Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-12-2010) 09-03-2011, n. 9646 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci Contraffazione ed usurpazione del marchio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’ordinanza impugnata veniva confermato il decreto di convalida di convalida del sequestro di n. 1048 mozzi e copricerchioni per autovetture, emesso il 27.8.2010 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova nei confronti dello S., quale legale rappresentante della s.r.l. Ricambi Essepi, per il reato di cui all’art. 474 c.p..

Il ricorrente lamenta violazione del richiamato art. 474 c.p. e del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 21 in tema di proprietà industriale.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con l’ordinanza impugnata si riteneva la ravvisabilità del reato in relazione al quale il sequestro era stato disposto, osservandosi come fosse sufficiente a tal fine l’idoneità dell’imitazione del marchio a trarre in inganno il consumatore sulla provenienza e le caratteristiche essenziali del prodotto anche nel momento della successiva utilizzazione del bene; e si aggiungeva che il rilievo difensivo in merito alla presenza, sulla parte posteriore dei pezzi sequestrati, della dicitura "non originale ma adattabile", della quale peraltro non si faceva menzione nel verbale di sequestro, non escludeva comunque detta idoneità a fronte dell’apposizione di un marchio di grandi dimensioni, in evidenza sulla parte anteriore dei pezzi, e della mancanza di etichette.

Il ricorrente premette che il D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 21, prevedendo come i diritti derivanti dalla registrazione del marchio di impresa non consentano di vietare ai terzi l’uso del marchio ove necessario per indicare la destinazione di un prodotto quale accessorio o ricambio, purchè detto uso sia conforme alla correttezza professionale, configura una vera e propria scriminante nello specifico settore commerciale; che, conformemente a questa previsione, la giurisprudenza civile distingue fra la funzione distintiva del marchio rispetto a prodotti concorrenziali e quella di informazione sulla destinazione strumentale del prodotto; e che pertanto l’uso del marchio è lecito quando è necessario a descrivere la destinazione del prodotto e venga attuato con modalità che non ingenerino dubbi sull’essere lo stesso un ricambio non originale. Ciò posto, rileva che nel caso di specie l’apposizione del marchio aveva l’esclusivo scopo di individuare i veicoli sui quali i ricambi potevano essere montati; che la dicitura stampata in rilievo sulla parte posteriore dei pezzi, la cui esistenza era dimostrata dall’esemplare esibito dal difensore all’udienza di riesame, e l’essere stati i ricambi acquistati e destinati alla rivendita ad un prezzo decisamente inferiore a quello dei prodotti originali indicavano inequivocabilmente come gli stessi originali invece non fossero; che la perquisizione veniva eseguita presso la Ricambi Essepi a seguito di un sequestro di ricambi presso il rivenditore Top Car di Sottomarina, il che evidenziava come i prodotti fossero destinati ad acquirenti esperti e pertanto in grado di individuare agevolmente il loro carattere non originale; e che il marchio veniva dunque utilizzato nei limiti della correttezza professionale, così integrandosi la scriminante sopra menzionata.

L’argomentazione difensiva prende le mosse dall’asserita presenza, sui ricambi oggetto del procedimento, della dicitura "non originale ma adattabile", rispetto alla quale vengono svolte le esposte considerazioni sull’idoneità decettiva del marchio apposto sui ricambi stessi. Sul punto l’ordinanza impugnata osservava tuttavia, sia pure incidentalmente, come di tale dicitura non vi fosse menzione nel verbale di sequestro; e conferma di ciò è data dallo stesso ricorrente laddove ricava la prova dell’esistenza della scritta dall’esibizione, nel corso dell’udienza di riesame, di un esemplare non facente parte del compendio dei pezzi sequestrati. Che questi ultimi recassero la dicitura in esame è pertanto circostanza che il provvedimento oggetto di ricorso affermava motivatamente non essere stata specificamente provata, rispetto alla mancanza di riferimenti in tal senso nel verbale di sequestro.

Anche a voler ammettere che la dicitura fosse effettivamente impressa anche sui ricambi in sequestro, la stessa non appare tuttavia idonea ad escludere nel caso di specie la configurabilità del reato per il quale il provvedimento cautelare veniva adottato, presupposto legittimante l’apposizione del vincolo.

Va preliminarmente osservato che il D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 21, citato dal ricorrente, se in effetti esclude al comma 1 che il titolare del marchio d’impresa registrato possa vietarne ai terzi l’uso nell’attività economica in quanto necessario per indicare la destinazione di un prodotto quale accessorio o pezzo di ricambio, non si limita ad indicare, quale limite del predetto uso, la conformità dello stesso ai principi della correttezza professionale; ma al secondo comma prevede che l’uso non sia comunque consentito, fra l’altro, in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni distintivi o da indurre in inganno il pubblico sulla natura, la qualità o la provenienza del prodotto. In altre parole, la liceità dell’uso del marchio, come affermato dalla giurisprudenza civilistica in materia (Cass. civ. Sez. 1, n.17734 del 30.7.2009, Crg Srl contro Kart Srl, Rv.609481), è subordinata alla duplice condizione del rispetto dei principi di correttezza professionale e della rispondenza ad una funzione meramente descrittiva e non distintiva, al fine di evitare il cosiddetto "rischio di agganciamento", ossia la possibilità che il marchio divenga mezzo di indebito sfruttamento della fama spettante al titolare del marchio;

con la conseguenza che l’impiego del marchio nella commercializzazione di pezzi di ricambio è lecito negli stretti limiti in cui ciò sia necessario per indicare le tipologie di macchine alle quali i pezzi sono destinati.

Non è pertanto sufficiente, ad escludere la ravvisabilità del reato di cui all’art. 474 c.p., la presenza sui ricambi commercializzati di una dicitura indicativa del carattere non originale dei prodotti;

occorre altresì verificare se in concreto le modalità di apposizione della dicitura siano tali da impedire la lesione del valore della pubblica fede sotto il profilo dell’affidamento nei marchi, e quindi l’idoneità della contraffazione del marchio a creare confusione sul mercato in ordine all’autenticità dello stesso (in tal senso v. Sez. 5, n.14876 del 9.1.2009, imp. Chen. Rv.243596, e n.40556 del 25.9.2008, imp. Fadlun, Rv.241723, dove è stata ritenuta la sussistenza del reato in presenza di indicazioni quali "copia d’autore" e "facsimile" su prodotti industriali).

A questi fini è senz’altro determinante verificare la posizione sul prodotto della dicitura rispetto a quella del marchio, nella prospettiva di un’immediata e contestuale leggibilità di entrambe le indicazioni, che garantisca ai terzi la possibilità di apprezzare il carattere non autentico del marchio; così come rilevanti sono la collocazione di quest’ultimo sul prodotto e la sua presentazione grafica in termini tali da evidenziarne la funzione meramente descrittiva della corretta destinazione meccanica del ricambio.

Avuto riguardo a questi criteri, la motivazione del provvedimento impugnato appare senz’altro logica, coerente e conforme ai principi in materia laddove poneva in rilievo come l’apposizione sui prodotti in esame, secondo le caratteristiche rilevabili sull’esemplare esibito all’udienza, del marchio in ampie dimensioni sulla parte frontale dei ricambi e della dicitura sull’opposto lato dei pezzi, mantenesse concreta la possibilità che il marchio fosse inteso come rappresentativo della provenienza industriale dei prodotti e non della loro funzionalità tecnica, e che l’inautenticità dello stesso non fosse di contro individuata; in tal modo permanendo la lesività della condotta verso la fede pubblica.

La validità di questa conclusione non è inficiata dai riferimenti del ricorrente al prezzo di vendita dei prodotti, non tale da indicare univocamente ai terzi la loro provenienza non originale, o all’immediata destinazione dei ricambi a rivenditori professionali, irrilevante nel momento in cui l’attitudine decettiva del marchio deve essere valutata anche con riferimento alle successive utilizzazioni del prodotto (Sez. 5, n.14876 del 9.1.2009, imp. Chen, Rv.243596).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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