Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-12-2010) 09-03-2011, n. 9367 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. A seguito di giudizio abbreviato il Tribunale di Ferrara ha affermato la responsabilità di B.M. e S.M., in ordine a diverse violazioni del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 ed 80 commesse nel (OMISSIS). Il Giudice, per B., ha altresì ritenuto la continuazione con i fatti già giudicati dalla Corte d’appello di Brescia con sentenza n. 1316 del 17 novembre 1995 ed ha conseguentemente determinato unitariamente la pena per tutti gli illeciti.

La pronunzia è stata confermata dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza del 9 giugno 2009. 2. Ricorrono per cassazione gli imputati.

2.1 B.M. propone diversi motivi.

2.1.1 Con il primo si lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha escluso che i fatti addebitati fossero stati già giudicati definitivamente da altro giudice. Infatti le condotte contestate nel processo in esame sono state già accertate in giudizio afferente a fatti commessi nello stesso periodo e di più vasta portata, relativi all’acquisto e detenzione di ingenti quantità di eroina provenienti da un’organizzazione turca. L’identità del fatto implica l’impropria reiterazione del giudizio; mentre la Corte d’appello si è limitata a riproporre gli opinabili ragionamenti già sviluppati dal primo giudice.

2.1.2 Con il secondo motivo si prospetta l’intervenuta prescrizione.

Gli illeciti risalgono al settembre 1992 e la pena massima per essi prevista è inferiore a 10 anni per effetto dell’applicazione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, e delle attenuanti generiche. In conseguenza, la prescrizione è maturata nel settembre 2007. 2.1.2 Con il terzo motivo si deduce che la pena inflitta dal giudice d’appello è inutilmente gravosa sia per ciò che riguarda la sanzione detentiva che per quanto attiene a quella pecuniaria, trattandosi di operaio. Tale eccessiva pena non tiene conto della disciplina di cui agli artt. 133, 133 bis e ter cod. pen. e trascura pure la fruttuosa collaborazione riconosciuta dal giudice, che ha implicato la rottura dei legami con la precedente attività criminosa. In particolare la pena pecuniaria è talmente esorbitante da apparire inutile e destinata alla sostituzione.

2.2 S.M. propone tre motivi.

2.2.1 Con il primo si censura l’apprezzamento del giudice di merito in ordine ai riscontri alla chiamata in correità compiuta da G.M.. L’unico riscontro è infatti costituito dalle dichiarazioni rese da B.M. che tuttavia non presentano autonoma rilevanza, dal momento che a costui era stata data in precedenza lettura di tutti gli interrogatori del detto G.. La Corte d’appello ha incongruamente superato la rilevanza della previa conoscenza delle dichiarazioni del primo accusatore con argomenti irrilevanti, come la distanza di anni intercorsa tra le diverse dichiarazioni, l’assenza di contatti tra i due, la pluralità di episodi in ordine i quali entrambi hanno prestato collaborazione.

La Corte d’appello ha tratto altresì argomento del fatto che le dichiarazioni del B. sono ulteriormente esplicative rispetto alle altre e contengono precisazioni e particolari non rammentati dal predetto G.. La stessa Corte ha pure riferito che i fatti narrati dal B. erano stati in precedenza esposti anche alla Procura della Repubblica di Verona presso la quale prestava collaborazione. Tuttavia, agli atti non vi è alcun interrogatorio di B. reso alla Procura di Verona. Ne deriva che non vi è prova che costui abbia effettivamente raccontato i fatti che interessano nel giudizio in esame in data antecedente all’interrogatorio dell’aprile 1997, nel corso del quale gli erano state integralmente lette le dichiarazioni dell’altro chiamante in correità. Sul punto inerente all’esistenza delle precedenti dichiarazioni si è in presenza di un atto fideistico del giudice che presta credito a quanto dichiarato dal B. al riguardo. Si conclude che la chiamata in correità del B. manca di una proprio autonomia rispetto a quella cui dovrebbe fare da riscontro.

Pure illogico è l’assunto della Corte di merito circa la significatività degli ulteriori particolari ricordati dal B. a cinque anni dai fatti. In realtà si è in presenza semplicemente di divergenze tra le due dichiarazioni che avrebbero dovuto essere valutate ai fini della credibilità intrinseca del B. stesso.

2.2.2 Con il secondo motivo si censura la ritenuta esistenza dell’aggravante di cui al richiamato D.P.R. n. 309, art. 80, comma 2, in relazione alla cessione di circa un chilo e mezzo di eroina con principio attivo non accertato. La pronunzia trascura che la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la corretta applicazione dell’aggravante in esame solo in presenza di quantitativi di gran lunga superiori a quello oggetto di contestazione. La sentenza,d’altra parte,si espone, per la vaghezza delle sue valutazioni, al vizio di difetto della motivazione, particolarmente in considerazione del fatto che non si conosce il grado di purezza della sostanza ma si assume genericamente che si tratterebbe di prodotto di buona qualità. 2.2.3 Con l’ultimo motivo si censura la motivazione in ordine all’entità della pena. La pronunzia attribuisce rilievo preponderante alla gravità del fatto ed alla personalità dell’imputato ma non si perita di chiarire quali siano gli elementi positivi a favore dell’imputato che si assumono superati da quelli negativi.

3. Quanto a B. rileva preliminarmente l’intervenuta prescrizione dei rati di cui ai capi A) e B). Il ricorso di S. è invece infondato.

3.1 Il Tribunale ha affermato la responsabilità di B. in ordine ad ambedue gli illeciti contestati ai capi A e B; ed ha altresì ravvisato la continuazione tra essi e con gli illeciti già giudicati dalla Corte d’appello di Brescia con sentenza n. 1316/95;

ha ritenuto che l’illecito più grave sia quello di cui al capo B; ha determinato la pena base per tale ultimo illecito in quindici anni di reclusione e L. 300.000.000 di multa e la ha ridotta a sei anni di reclusione e L. 90.000.00 di multa per effetto dell’attenuante di cui al ridetto art. 73, comma 7 e delle attenuanti generiche ritenute prevalenti rispetto all’aggravante; ha aumentato tale pena ad anni 12 di reclusione e 120.000.000 di multa per effetto della continuazione con il reato di cui al capo A) e con quelli già giudicati dalla Corte d’appello di Brescia; ha infine diminuito la pena, per la scelta del rito, ad anni otto di reclusione e 80.000.000 di multa.

Ai fini del computo della prescrizione trova applicazione la previgente, più favorevole disciplina ( art. 157 cod. pen.) che consente di tener conto del giudizio di bilanciamento tra le circostanze; con la conseguenza che il termine prescrizionale decorre dall’epoca dell’ultimo dei fatti in continuazione ( art. 158 cod. pen. nel testo previgente). Esso deve essere individuato in quello già giudicato dalla Corte d’appello di Brescia. A tale riguardo l’imputazione riportata nella pronunzia di merito reca l’indicazione "in (OMISSIS)". Tale individuazione del dato cronologico trova conferma in alcune considerazioni svolte dalla Corte d’appello di Bologna, nelle quali si fa riferimento a fatti commessi nel corso del 1993. Alla luce di tale accertamento in fatto occorre ritenere che il termine prescrizionale decorra dalla fine del 1993.

Quanto al tempo che determina la prescrizione, sempre a mente del previgente testo dell’art. 157, occorre rilevare che la pena edittale massima è di venti anni e, essendo stata ritenuta la prevalenza delle attenuanti sull’aggravante, si dimezza a dieci anni per effetto dell’attenuante di cui al ridetto D.P.R. n. 309, art. 73, comma 7 e discende infine al di sotto di dieci anni per effetto delle attenuanti generiche. Dunque, ai sensi della previgente più favorevole disciplina, il termine prescrizionale massimo è di quindici anni; ed è spirato nel 2008. Nè dagli atti emerge alcuna sospensione del giudizio rilevante in riferimento alla prescrizione.

In conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio quanto alle statuizioni di condanna di cui si discute, riportate ai capi A) e B) dell’imputazione; non emergendo dalle pronunzie di condanna le condizioni di evidenza della prova che potrebbero determinare l’adozione di pronunzia liberatoria nel merito.

Resta per l’effetto ferma la pena di sei anni di reclusione e di L. quaranta milioni di multa irrogata dalla Corte d’appello di Brescia con la già indicata sentenza irrevocabile. Tale sanzione riprende autonomia essendo venuta meno la giuridica rilevanza della ritenuta continuazione con i fatti di cui ai capi A) e B) della rubrica.

3.2.1. Quanto al primo motivo di ricorso di S. la Corte d’appello, richiamando le condivise valutazioni espresse dal primo giudice, rileva che le dichiarazioni accusatorie di G. indicano l’imputato come spacciatore di eroina e riferiscono in particolare di una fornitura di circa un chilo e mezzo di eroina avvenuta in Lido di Spina quale campione di una fornitura di ben maggiore entità, in un contesto che coinvolgeva anche tale B.. L’arresto del G. avvenuto poco dopo tale episodio aveva precluso ogni ulteriore contatto con il S..

La pronunzia da conto delle indagini di polizia che hanno confermato la conoscenza tra il G. ed il S. ma ritiene tale dato non individualizzante. Si ritiene invece significativa, e confermativa della precedente chiamata in correità, la collaborazione del B. che ha corroborato la versione dei fatti resa dal G., riferendo di aver personalmente consegnato al S. un chilo e mezzo di eroina.

La Corte d’appello da pure atto di alcune discrasie esistenti nelle dichiarazioni dei due accusatori ma chiarisce che esse attengono ad episodi successivi a quello di cui al capo A) per il quale è stata ritenuta la penale responsabilità. Si tratta del capo B) dell’imputazione per il quale il S. è stato assolto. Tali incongruenze trovano spiegazione nel fatto che il G. riferiva informazioni apprese de relato dopo la sua carcerazione. Costui ha potuto riferire fatti precisi solo in relazione ad episodi direttamente percepiti. Conclusivamente, l’attendibilità delle dichiarazioni di G. deve essere valutata esclusivamente in relazione al fatto addebitato al S., unico episodio svoltosi alla presenza dell’accusatore.

La Corte d’appello, poi, ritiene affidabili ed individualizzanti i riscontri esterni che pervengono dalle dichiarazioni accusatorie del B.. Costui, pur con modeste discrasie nei dettagli, ha sostanzialmente confermato le prime accuse. Si da atto che effettivamente nel corso dell’audizione presso la polizia giudiziaria del 3 aprile 1977 al B. sono state lette le dichiarazioni del G.. Tuttavia, afferma ancora la Corte, anche a prescindere dal fatto che tale interrogatorio intervenne nel corso di una collaborazione già in atto del B. (come da costui riferito in incidente probatorio) concretizzatasi nella precedente narrazione dei fatti al Procuratore della Repubblica di Verona, rileva che le dichiarazioni del ridetto B. non sono pedissequamente aderenti a quella del G. ma sono al contrario ulteriormente esplicative dello svolgersi dell’episodio e dei rapporti tra i soggetti coinvolti, recando precisazioni e particolari non rammentati dall’altro accusatore. In effetti il B. ha subito chiarito che dichiarazioni di cui aveva avuto lettura non erano complete e le ha integrate.

La Corte d’appello, pur rilevando l’inopportunità di contestare preventivamente al B. le dichiarazioni rese nei suoi confronti dal G., ravvisa che tale circostanza non valga da sola ad inficiare la credibilità della successiva chiamata in correità a carico del S.. A tale riguardo la Corte reputa intrinsecamente attendibili le dichiarazioni del B.: si fa riferimento alla distanza di anni intercorsa tra le dichiarazioni, all’assenza di contatti tra le due propalazioni afferenti ad episodi e fatti illeciti sui quali entrambi hanno prestato collaborazione che ha coinvolto la pregressa attività criminale posta in essere.

D’altra parte le discrasie sottolineate dalle difese in parte sono inesistenti ed in parte riguardano fatti marginali, non apparendo significativa la contraddizione sulla circostanza che gli acquirenti avessero o meno saggiato un piccolo quantitativo della sostanza prelevandolo con un coltello. Si osserva ancora che il B., rendendo dichiarazioni conforme a quelle del G., si è accusato di gravissimi fatti ed ha delineato il ruolo del S. in modo esattamente coincidente con quello dell’altro accusatore.

Tale apprezzamento, adeguatamente argomentato, appare immune da vizi logico-giuridici che possano inficiarlo. Esso da atto degli aspetti problematici prospettati dalla difesa ma ritiene, con valutazione razionalmente non censurabile, che il B. abbia conferito un apporto informativo autonomo che si è significativamente manifestato con l’indicazione di particolari aggiuntivi. Tali particolari arricchiscono il quadro fattuale e non sono in conflitto con la narrazione del G., se non per sfumature irrilevanti come quella, già riferita, inerente alla prova della qualità della droga.

D’altra parte, la questione afferente alla contestata esistenza di precedenti ma non documentate dichiarazioni al Procuratore di Verona non è dotata di autonomo rilievo, posto che la Corte dichiara di voler prescindere da tale aspetto della vicenda, come si è sopra dato conto sunteggiando il contenuto dell’argomentazione al riguardo.

Dunque, conclusivamente, il vizio dedotto non sussiste.

3.2.2 Per ciò che attiene all’aggravante, la Corte d’appello rileva che essa si configura quando la sostanza sia idonea a soddisfare le esigenze di un numero molto elevato di tossicodipendenti per un congruo periodo di tempo, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità. D’altra parte, avendo ambedue gli accusatori riferito che si trattava di sostanza pura, essa era in grado di soddisfare i bisogni di un elevato numero di tossicomani. Pure tale apprezzamento in fatto è immune da censure. Il contesto illecito in cui avvennero i fatti e le dichiarazioni di G. e B. inducono il giudice di merito a ritenere ragionevolmente che si sia in presenza di droga di alta qualità; con la conseguenza che essa era idonea a confezionare un numero altissimo di dosi, tale da integrare l’aggravante.

3.2.3 Quanto all’entità della pena la Corte d’appello condivide la valutazione del primo giudice che si è discostato dai minimi edittali in considerazione della gravità del fatto e della personalità dell’imputato, gravato da precedenti specifici. Pure tale apprezzamento, che attribuisce preponderante e decisivo rilievo all’entità dell’attività illecita ed al negativo profilo di responsabilità, appare razionale e del tutto immune da censure.

Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio le statuizioni di condanna del B. per i reati di cui ai capi A) e B) dell’imputazione perchè estinti per intervenuta prescrizione; e per l’effetto la pena di sei anni di reclusione e L. quaranta milioni italiane di multa irrogata dalla Corte d’appello di Brescia per il residuo resta ferma.

Rigetta il ricorso di S. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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