Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-12-2010) 09-03-2011, n. 9375 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 5.2.2010 la Corte di Appello degli Abruzzi in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Chieti resa in data 5.3.2009, riduceva la pena inflitta all’imputato Q.H., chiamato a rispondere della violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e confermava nel resto.

La Corte territoriale si soffermava sul primo motivo dedotto dall’appellante, concernente la nullità del decreto di giudizio immediato, essendo stata dichiarata la latitanza del prevenuto, in mancanza dei presupposti. Al riguardo l’appellante aveva rilevato che il verbale di vane ricerche era stato emesso in data 7.12.2007, cioè a dire il giorno successivo alla emissione della ordinanza cautelare.

La Corte territoriale rilevava che gli operanti avevano invano ricercato il prevenuto sia in (OMISSIS), ove ritenevano che il medesimo avesse un punto di appoggio, sia presso l’abitazione. In punto di fatto, la Corte evidenziava che nei confronti del prevenuto era già stata emessa una ordinanza custodiale, poi caducata per mancato rispetto dei termini ex art. 27 c.p.p.; e che detta evenienza lo aveva indotto a sottrarsi alla esecuzione della nuova ordinanza applicative, della misura cautelare.

La Corte di Appello considerava poi che la rilevante consistenza della sostanza stupefacente sequestrata (gr. 444 di cocaina), induceva ad escludere la concedibilità dell’attenuante del fatto lieve. La Corte territoriale, in accoglimento dell’ultimo motivo di appello, riduceva la pena inflitta.

Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, reiterando le doglianze relative alla illegittimità del decreto di latitanza. Oltre a ciò, il ricorrente invoca il riconoscimento della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e si duole della errata applicazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. nella determinazione del trattamento sanzionatorio.

Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.

Con il primo motivo il ricorrente reitera la doglianza relativa alla dedotta illegittimità del decreto di latitanza. Ebbene, al riguardo deve richiamarsi il principio, già enunciato da questa Suprema Corte, secondo cui il provvedimento che dichiara la latitanza presuppone il verbale di vane ricerche, che la polizia giudiziaria redige a seguito della mancata esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, indicando in modo specifico le indagini svolte nei luoghi in cui si presume l’imputato possa trovarsi, senza essere vincolata, quanto ai luoghi di ricerca, dai criteri indicati in tema di irreperibilità. Detto provvedimento è subordinato al ritenuto carattere esaustivo delle ricerche eseguite, sulla base di una valutazione ispirata a un criterio di certezza "rebus sic stantibus", cioè con riferimento alla situazione concreta accertata in quel momento. Si tratta di un principio ispirato alla finalità di un accertamento esaustivo della volontarietà della sottrazione alla esecuzione della misura cautelare, situazione che secondo la giurisprudenza di questa Corte non postula però necessariamente che l’interessato sia a conoscenza dell’avvenuta emissione a suo carico del provvedimento restrittivo della libertà personale, essendo semplicemente sufficiente che egli sappia che un ordine o un mandato può essere emesso nei suoi confronti: tale evenienza, una volta positivamente apprezzata con provvedimento del giudice, legittima alle notificazioni mediante consegna al difensore (Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 4114 del 09.12.2009, Rv. 246098).

Orbene, nel caso di specie, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Chieti, del tutto legittimamente, ha emesso in data 28.1.2008 il decreto di latitanza che occupa, sulla base del verbale di vane ricerche redatto dal Nucleo di Polizia Tributaria di Brescia il 7.12.2007; ed invero, risulta che le ricerche vennero effettuate presso i luoghi che erano frequentati dal ricorrente sul territorio nazionale. Deve, al riguardo, evidenziarsi che appare logicamente conferente il rilievo svolto dalla Corte territoriale, che ha evidenziato che nei confronti del prevenuto era già stata emessa una ordinanza custodiale, poi caducata per mancato rispetto dei termini ex art. 27 c.p.p.; e che detta evenienza aveva indotto il prevenuto a sottrarsi alla esecuzione della nuova ordinanza applicativa della misura cautelare.

Con ulteriore motivo il ricorrente censura la decisione impugnata per il mancato riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entità.

Al riguardo la Corte territoriale ha considerato che le evidenziate modalità del fatto, anche in considerazione del dato quantitativo e qualitativo della sostanza stupefacente detenuto – gr. 444 di cocaina – inducevano ad escludere la sussistenza di una ipotesi di minima offensività penale della condotta. Si tratta di un apprezzamento che si colloca nell’alveo tracciato dalla giurisprudenza di legittimità;

ed invero la Suprema Corte ha chiarito che "in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa): dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità". E in tale contesto valutativo, ove la quantità di sostanza stupefacente si riveli considerevole, la circostanza è di per sè sintomo sicuro di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusibilità della condotta di spaccio" Cass. Sez. 4^, sentenza n. 4948/2010). Infondata del pari la doglianza afferente al trattamento sanzionatorio, atteso che la Corte territoriale ha specificamente richiamato lo stato di incensuratezza del prevenuto e la scarsa pericolosità inferibile dalle modalità della condotta, nel ridurre la pena inflitta dal primo giudice.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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