Cass. civ. Sez. V, Sent., 12-05-2011, n. 10428 Rimborso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Pavjdav Immobiliare s.r.l. nell’anno 1998 cessava di operare e nel 1999 presentava regolarmente la dichiarazione IVA relativa all’anno precedente, esponendo una eccedenza a credito per il complessivo importo di Euro 514.466,47, somma della quale sollecitava poi il rimborso con istanza in data 31.8.2006.

L’Agenzia delle Entrate negava il richiesto rimborso ritenendo aver la contribuente perso il relativo diritto per decadenza, a tal riguardo stimando inidonea ad evitare il suddetto effetto pregiudizievole la mera esposizione del credito nella dichiarazione del 1999, stante la necessità di formalizzazione della richiesta con apposita istanza, e considerando tardiva perchè successiva alla scadenza del biennio previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 la espressa istanza proposta dalla società nel 2006.

Avverso tale provvedimento il Fallimento della Pavjdav Immobiliare s.r.l. proponeva ricorso, che veniva accolto dalla C.T.P. d Milano con decisione che, a seguito del gravame dell’Ufficio, veniva successivamente confermata dalla C.T.R. della Lombardia con sentenza n. 103/46/07 depositata il 27.2.2008, e notificata il successivo 13 marzo.

Per la cassazione della sentenza di appello proponeva ricorso l’Agenzia delle Entrate, articolando due motivi, all’accoglimento dei quali si opponeva la società con controricorso e successiva memoria aggiunta.
Motivi della decisione

La sentenza impugnata si fonda su una doppia ratio decidendi, avendo la CTR per un verso ritenuto sufficiente ad evitare l’eccepita decadenza la mera esposizione del credito d’imposta nella dichiarazione del 1999, senza necessità di apposita formale istanza, e per altro verso ritenuto il rimborso non soggetto al termine breve di decadenza invocato dall’Ufficio, bensì al più lungo termine decennale di prescrizione ordinaria ex art. 2946 c.c..

Con i motivi articolati l’Agenzia, insistendo nelle proprie originarie difese, deduce:

1. La violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2 e art. 38 bis reputando inidonea all’esercizio del diritto al rimborso la mera esposizione del credito IVA nel quadro VX della dichiarazione annuale del 1999, ed invece necessaria la formalizzazione della relativa istanza mediante il modulo VR previsto dall’art. 38 bis cit..

2. La violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 considerando detta norma applicabile al caso di specie, in considerazione dell’assenza di un diverso termine di decadenza previsto in materia di IVA dagli artt. 30 e 38 bis citati.

I motivi sono entrambi infondati, secondo quanto emerge da consolidata e condivisibile giurisprudenza di legittimità.

Ed invero, quanto alla prima questione, premesso che il giudice di merito ha accertato in sentenza la presenza nella dichiarazione annuale del 1998 della "richiesta di rimborso indicata al rigo VX19", corretta deve ritenersi l’affermazione secondo la quale tale indicazione "vale quale istanza di rimborso", avendo questa Suprema Corte chiarito al riguardo che: "In tema di imposte sui redditi, qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta, non occorre, da parte sua, al fine di ottenerne il rimborso, alcun altro adempimento (quale, in particolare, l’istanza del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 38 estranea alla fattispecie anzidetta), ma egli deve solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, del ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione. Una volta che il credito si sia consolidato – attraverso un riconoscimento esplicito in sede di liquidazione, ovvero per effetto di un riconoscimento implicito derivante dal mancato esercizio nei termini del potere di rettifica, l’Amministrazione è tenuta ad eseguire il rimborso e il relativo credito de contribuente è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale, decorrente dal riconoscimento del credito stesso" (Cass. Sent. 21.1.2008, n. 1154; ord. 23.2.2005, n. 3718; sent. 6.8.2002, n. 11830).

Quanto alla seconda questione, tra l’altro assorbita dalle considerazioni innanzi svolte in ordine alla sufficienza della indicazione contenuta in dichiarazione (al fine di impedire ogni eventuale decadenza), altrettanto costante è la giurisprudenza di questa Corte nel senso che in tema di IVA, la presenza dello specifico regime in materia di rimborso previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 rende inapplicabile ai contribuenti, "ratione temporis", sia il D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16 (ora abrogato) sia il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 aventi natura sussidiaria e residuale, e pertanto applicabili solo in mancanza di disposizioni specifiche, restando salvo il solo limite temporale della prescrizione ordinaria del diritto (Cass. 8.4.2003, n. 5486; negli stessi sensi v. anche più di recente Cass. 15.12.2010, n. 25318;

25.11.2008, n. 28024, secondo la quale: "Ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38 bis, il credito del contribuente per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto, versata in misura superiore al dovuto, si consolida decorsi due anni dal termine per la presentazione della dichiarazione annuale senza che l’amministrazione finanziaria abbia notificato alcun avviso di rettifica o di accertamento ed è esigibile alla scadenza dei successivi tre mesi.

Pertanto, il termine di prescrizione decennale del diritto al rimborso decorre a partire da due anni e tre mesi dalla data di presentazione della dichiarazione annuale, non essendo il diritto medesimo esigibile prima del decorso di detto termine". Cfr. Cass. N. 1154/2008 già citata; 12.8.2004, n. 15679; n. 19510/03; 8.4.2003, n. 5486; v. anche Cass. 22.4.2005, n. 8461).

Alla stregua della richiamata giurisprudenza i quesiti di diritto posti dalla ricorrente con il ricorso in esame non possono pertanto che trovare le seguenti risposte, sfavorevoli all’Agenzia:

1) Ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2 e 38 bis la dichiarazione IVA 1999 contenente nel relativo riquadro VX l’indicazione del credito IVA maturato dall’impresa, che abbia in quell’anno anche cessato la propria attività, equivale a istanza di rimborso idonea ad impedire ogni decadenza della contribuente in ordine all’esercizio del relativo diritto, e a determinare l’obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su di essa;

2) In tema di IVA la richiesta di rimborso del contribuente fondata su una delle ipotesi previste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2 non è soggetta al termine biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 ma alla sola prescrizione ordinaria decennale, decorrente da quando si è consolidato il diritto al rimborso.

In considerazione di quanto appena precisato il ricorso deve dunque essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, per il principio della soccombenza, al rimborso delle spese di giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 9.500,00 di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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