Cons. Stato Sez. V, Sent., 08-03-2011, n. 1452 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti in primo grado sono proprietari e residenti nell’edificio costituito da una palazzina di sei appartamenti sita in via Crociati n.22. Gli stessi hanno impugnato la concessione edilizia rilasciata, relativamente ad un piccolo fabbricato limitrofo in proprietà della L. s.a.s., per la effettuazione di lavori di ristrutturazione (demolizione e fedele ricostruzione) e di ripristino tipologico della porzione non più esistente con trasformazione della superficie accessoria in superficie utile ad uso residenziale.

Il Tar ha accolto il ricorso considerando che l’immobile non era classificato dal PRG come bene di un qualche valore culturale o ambientale e che quindi l’intervento non era ammissibile alla luce dell’art. 36 delle legge regionale n.47 del 7.12.1978 costituente sottocategoria del restauro e risanamento conservativo (A2 applicabile per espresso richiamo dell’art. 37 della stessa legge anche nelle zone omogenee B) e dell’art. 66 del reg. edilizio del Comune di Bologna che ricollega il ripristino tipologico ai casi previsti dal PRG e dunque la limita agli edifici classificati ed individuati dal PRG con i simboli 1°, 1b, 2°, 2b, secondo un ordine decrescente di vincolo e valore.

Assume la società appellante che l’intervento autorizzato con la concessione impugnata in primo grado ha semplicemente ripristinato il manufatto nel perimetro preesistente prima del crollo parziale e soprattutto nel perimetro indicato nelle tavole di PRG e nelle planimetrie catastali.

Pertanto secondo l’appellante alla fattispecie era applicabile la nozione di "ripristino tipologico" (ex art.36 l.r.E.R. n.47 del 1978 nel testo vigente) anche a prescindere dall’art. 66 del reg. edilizio di Bologna.

Anche ad ammettere che la norma regolamentare posta dall’art. 66 non fosse applicabile al caso in esame, l’intervento sarebbe giustificato dalla norma primaria. L’art. 36 della legge regionale parla infatti di ripristino tipologico distinguendo tale concetto da quelli di restauro scientifico e restauro e risanamento conservativo disciplinati nei precedenti commi della stessa norma. Il ripristino tipologico ha per oggetto unità edilizie fatiscenti o parzialmente demolite, prive di particolari pregi edilizi o architettonici e non necessariamente inserite nel patrimonio edilizio storico

La previsione si applica non solo alle zone A, ma anche alle zone B con l’effetto che il ripristino tipologico così come previsto dalla legge regionale ha una portata più ampia dell’art. 66 del regolamento edilizio di Bologna, non è condizionato da specifiche identificazioni di PRG, come l’art.66 del reg., né da preesistenze storico culturali in quanto la norma riguarda anche le zone B, lo strumento del ripristino tipologico rendendosi applicabile a tutte le unità fatiscenti o parzialmente demolite delle quali esista documentazione della organizzazione tipologica originaria.

In sostanza, quella del ripristino tipologico è norma di recupero edilizio non necessariamente legata a preesistenze di pregio storico o architettonico al pari del ripristino edilizio che secondo lo stesso art. 36 della l.r. consente addirittura la ricostruzione con gli allineamenti verticali ed orizzontali prevalenti nell’isolato di edifici già completamente demoliti e privi di documentazione. Si sono costituiti in appello i ricorrenti in primo grado insistendo per il rigetto dell’appello evidenziando:

che il lotto in questione è privo di capacità edificatoria;

che la concessione non sarebbe riconducibile ai criteri di ristrutturazione edilizia (art.31 lett.d) l.457 del 1978) né di ripristino tipologico (art.66 del Reg. ed. del Comune di Bologna);

che l’ edificio verrebbe realizzato a meno di due metri dalla palazzina degli appellati ed a ridosso del confine con violazione delle diposizioni dettate dall’art.40 del Reg. ed. in materia di distanze, altezze degli edifici e di altezza delle canne fumarie.

All’udienza del 22 ottobre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

L’appello non merita accoglimento.

Va premesso che gli immobili dei ricorrenti in primo grado, odierni appellati, sono confinanti con un piccolo fabbricato costruito in epoca incerta con tipologia e destinazione di lavanderiadeposito situato a brevissima distanza. Tale piccolo fabbricato è stato acquistato dalla L. s.sa.s. di Paride Tonelli e C.

In data 13 febbraio 1997 la L. presentava al Comune di Bologna domanda di concessione edilizia per la esecuzione di lavori di ristrutturazione con demolizione e fedele ricostruzione e di ripristino tipologico della porzione non più esistente e presumibilmente crollata, con trasformazione della superficie da accessoria in superficie utile ad uso residenziale. L’Amministrazione Comunale in data 3 giugno 1997 rilasciava la concessione edilizia poi impugnata nella quale gli interventi edilizi venivano fatti rientrare nella previsione di cui all’art. 31 lettera d) della legge n.457/78 ristrutturazione edilizia (demolizione e fedele ricostruzione) e di ripristino tipologico ex art. 36 della legge regionale n.36 del 1978.

La Sezione sottolinea in particolare che:

– il lotto in questione in base all’art. 9 NTA del PRG è privo totalmente di capacità edificatoria e cioè di superficie utile disponibile come risulta confermato dalla lettera del Comune di Bologna del 5.12.1996 in atti;

l’amministrazione comunale ha fatto riferimento a nozioni di "ristrutturazione" e "ripristino tipologico" (sottocategoria del restauro e risanamento conservativo) come si trattasse di porzione da ricostruire esistita da tempo remoto.

Al riguardo si osserva che il concetto di ristrutturazione edilizia ex art. 31 lett. d) l. n.457 del 1978 non è applicabile alla fattispecie.

La giurisprudenza afferma costantemente che l’intervento edilizio di ristrutturazione edilizia presuppone, come elemento indefettibile, la preesistenza, al momento in cui si chiede la concessione, di una fabbricato da ristrutturare, dotato di murature perimetrali, di strutture orizzontali e della copertura ritenendosi di conseguenza esclusa dal concetto di ristrutturazione la ricostruzione su ruderi la quale va invece assimilata a nuova edificazione (Cons. Stato, V, 26.9.1995 n.1354; V, 4.11.1994 n.1261).

Nel caso in esame in cui è pacifico che dell’edificio preesistente non è rimasto alcun elemento essendo la costruzione crollata si è in presenza di una nuova edificazione; in ogni caso l’intervento determina una trasformazione dell’edificio a suo tempo insistente nell’area con aumento di superficie e cambio d’uso da superficie accessoria a superficie abitativa con alterazione dei profili, altezza, prospetti.

Anche la nozione di ripristino tipologico ex art. 36 della legge regionale n.47 del 1978 costituente sottocategoria (la n.3) del restauro e risanamento conservativo, come ben evidenziato dal primo giudice, non appare pertinente al caso in esame.

Il ripristino tipologico che consente la ricostruzione di parte di edifici non più esistenti, ai sensi dell’art. 66 del reg. ed. del Comune di Bologna, è ammesso solo su edifici "classificati" cioè dotati di particolare valore storico documentale e come tale identificati cartograficamente, per i quali è necessario il recupero dello stato strutturale ed architettonico.

L’art. 36 della l. reg. n.47/78 che definisce in astratto le categorie degli interventi rimettendo poi alla pianificazione comunale la utilizzazione delle figure di intervento nelle singole fattispecie, consente tale tipo di intervento perché esso deve prevedere "la valorizzazione degli aspetti architettonici mediante:

il ripristino dei collegamenti verticali e orizzontali collettivi quali androni, blocchi scale, portici;

il ripristino ed il mantenimento della forma, dimensioni e dei rapporti tra l’unità edilizie preesistenti ed aree scoperte quali corti chiostri;

il ripristino di tutti gli elementi costitutivi del tipo edilizio quali partitura delle finestre, ubicazione degli elementi principali e particolari elementi di finitura".

L’edificio in questione, adibito ab origine a lavanderia, "non è classificato" e manca nella ricostruzione della pratica di adeguata documentazione della organizzazione tipologica originaria individuabile anche in altre unità edilizie dello stesso periodo storico e della stessa area culturale come dispone l’art. 36, punto 3, 1 comma. Non vi è infatti un rinvio alla "tipologia" originaria, alla omogeneità con altre unità, alla specificità dell’edifico.

Si aggiunga ancora che il nuovo edificio si troverebbe non solo a meno di due metri dalla palazzina dei ricorrenti in primo grado ma a ridosso del confine, con violazione delle disposizioni dettate dall’art. 40 del Reg. edilizio al punto 12.1. e dall’art. 40 punto 6 del medesimo Reg., che prevede le altezze minime di m.2,70 (art. 45 del RE) per quanto concerne le unità immobiliari ad uso abitativo e m.2,40 per i vani accessori quali ripostigli e lavanderie, dimensioni non rispettate nella fattispecie ove il fabbricato ad uso residenziale presenta in progetto una altezza non superiore a m.2,40.

Ulteriore illegittimità è riscontrabile nella costruzione di una canna fumaria a distanza inferiore a quella regolamentare atteso che viene prevista la realizzazione di un camino proprio nella parte dell’edificio più vicina al fabbricato principale ed in particolare all’unità immobiliare di proprietà dei ricorrenti la quale sovrasta di oltre 4 metri l’edificio progettato.

In conclusione l’appello non merita accoglimento.

Spese ed onorari del grado seguono la soccombenza come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna gli appellanti alle spese ed onorari del giudizio a favore degli appellati nella misura di euro 5.000 (cinquemila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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