed in tale pubblica sede,di rappresentare le proprie argomentazioni e di interloquire con i soggetti pubblici, in funzione sia collaborativa sia difensiva.

Nel caso dunque la prospettazione delle posizioni private avrebbe dovuto essere effettuata dagli interessati in sede di partecipazione ai lavori, cosa che nella specie non è avvenuto perché il progettista che è anche uno dei comproprietari delle aree, l’ing. C. M., che pure aveva partecipato alla Conferenza, non aveva introdotto nessuna controdeduzione come emerge dal verbale della medesima.

Il motivo va conseguentemente respinto.

– 2.Par..2. Con il secondo motivo si lamenta l’eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria del parere negativo del Dipartimento territorio- Direzione Regionale Territorio e Urbanistica della Regione Lazio, nella parte in cui si affermava che il progetto sarebbe stato relativo ad un intervento "prevalentemente con funzione turistico ricettiva".

L’amministrazione regionale aveva manifestato il proprio avviso negativo senza comprendere che lo scopo peculiare dell’intervento sarebbe stato quello di integrare il settore turistico con quello agricolo, attraverso l’unione di attività di insegnamento delle tecniche necessarie per la produzione dell’olio e della vite, con la creazione di strutture destinati al riposo, allo svago nonché alla degustazione di piatti tipici. Tale intendimento era stato fatto proprio dal comune di Olevano Romano, che aveva variato la destinazione urbanistica dell’area, da "Zona E1 Agricola" in "zona D2 insediamenti turistici". Di qui l’illegittimità del parere per cui il carattere turistico non solo sarebbe stato pienamente compatibile con il contesto agricolo, ma anzi lo avrebbe arricchito e lo valorizzato.

L’assunto va respinto.

Come risulta evidente anche dalla Relazione Tecnica e dalle Tavole estratte dal relativo progetto (che sono state versate in atti da entrambe le parti con i documenti per l’udienza pubblica), l’intervento previa la demolizione di un manufatto esistente, prevedeva la realizzazione di ben due casali alti 10,50, collegati da un portico, ed articolati su due livelli fuori terra (oltre ad un piano seminterrato) rispettivamente al piano terra a laboratori, frantoi, zona ristorante, sala convegni, hall e servizi, ed un primo piano destinato ai servizi ricettivi, oltre ad una piscina e due campi da tennis.

Anche sul piano della comune esperienza è evidente che la struttura progettata era destinata ad assolvere prevalentemente un’attività turistico ricettiva, a parte che dell’attività agricola non appare concreta traccia salvo il particolare che sia gli olivi che le viti devono essere ancora impiantati.

Come risulta ictu oculi dai disegni versarti in atti, la funzione quasi esclusiva di resort turistico emerge chiaramente:

– dalla consistenza della struttura, delle dimensioni e dei volumi complessivi dei due edifici da realizzare che avrebbe dovuto ammontare a ben 10.043, 66 mc, per una superficie utile dichiarata per oltre mq. 4.164;

– dall’articolazione della componente ricettiva, dalla presenza di consistenti strutture sportive, da un discreto numero di camere e, comunque, dell’alta percentuale dell’incidenza delle parti destinate all’attività turistica degli edifici;

– dalla filosofia complessiva dell’intervento progettuale dalla quale emerge che, al di fuori dei predetti due edifici collegati, non si individuano le usuali strutture realmente finalizzate alle attività agricole.

Il presupposto parere dalla Direzione Regionale Territorio e Urbanistica della Regione, del tutto ragionevolmente e logicamente, ha dunque ritenuto che, per la sua propria tipologia strutturale, l’intervento avesse in realtà una connotazione tipicamente turistica del tutto assorbente e prevalente rispetto alle esigenze dell’attività agricola, e concludendo poi in conformità con tale premessa logica.

Il motivo va in definitiva respinto.

– 2.Par..3. Devono poi essere esaminati congiuntamente il terzo ed il sesto motivo di ricorso.

– 2.Par..3.1. Con il terzo motivo si lamenta l’illegittimità della rappresentazione dello stato dei luoghi contenuta nel parere negativo del Dipartimento Urbanistica della Regione Lazio secondo il quale il progetto erroneamente non sarebbe stato meritevole di approvazione in quanto, in difformità con le linee guida impartite dalla delibera di giunta regionale n. 532 del 10 luglio 2007, in zona agricola non compromessa ed estranea al contesto agricolo". Al contrario, come dimostrerebbero le fotografie allegate e la deliberazione del consiglio comunale di Olevano Romano n. 15 del 2007, il terreno in questione sarebbe adiacente alla zona produttiva che di recente sarebbe stata ampliata. Tale destinazione sarebbe stata oggetto di una variante urbanistica con delibera del consiglio comunale n. 51 del 28 settembre 2008, che fa riferimento ad attività produttive con le procedure di agevolazione previste dal patto territoriale delle colline romane.

Pertanto la zona in questione non sarebbe più una campagna non compromessa ma una zona agricola già interessata da numerosi interventi che avrebbero modificato lo stato dei luoghi come sarebbe dimostrato dalle delibere del Consiglio Comunale n. 67/2009 che avrebbero modificato, la destinazione urbanistica da "Zona E1 Agricola" a "Zona D2 -attrezzature ricettive tecnico distributive"." Inoltre le linee guida della Regione per le valutazione urbanistiche non sarebbero prescrizioni cogenti ma semplicemente criteri di massima e andavano interpretate in modo estensivo e favorevole al progetto in questione.

– 2.Par..3.2. Con il sesto motivo si lamenta che il terreno in questione non avrebbero fatto parte come ritenuto dalla Sovrintendenza della campagna romana in quanto l’articolo 142 del NTA del PTPR non ricomprende il comune di Olevano Romano.

– 2.Par..3.3. Entrambi i motivi vanno disattesi.

Con riferimento al sesto motivo si deve osservare, sotto il profilo paesaggistico, che — come specificato anche dalla stessa Relazione Paesaggistica allegato all’istanza dalla parte ricorrente al progetto (cfr. pag. 6 primo e secondo alinea) — l’area appartiene all’ambito del "Sistema agrario di valore" ai sensi dell’art. 25 delle NTA del PTPR (adottato con Delibere di GR nn. 556 e 1025 del 2007).

I terreni in questione concernono "porzioni di territorio che conservano ancora anche se sottoposte a mutamenti fondiari e/o culturali, la vocazione agricola sia pure di media e modesta estensione". In base alla predetta disposizione, in questa tipologia rientrano anche "aree parzialmente edificate" o comunque dove ricorre la "presenza di preesistenze insediative".

Ciò posto, la disciplina di un’area deve essere individuata in relazione alla sua regolamentazione giuridica, e non in base ad arbitrarie ricostruzioni di parte della presunta situazione di fatto.

Nel caso in esame, sotto il profilo urbanistico l’intervento risulta, allo stato, ubicato in Zona E1 Agricola del PRG approvato da ultimo con la Delibera di Giunta Regionale n. 5137/1997.

Il parere negativo del Dipartimento Regionale del Territorio sul progetto e sulla pregiudiziale necessaria variante al PRG è dunque organicamente legato da un lato al richiamo al parere negativo della Soprintendenza ai beni paesaggistici, e dall’altro dall’obiettiva incoerenza dell’iniziativa con gli indirizzi della Delibera di Giunta Regionale n.532/2007, con la tutela di una zona agricola che risulta integra ed ancora utilizzata a tali fini.

Al riguardo non può condividersi, in punto di fatto, la contestazione su cui ha molto insistito la Difesa della parte ricorrente, per cui si tratterebbe di un territorio agricolo già degradato, che quindi ben sopporterebbe ulteriori aggressioni edificatorie. Si tratta infatti del classico argomento che, come si dice " prova troppo": se l’area non è più agricola, che senso avrebbe la richiesta di realizzare un’attività "agrituristica", per valorizzare le aree di campagna?!

Appare in proposito singolare che, prima il ricorrente aveva cercato(con la seconda rubrica) di affermare la natura prettamente agrituristica del suo progetto coerente con la vocazione agricola dell’area, e poi (con le censure in esame) contraddittoriamente assume la radicale ed irreversibile mutazione delle aree interessate che non potrebbero più essere considerate come agricola.

Al contrario, la persistenza di valori agricoli del territorio è in realtà direttamente dimostrata non solo dalle mappe e dalle immagine panoramiche facilmente accessibili nella rete internet, ma anche dalle stesse fotografie che sono state allegate da parte ricorrente (relative sia allo scorcio che inquadra sullo sfondo i Monti Lepini e sia al versante opposto). Tutte le immagini restituiscono, in maniera plastica, la persistente bellezza, la panoramicità e la particolarità di un territorio verde ove, nonostante tutto, ancora persistono pini marittimi, poggi, valli, forre, campi, ecc. ecc., e la cui distruzione costituisce un vulnus irrimediabile per le relative comunità.

Anche alla luce della ricordata imponenza dell’intervento progettato (che emerge con evidenza anche dalla proiezione del progetto sulla foto aerea dell’area allegato dal ricorrente), le valutazioni effettuate al riguardo dalla Regione attengono a profili di stretta discrezionalità e di merito amministrativo, che come tali sono sindacabili, in sede di legittimità, solo in caso di elementi palesemente sintomatici di un eccesso di potere per illogicità, irrazionalità, arbitrarietà o sviamento.

Tutti profili che qui non si ravvisano assolutamente.

In definitiva, il Dipartimento regionale, in coerenza con le finalità complessive della pianificazione regionale del territorio, legittimamente non ha ritenuto meritevole di approvazione il progetto e la connessa variante allo strumento urbanistico regionale.

Entrambi i motivi vanno dunque respinti.

– 2.Par.. 4. Per ragioni di economia espositiva devono essere esaminate congiuntamente la quarta e la quinta rubrica di censura che attengono ad un profilo sostanzialmente unico.

.- 2.Par.. 4.1. Con il quarto motivo si censura il parere negativo della Soprintendenza per i beni architettonici paesaggistici, ed il conseguente verbale con cui si è conclusa negativamente la conferenza dei servizi, in relazione al ritenuto contrasto dell’intervento con i caratteri agricoli dei luoghi e le norme del PTPR adottato. Tali determinazioni sarebbero state poste in violazione delle disposizioni sull’urbanistica "contrattata" di cui all’articolo 2, comma 203 della legge n. 662/1996 e sull’accordo di programma di cui all’articolo 34 del D. Lgs. n. 26 7/2000, che avrebbe potuto derogare alle norme del PTPR secondo l’indirizzo il Consiglio di Stato (cfr. Sezione VI n.25/2001).

– 2.Par..4.2. Con il quinto motivo si lamenta l’illegittimità del parere negativo della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici in quanto:

– l’intervento del ricorrente ricadrebbe in zona vincolato paesaggisticamente ed archeologicamente posta "… nel PTP 8 tavola E/3.3., NTA zona B, articolo 22 sotto zona B3 – tutela del paesaggio agricolo tradizionale e tavola E/13 zona di interesse archeologico…";

– nel caso — in violazione dell’articolo 41, comma tre delle norme di attuazione del PTPR di cui alla delibera della Giunta Regionale n. 556/2007 e n. 1025/2007 — non si sarebbe invece valutato che invece la Sopraintendenza per i beni archeologici del Lazio con nota del 15 luglio del 1008 aveva formulato il parere positivo condizionando la realizzazione dell’intervento ad una ricognizione archeologica.

In ogni caso la tutela del paesaggio, con riferimento al PTPR non costituiva una normativa cogente.

– 2.Par..4.3. Entrambi i motivi sono infondati.

Ricollegandosi idealmente alle considerazioni del punto che precede, si osserva che legittimamente la Soprintendenza ai Beni Paesaggistici ha ritenuto che non dovesse essere compromesso l’attuale contesto ambientale dell’area in questione, in quanto "paesaggio agrario di valore".

Il parere negativo della Soprintendenza ai beni paesaggistici è discrezionalmente collegato con la considerazione che le opere previste erano incompatibili con i valori paesaggistici; e risultavano in contrasto con le norme di attuazione del PTPR non consentivano nuove realizzazioni e ampliamenti delle strutture esistenti superiore al 20 %.

Le legittime esigenze di tutela del paesaggio agricolo non sono poi contrastate con il richiamo all’avvenuta realizzazione nei paraggi di capannoni industriali e di insediamenti di nessun pregio: al contrario le ferite cagionate al paesaggio, lungi dal giustificare un’ulteriore compromissione del territorio, radicano logicamente la necessità di conservare nella misura massima le caratteristiche paesaggistiche ed ambientale della campagna.

Pertanto, legittimamente la Soprintendenza si è espressa negativamente circa la variante al PRG richiesta dal Comune sul rilievo che questa, autorizzando la trasformazione da "agricola" zona "turistico ricettiva", avrebbe fatto perdere quelle caratteristiche della campagna romana in un’area che ha eccezionalmente mantenuto un carattere agricolo non antropizzato.

In particolare poi appare assolutamente errata l’applicazione, nel caso, del principio, certamente esatto, per cui un accordo di programma può derogarsi alle norme del PTPR.,in quanto per tale effetto occorre il consenso di tutte le amministrazioni interessate.

In difetto di tale elemento consensuale, le eventuali singole coincidenze di posizioni tra alcuni enti e privati (come nel caso quelle tra ricorrente e Comune), non possono né introdurre alcun ostacolo né costituire, né logico e né giuridico, un fattore condizionante l’autonomo potere della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di esercitare discrezionalmente le proprie competenze funzionali.

Analogamente deve ragionarsi con riferimento alla quinta doglianza.

In primo luogo è innanzitutto esatto che l’area fosse comunque interessata alla tutela archeologica, in quanto era stata individuata dal PTPR come "Zona di interesse archeologico" nell’ambito della classificazione "* m581 m)beni lineari con fascia di rispetto – testimonianza dei caratteri identitari archeologici e storici", alla specifica voce, la * m580734- Località Colle Aperto.

In secondo luogo il c.d. "parere favorevole" della Soprintendenza ai beni archeologici è, in realtà, un "parere condizionato" alla futura ricognizione archeologica negativa dell’area da effettuare per mezzo di esplorazioni ed a seguito di scavi da concordare con l’archeologo responsabile della Zona.

Pertanto, a tutto voler concedere, solo l’inesistenza di beni archeologici, formalmente accertata dalla competente Sopraintendenza per i beni archeologici del Lazio, avrebbe potuto realmente far considerare adempiuta in senso favorevole alla parte ricorrente la condizione risolutiva apposta al parere in questione.

Ma è, in ogni caso, risolvente il fatto che,essendo evidente la separazione delle competenze tra i profili archeologici e paesaggistici, tale parere comunque non poteva pregiudicare la discrezionalità della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici nella valutazione della situazione.

– 2.Par.. 5. Il diniego impugnato avrebbe poi violato l’articolo 2, comma quarto della legge regionale n. 22/1997 e l’articolo 1 bis dell’articolo 27 bis della L.R. 24/1998 che consente le varianti urbanistiche "in aree di scarso pregio paesistico classificate del PTP come livello minimo di tutela, di estensioni limitate ed adiacenti ad onde legittimamente edificate…".

Come emergerebbe inconfutabilmente dalla documentazione in atti, dalla delibera n. 15 del 2007 di adozione della variante urbanistica relativa all’intervento in questione, e dagli atti di approvazione dei progetti limitrofi da parte dell’ASP, sarebbe priva di fondamento l’affermazione secondo cui la zona in questione manterrebbe un carattere agricolo non antropizzato.

L’assunto è inconferente.

Le valutazioni della Regione, come visto, in ordine alle varianti urbanistiche sono caratterizzate da un amplissimo margine di discrezionalità e non possono essere sottoposte al sindacato giurisprudenziale del giudice amministrativo, salvo che sotto il profilo della palese illogicità ed irragionevolezza delle determinazioni assunte.

Mende che, alla luce delle considerazioni che precedono, qui assolutamente non si ravvisano.

Inoltre l’interesse del privato relativo all’attribuzione di una differente specifica destinazione edilizia rispetto alla destinazione del PRG in vigore costituisce aspettativa generica del tutto recessiva nel momento in cui la variante al PRG richiesta dal Comune di Olevano è stata respinta dalla Regione ed è restata ferma la destinazione "Zona Agricola" dell’area.

Anche tale motivo va dunque respinto.

– 3.Par.. In conclusione devono essere dichiarati inammissibili i ricorsi n. 4773/2009; n. 6975/2009 e n. 7180 del 2009, in quanto diretto avverso atti endoprocediumentali, come tali privi di autonoma valenza lesiva rispetto all’atto finale.

Deve essere respinto il ricorso n.463/2010 perché infondato.

Le spese, ai sensi dell’art. 26 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)definitivamente pronunciando sui ricorsi come in epigrafe proposti, previa loro riunione,

– 1.Par. dichiara inammissibili i ricorsi n. 4773/2009; n. 6975/2009 e n. 7180/2009;

– 2.Par. respinge il ricorso n.463/2010 nei sensi di cui in motivazione.

– 3.Par. condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che vengono liquidate in complessivi Euro 4.000,00 di cui rispettivamente Euro 3.000,00 in favore della Avvocatura della Regione Lazio e Euro 1.000,00 in favore della Avvocatura Generale dello Stato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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