Cass. civ. Sez. V, Sent., 12-05-2011, n. 10407 Rimborso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Ministero dell’economia e l’agenzia delle entrate impugnano, con tre motivi, la decisione della Commissione tributaria centrale n. 2213 del 13.3.2006, con cui il ricorso proposto dalle aa.ff. contro la decisione di quella di secondo grado, con la quale l’appello di C.A., C.E., C.D., D. P.A., D.V.F. e D.T.C., noi frattempo deceduto, e a cui è subentrata l’erede V. A., avverso la pronuncia di primo grado, era stato accolto in ordine alla istanza di rimborso dell’Irpef trattenuta dall’Alitalia sulla indennità di trasferta; mentre i contribuenti non si sono costituiti.
Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevato che il Ministero non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello; pertanto il ricorso proposto dallo stesso è inammissibile, per difetto di legittimazione.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il relativo rapporto si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Ls. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003). Pertanto il ricorso del Ministero va dichiarato inammissibile.

1) Ciò premesso, col terzo motivo, il quale è di carattere preliminare, e che perciò va esaminato prima, la ricorrente agenzia deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la commissione tributaria centrale non avrebbe considerato che gli intimati avevano proposto una domanda del tutto diversa rispetto a quella individuata dal giudice di terzo grado, e precisamente il rimborso della somma trattenuta sull’indennità di volo e non invece quella relativa alle mensilità aggiuntive della tredicesima e quattordicesima. Inoltre non avevano alcun diritto da rivendicare, posto che nessuna prova di esso avevano addotto a sostegno, sicchè non era dato stabilire il percorso che sarebbe stato seguito dal sostituto d’imposta nel determinare l’importo della pretesa trattenuta, nè l’aliquota applicata, nè le modalità della relativa operazione, tanto che tutto il giudizio non poteva che risultare inficiato da tale evidente lacuna, non essendo il giudice stato posto nella condizione di stabilire quanto avrebbe dovuto essere trattenuto in effetti.

Il motivo è fondato. La Commissione centrale osservava che ormai per le trattenute pregresse rispetto a diciotto mesi prima della domanda di rimborso i contribuenti erano incorsi in decadenza D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38, mentre invece per le successive la trattenuta andava operata sulla percentuale del 40% dell’intero importo della trasferta, comprese le mensilità aggiuntive della 13^ e 14^, con la conseguente restituzione del maggiore importo versato.

L’assunto non è esatto. Invero in tema di redditi da lavoro dipendente, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 48, comma 4, prevede una tassabilità minore delle somme corrisposte dal datore di lavoro (nel caso, Alitalia) a titolo di indennità di trasferta – attraverso il meccanismo del riconoscimento di una franchigia (che configura una fascia di esenzione per i disagi che una trasferta inevitabilmente crea) piena -, nell’ipotesi in cui il dipendente sostiene le spese per il pernottamento, che riducono l’importo ricevuto; e una tassabilità viceversa maggiore – attraverso il meccanismo del riconoscimento di una franchigia ridotta -, qualora il dipendente è posto nelle condizioni di utilizzare un alloggio messo gratuitamente a sua disposizione dal datore di lavoro ovvero venga rimborsato delle spese di alloggio, non sopportando conseguentemente alcuna spesa a tale titolo. Invece allorquando si tratta di corrispettivi aggiuntivi nessuna riduzione o franchigia può essere riconosciuta in p. mancanza di costi correlati (V. pure Cass. Sentenze n. 12059 del 01/07/2004, n. 5078 del 2004). Inoltre non appare superfluo osservare che il processo tributario, anche nel caso in cui abbia ad oggetto una domanda di rimborso, costituisce sempre un "giudizio d’impugnazione di un atto autoritativo emesso dall’Amministrazione finanziaria, per cui è l’atto impugnato (o il silenzio serbato dall’Ufficio sull’istanza del contribuente, che ha gli stessi effetti di un atto negativo espresso) ad esprimere la posizione processuale dell’Amministrazione nel giudizio, posizione che non può essere modificata se non attraverso un idoneo atto di autotutela. Pertanto, ove l’onere della prova dei fatti costitutivi della pretesa fatta valere in giudizio non incomba all’Amministrazione finanziaria, quest’ultima non ha l’onere di contestare espressamente 1 fatti affermati dal contribuente (fattispecie di azione di rimborso basata su un indebito fiscale), come nella specie. Pertanto erano C. e gli altri a dovere dare la prova di avere diritto al rimborso di quanto ritenuto versato indebitamente, esibendo anche la documentazione relativa; ma non risulta che abbiano adempiuto a ciò (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 19187 del 06/09/2006, n. 20398 del 2005). Infine va rilevato che le mensilità aggiunte, come nel caso in specie, e cioè la 13" e 14^, vanno tassate per intero, dal momento che ad esse non può essere connessa alcuna spesa da parte di tali dipendenti attinente all’effettiva trasferta.

Gli altri motivi, che peraltro sono carenti di autosufficienza, tuttavia rimangono assorbiti.

Ne discende che il ricorso va accolto limitatamente al terzo motivo, con conseguente cassazione della decisione impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384 c.p.c., comma 2, rigettando il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Quanto alle spese dell’intero giudizio, per quelle relative al rapporto tra il Ministero e gli intimati non va emessa alcuna pronuncia, stante la mancata costituzione di questi, mentre le altre seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze; accoglie quello dell’agenzia delle entrate; cassa la sentenza impugnata senza rinvio e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo, e condanna gli intimati in solido al rimborso delle spese dell’intero giudizio, liquidate per il primo grado in complessivi Euro 900,00, per il secondo in Euro 1.100,00, e per il presente in Euro 4.500,00 per onorario, oltre a quelle prenotate a debito; alle generali ed agli accessori di legge.

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