Cons. Stato Sez. V, Sent., 08-03-2011, n. 1435 Sanzioni amministrative e pecuniarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I ricorsi in appello devono essere riuniti, perché, pur riferiti a distinte sentenze, riguardano una unitaria vicenda sostanziale e processuale.

Il presente giudizio di appello si innesta in un complesso contenzioso originato dal procedimento sanzionatorio avviato dall’amministrazione comunale di Bologna in relazione alle attività edilizie realizzate, in assenza di concessione edilizia, su due fabbricati (casa rurale e fienile), siti in Via del Rosario, n. 2/5 e n. 2/7, di proprietà della società I. System s.r.l., successivamente trasferiti, per effetto di un atto di parziale scissione societaria, in data 20 dicembre 1996, alla società A.R. s.r.l.

In particolare, il TAR per l’Emilia Romagna, con le sentenze n. 121/199 e n. 122/1999, ha respinto i ricorsi proposti dalla società I. System, avverso i due distinti dinieghi di concessione in sanatoria ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 47/1985 (relativi a ciascuno dei due fabbricati), adottati con i provvedimenti n. 123629/1996 e n. 123641/96 (sentenze n. 121/1999 e n. 122/1999).

Con la sentenza n. 118/1999, il TAR ha respinto il ricorso, proposto dalla società I. System, avverso l’unica ordinanza di demolizione, n. 934021 in data 19 marzo 1997, relativa ad entrambi i fabbricati.

Con la sentenza n. 123/1999, il TAR ha respinto il ricorso contro il provvedimento comunale di acquisizione degli immobili, n. 90024, in data 2 luglio 1997, proposto dalla società I. System.

Con le sentenze n. 156/1999 e n. 117/1999, infine, il TAR ha respinto e dichiarato inammissibili i ricorsi proposti dalla società A.R. s.r.l., nella qualità di nuova proprietaria degli immobili e degli annessi fabbricati, a seguito di scissione parziale dalla società I. System.

Con sei separati atti di appello le società I. System e A.R. hanno impugnato ciascuna delle pronunce loro sfavorevoli.

Il comune resiste a tutti i sei gravami e, nei giudizi n. 2590/2000 e n. 2592/2000, riguardanti il rigetto dei ricorsi contro i due originari dinieghi di concessione in sanatoria, ha proposto anche appelli incidentali.

Gli appelli, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati, in relazione a tutti i motivi in cui si articolano. Sono parimenti prive di pregio le ulteriori deduzioni difensive proposte dalle parti appellanti con i loro atti difensivi.

È pienamente condivisibile l’assunto centrale del TAR, sviluppato nelle decisioni impugnate, secondo il quale il trasferimento delle proprietà degli immobili interessati dalla contestata attività edilizia alla società A.R. s.r.l. deve essere considerato nullo, per l’omessa menzione, nell’atto, della regolarità edilizia dell’immobile. Si tratta all’evidenza, di una carenza non solo formale, ma anche sostanziale, in considerazione della mancanza, al momento della conclusione dell’atto di alienazione, del titolo idoneo alla realizzazione della trasformazione edilizia.

Di conseguenza, la società A., in mancanza di una posizione giuridica qualificata, protetta dall’ordinamento, è priva di legittimazione attiva e non è abilitato a contestare i provvedimenti impugnati in primo grado.

Per le stesse ragioni, l’amministrazione non era tenuta a coinvolgere tale soggetto nel procedimento sanzionatorio, né nella fase riguardante l’adozione dell’ordine di demolizione, né in quella concernente l’acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale.

La riscontrata nullità, poi, rende priva di fondamento la tesi della società I., secondo la quale non le sarebbe imputabile l’inottemperanza all’ordine di demolizione, per mancanza della disponibilità materiale degli immobili.

Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, la norma contenuta nell’art. 40 della legge n. 47/1985 si applica a tutti i trasferimenti dei diritti sugli immobili, ancorché realizzati nella forma della scissione societaria. È vero che questa attiene, essenzialmente, alla costituzione di un nuovo soggetto. Ma tale atto potrebbe comportare anche rilevanti effetti sull’assetto della titolarità dei diritti reali sui beni facenti parte del patrimonio sociale. In questa parte, il nuovo conferimento dei beni, anche prescindendo dalla possibile configurazione simulatoria dell’operazione negoziale, presenta tutti i connotati sostanziali dell’atto di trasferimento e, pertanto, rimane assoggettata ala prescrizione dell’articolo 40, che rappresenta una disposizione di ordine pubblico, finalizzata proprio alla prevenzione e alla repressione degli illeciti edilizi.

Del resto, a questa conclusione è pervenuto anche il Tribunale civile di Bologna, con sentenza n 3014/2004, confermata in appello, con sentenza n. 839/2010, sia pure, al momento, non ancora passata in giudicato. Il giudice civile, pur prendendo atto della complessità giuridica delle questioni esaminate, ha condivisibilmente interpretato il significato della disposizione e la sua esatta portata sistematica.

Non è condivisibile, poi, l’assunto della parte appellante, secondo la quale l’art. 40 configurerebbe un’ipotesi di nullità "relativa", che potrebbero far valere solo le parti del contratto. Al contrario, la norma, pur potendo svolgere una funzione di protezione dell’acquirente, il quale potrebbe agire con l’azione di nullità anziché con i rimedi tipici della vendita o delle altre impugnative contrattuali, persegue una chiara finalità sanzionatoria, diretta a responsabilizzare le parti che intendono negoziare il trasferimento di beni privi di adeguato titolo edilizio o in assenza dei necessari accertamenti sulla regolarità urbanistica del manufatto oggetto del contratto.

È evidente che la nullità dell’atto di scissione, in questa fase valutata solo incidentalmente, rileva non nel suo complesso, ma va riferita solo alla parte relativa al trasferimento della proprietà sui manufatti in contestazione.

Pertanto, nel caso di specie, non assume rilievo la previsione degli articoli 2504quater e 2504 nonies, in forza dei quali, una volta effettuata la trascrizione dell’atto di fusione o di scissione societaria, "la nullità non può essere pronunciata in nessun caso".

Infatti, anche volendo ritenere che tale disposizione, di derivazione comunitaria e successiva all’articolo 40, prevale sulla disciplina edilizia e urbanistica, l’eventuale validità della scissione non si ripercuote sulla persistente nullità dell’atto di trasferimento dei beni dal patrimonio della società I. alla nuova società A.R..

Va poi respinta la tesi dell’appellante secondo cui il TAR avrebbe errato ad esaminare incidenter tantum l’eccezione sollevata dal comune.

Infatti, la sentenza impugnata ha correttamente interpretato la portata della deduzione difensiva articolata dal comune, finalizzata unicamente a contestare la legittimazione della ricorrente di primo grado e la fondatezza della pretesa diretta a contestare i provvedimenti comunali.

L’amministrazione resistente non ha formulato, quindi, una "domanda pregiudiziale di accertamento", esclusa dal perimetro della cognizione del giudice amministrativo, ma ha ritualmente prospettato la carenza sostanziale di uno dei presupposti della legittimazione al ricorso della società A., incidente anche sulla stessa legittimità dei provvedimenti adottati nei confronti della società I..

Ancora, non è esatta l’affermazione dell’appellante, secondo la quale l’ordinanza di demolizione dovrebbe essere notificata, in ogni caso, anche al mero possessore dell’immobile oggetto del provvedimento di demolizione e di quello di acquisizione gratuita al patrimonio comunale. Le mere situazioni di fatto non incidono in alcun modo sulla determinazione del contraddittorio procedimentale. Piuttosto, spettava alla società I. assumere le opportune iniziative nei confronti della Società A., anche in vista delle possibili responsabilità contrattuali connesse alla alienazione di immobili risultati urbanisticamente irregolari.

Inoltre, una volta affermata la nullità dell’atto di scissione societaria, cadono tutte le argomentazioni sviluppate dalla società appellante, secondo cui l’ordine di demolizione sarebbe illegittimo perché impartito a soggetto non titolare del diritto e impossibilitato ad eseguire il richiesto ripristino della situazione dei luoghi.

L’appellante sostiene che l’amministrazione avrebbe dovuto sospendere il procedimento sanzionatorio, in quanto, dopo l’ordine di demolizione dei due fabbricatie, la società I. System aveva presentato ulteriori richieste di concessione in sanatoria (in data 19 giugno 1997).

Il motivo è però inammissibile, perché dedotto per la prima volta in appello. Risulta comprovato che le istanze di sanatoria fossero già state presentate al momento della proposizione dei ricorsi dinanzi al TAR. Dette istanze, peraltro, presentano contenuto sostanzialmente corrispondente a quello delle precedenti richieste di sanatoria. In ogni caso, anche esse risultano respinte dall’amministrazione comunale e i provvedimenti di diniego sono stati impugnati dinanzi al TAR.

Pertanto, non sussiste l’asserita "decadenza" dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione, dal momento che le istanze di sanatoria presentate non risultano più pendenti.

Contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, poi, non vi è alcuna pregiudizialità dei giudizi riguardanti tali dinieghi di sanatoria rispetto alla presente controversia. Pertanto, non vi è alcuna necessità di sospendere il processo, in attesa delle decisioni del TAR.

La legittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado, poi, non può dipendere dalla circostanza, dedotta per la prima volta in questo grado di giudizio dalla parte appellante, secondo cui, in relazione ai due fabbricati per cui è causa, in data 20 maggio 2004 la società A.R. abbia presentato 13 domande di condono e in data 15 novembre 2004 Zanardi Renzo e Zanardi Massimiliano (nella loro qualità di conduttori) abbiano, a loro volta, presentato altre due domande di condono.

La pendenza di tali procedimenti, poi, non fa, in alcun modo venire meno l’interesse delle parti all’accertamento legittimità dei provvedimenti contestati nel presente giudizio

In tali casi spetterà all’amministrazione assumere le opportune determinazioni riguardanti la definizione del procedimento di condono attivato dagli interessati, oppure, in alternativa, procedere alla "cancellazione" dell’atto di acquisizione.

La stessa parte appellante evidenzia, peraltro, che tali dinieghi di condono sono stati anche essi tutti respinti dall’amministrazione e risultano impugnati dinanzi al TAR.

Pertanto, resta fermo l’interesse delle parti ad ottenere una pronuncia di merito sulla legittimità dei provvedimenti adottati dall’amministrazione e relativi ai fabbricati in oggetto.

L’intervenuto rigetto delle domande di condono del 2004, quindi, porta ad escludere che tali istanze determino, attualmente, un ostacolo giuridico all’attuazione dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione gratuita.

Né emerge, allo stato, alcuna necessità, e nemmeno l’opportunità, di sospendere i presenti giudizi di appello, in attesa della prossima decisione del Tar sui ricorsi proposti contro i dinieghi di condono del 2004.

In ogni caso, sono infondate, nel merito, le ulteriori censure, con le quali l’appellante sostiene che, nel caso di specie, non si sarebbe in presenza di un’attività edilizia soggetta alla concessione edilizia.

Infatti, i dati istruttori acquisiti in atti, correlati alla approfondita istruttoria svolta dall’amministrazione comunale, permettono di affermare, con certezza, che i lavori edilizi in contestazione hanno determinato un aumento della volumetria e delle superfici ben superiore al limite del 10%.

Pertanto, non si tratta di mera ristrutturazione, ma di nuova edificazione.

Inoltre, l’attività edilizia in oggetto ha determinato una modifica sostanziale delle caratteristiche tipologiche, planivolumetriche e di utilizzazione dei fabbricati.

Nel loro complesso, infatti, gli interventi edilizi in oggetto hanno comportato la realizzazione di nuove opere. Né è possibile distinguere analiticamente le diverse parti, allo scopo di ridimensionarne artificiosamente la portata.

Priva di pregio, poi, è l’ulteriore censura riguardante l’asserita violazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241/1990, con riguardo all’omissione dell’avviso di procedimento e alla mancata realizzazione del pieno contraddittorio procedimentale.

Infatti, nel caso di specie, anche prescindendo dalla tesi secondo cui i provvedimenti sanzionatori edilizi non richiedono la comunicazione di avvio del procedimento, l’ordinanza di demolizione e l’ordinanza di acquisizione si innestano, senza soluzione di continuità, nell’originario procedimento avviato con la richiesta di concessione in sanatoria.

Pertanto, le parti interessate erano perfettamente in grado di interloquire nel procedimento.

D’altro canto, non era necessaria alcuna comunicazione alla società A., non essendo tale soggetto titolare di una posizione giuridica protetta dall’ordinamento.

L’ordinanza di demolizione, poi, non è affetta dal denunciato "vizio proprio", asseritamente collegato al mancato accertamento della effettiva inottemperanza dell’obbligo di demolire l’opera.

Infatti, risulta comprovato che le opere "esterne" non erano state demolite, come prescritto dall’amministrazione. Tale circostanza è sufficiente per giustificare l’adozione del provvedimento di acquisizione, ancorché non sia stato documentata l’esatta situazione relativa alle opere interne. D’altro canto, le parti appellanti non sembrano contestare la circostanza che gli abusi riguardanti le opere interne fossero ancora sussistenti al momento dell’adozione dell’atto di acquisizione.

L’appellante sostiene, ancora, che l’area indicata come oggetto del provvedimento di acquisizione sarebbe superiore di ben dieci volte rispetto a quella su cui insistono i fabbricati privi di titolo edificatorio.

Il motivo è privo di fondamento.

Infatti, la determinazione della superficie oggetto del provvedimento di acquisizione risulta effettuata in modo corretto, all’esito di una accurata istruttoria, che ha tenuto in debito conto anche gli elaborati grafici predisposti dalla I..

L’appellante ripropone la censura riguardante la violazione dell’art. 83 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore, sostenendo che, illegittimamente, l’amministrazione avrebbe negato le richieste di sanatoria in base alla riscontrata carenza del requisito soggettivo della qualifica di imprenditore agricolo.

Ma l’appellante non ha interesse a fare valere questa censura, isolatamente considerata, perché i provvedimenti di diniego si basano su una pluralità di ragioni, incentrate, essenzialmente, sul carattere oggettivo delle opere, piuttosto che sui requisiti soggettivi dei richiedenti il titolo edilizio.

Infatti, i dinieghi si basano sulla riscontrata violazione del citato articolo 83, nella parte in cui gli interessati hanno realizzato opere non limitate alla mera conservazione dell’esistente e comportanti un mutamento della destinazione d’uso dei fabbricati preesistenti.

Come poi rilevato dall’amministrazione con gli appelli incidentali, le opere in questione contrastano anche con l’articolo 66 delle citate NTA, che consente solo il restauro e il risanamento conservativo.

Tale autonoma ragione, posta a base dei provvedimenti di diniego delle richieste concessioni in sanatoria, non risulta tempestivamente e ritualmente contestata dall’appellante.

Ciò potrebbe comportare anche la pronuncia di inammissibilità dei ricorsi di primo grado, come richiesto dal comune, attraverso i propri appelli incidentali. Tuttavia, l’accertata infondatezza delle censure proposte con gli appelli principali determina l’assorbimento di tale prospettazione incidentale.

In ogni caso, le censure relative alla violazione dell’articolo 66, riproposte dall’appellante, sono infondate. La disposizione in esame non hanno contenuto generico, ma prescrivono le condizioni da osservare nella realizzazione degli interventi edilizi. Le opere oggetto del presente contenzioso risultano obiettivamente contrastanti anche con tali parametri.

L’appellante afferma che, a suo dire, l’articolo 83 consentirebbe anche interventi finalizzati ad un uso non agricolo dei fabbricati rurali.

La censura non è fondata.

Infatti, la norma fa riferimento al solo caso in cui sia comprovato che tali fabbricati non siano oggettivamente più funzionali all’esercizio dell’attività agricola o agrituristica. Inoltre, deve comunque trattarsi di interventi finalizzati alla "conservazione" del patrimonio edilizio agricolo, con divieto di interventi di nuova edificazione ad uso abitativo.

A ciò va aggiunto, che, come rilevato dal tribunale, la previsione invocata dall’appellante è comunque intervenuta dopo la realizzazione degli interventi. Pertanto, nella specie, difetta il requisito della "doppia conformità", previsto dall’articolo 13 della legge n. 47/1985, in virtù del quale la sanatoria è consentita solo se l’opera risulta conforme agli strumenti edilizi vigenti, tanto al momento della realizzazione dell’intervento, quanto al momento della presentazione dell’istanza di concessione.

Né, nella presente vicenda, potrebbero trovare applicazione i principi della cosiddetta "sanatoria giurisprudenziale" (che ritiene decisiva la sola conformità agli strumenti urbanistici vigenti all’atto della presentazione della domanda di sanatoria), dal momento che la parte interessata non ha ritualmente fatto valere questo motivo di censura nell’ambito del giudizio di primo grado.

In ogni caso, la tesi della parte appellante è destituita di fondamento, posto che la disciplina vigente al momento della presentazione delle domande di concessione in sanatoria non consentiva gli interventi di nuova edificazione ad uso abitativo.

Ancora, l’appellante deduce che l’amministrazione avrebbe dovuto verificare attentamente la reale entità degli interventi edilizi in contestazione, provvedendo alla "sanatoria parziale" delle opere realizzate senza concessione edilizia, disponendo la demolizione delle sole parti non sanabili.

La censura è priva di pregio. Nel contesto complessivo delle opere effettuate dalla società appellante, non è possibile distinguere le porzioni conformi agli strumenti urbanistici da quelle non sanabili. Al contrario, il manufatto deve essere valutato in modo unitario, tenendo conto della interconnessione funzionale tra le varie opere analiticamente indicate dai rapporti della polizia municipale e dalla allegata documentazione.

È dunque infondata la tesi dell’appellante, secondo cui sarebbe possibile sanare le sole opere interne. La giurisprudenza di questo Consiglio è, al riguardo, assolutamente univoca nel senso di valutare il risultato complessivo dell’intervento edilizio, per valutare la il carattere di essenzialità della difformità o della variante, senza alcuna possibilità di scomporre l’attività nei suoi singoli elementi (Sez. V, 30 ottobre 1995, n. 1494).

L’appellante sostiene, poi, l’illegittimità degli atti dell’amministrazione, perché questa avrebbe omesso di richiedere alla parte interessata la documentazione mancante, ai fini del completamento dell’istruttoria sulle richieste di concessione in sanatoria.

La censura è infondata. I due dinieghi, infatti, si basano su un’ampia e completa valutazione degli elementi di fatto rilevanti nella vicenda. Il riferimento alla incompletezza dei documenti allegati alle istanze non ha portata determinante nell’economia complessiva della motivazione dei due provvedimenti, che si basano essenzialmente sull’accertamento della carenza dei presupposti per il rilascio dei richiesti titoli edilizi.

In definitiva, quindi, gli appelli devono essere respinti.

Le spese del grado, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

Respinge gli appelli, come sopra riuniti..

Condanna la S.r.l. A.R. (quanto ai ricorsi n.2588/2000 e n.2593/2000) e la s.r.l. I.S. (quanto ai ricorsi nn. 2589/2000, 2590/2000, 2591/2000 e 2592/2000) al pagamento in favore del Comune di Bologna delle spese del grado di giudizio, liquidandole in euro 3.000//00 (tremila//00) per ciascuno degli appelli;

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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