T.A.R. Campania Napoli Sez. II, Sent., 08-03-2011, n. 1349 Annullamento dell’atto in sede giurisdizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 10343/2006 questa Sezione ha annullato il provvedimento adottato dal capo settore area tecnica del 7.12.2005 del Comune di Casalnuovo, con cui era stato disposto il diniego della richiesta di permesso di costruire avanzata dalla ricorrente società e finalizzata alla realizzazione di un edificio polifunzionale ad uso collettivo in via Casa dell’Acqua sul fondo al NCT foglio 4 mappale 1110 di proprietà della medesima.

E’ stato in particolare ritenuto illegittimo il motivo di diniego fondato sulla previsione della realizzazione di opera pubblica o di pubblica utilità, affermandosi che sul suolo non gravava un vincolo di inedificabilità assoluta, e che la dichiarazione di pubblica utilità non era precedente al diniego del permesso di costruire, ma di molto successiva.

Parte ricorrente ha di seguito richiesto l’esecuzione della sentenza citata, premettendo di avere diffidato e messo in mora l’amministrazione comunale con atto notificato in data 4.11.2008.

Con il gravato provvedimento il Comune, prima dell’insediamento del commissario, ha provveduto a riscontrare la richiesta della parte emettendo il diniego in epigrafe.

Avverso il diniego sono articolate censure di violazione del giudicato, violazione di legge ed eccesso di potere.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, che ha sostenuto la infondatezza della domanda; anche la difesa dei controinteressati resiste al ricorso.

Alla pubblica udienza del 16.12.2010 il ricorso è stato ritenuto in decisione.
Motivi della decisione

Va preliminarmente respinta la censura con cui si lamenta la nullità del provvedimento adottato per violazione del giudicato formatosi sulla sentenza di questo TAR n. 10343/2006, non potendosi ravvisare elementi dell’atto portato alla odierna attenzione del Collegio che siano meramente reiterativi di quello precedente.

Va infatti premesso che il diniego annullato nel pregresso giudizio era motivato con riferimento alla circostanza che sull’area oggetto dell’opera fosse stata impressa una legittima dichiarazione di pubblica utilità, essendosi l’amministrazione fermata in limine di tale considerazione, astrattamente preclusiva dell’esame di ogni altro elemento di valutazione.

Nella fattispecie oggi scrutinata invece l’amministrazione ha esaminato la richiesta di parte sotto l’aspetto sostanziale, rilevando la difformità del progetto rispetto ad una serie di prescrizioni tecniche dettate dallo strumento urbanistico vigente.

Tale potestà non può ritenersi preclusa dal giudicato, il quale ha perimetrato la propria estensione con riferimento ad una fase prodromica rispetto a quella della valutazione del progetto e delle sue caratteristiche tecnicocostruttive.

Invero l’annullamento di un atto in sede giurisdizionale per difetto di motivazione non preclude all’Amministrazione di porre in essere un secondo provvedimento sfavorevole purché fondato su una causa autonoma e diversa dal primo; è evidente che con riferimento al riesercizio della potestà pubblica in un periodo di tempo successivo al giudicato di annullamento sussiste un onere di integrale motivazione, che espliciti come ci si trovi al di fuori delle ragioni attratte nel fuoco del vizio caducatorio del precedente provvedimento (Cons. Stato, sezione V, 6 febbraio 1999, n. 134; Sez. VI 25 febbraio 2003 n. 1054).

Nel caso di specie non vi è dubbio che il nuovo provvedimento negativo è fondato su presupposti diversi rispetto al precedente, in quanto adottato in considerazione della valutazione del progetto della ricorrente, in precedenza non scrutinato.

Inoltre il gravato diniego risulta emesso antecedentemente- sia pure di pochi giorni- rispetto all’insediamento del commissario ad acta, sì che l’amministrazione comunale non poteva ritenersi privata del potere di decidere: invero il provvedimento è datato 19.1.2010 mentre il commissario si è insediato in data 28.1.2010 ed ha rilevato l’ avvenuto adempimento da parte dell’amministrazione.

Nel merito, lamenta parte ricorrente che detto provvedimento risulterebbe privo di adeguata motivazione, non avendo introdotto validi motivi ostativi al rilascio del permesso di costruire.

Ritiene il Collegio che sulla pretesa edificatoria vantata dalla società ricorrente incombono diverse ragioni limitative legittime, rappresentate dal Comune nel gravato provvedimento.

In particolare è pacifico che il suolo di proprietà della ricorrente ricade in zona F del vigente PRG, in cui è consentita la realizzazione di attrezzature ad uso collettivo (sottozona F4 secondo le statuizioni contenute nel ricorso introduttivo, ovvero sottozona F5 area per attrezzature collettive e mercato, secondo le prescrizioni riportate nel certificato di destinazione urbanistica dei mappali 46 e 612 rilasciato dal Comune il 18.4.2005).

A fronte del progetto edificatorio di parte, l’amministrazione ha dedotto che non risultano calcolate ed individuate le aree che dovrebbero essere cedute alla mano pubblica, nonchè altri tre motivi di diniego, relativi a carenza di elementi descrittivi ovvero sostanziali del progetto (mancanza di idonea planimetria particolareggiata che evidenzi la distanza dalla sede stradale degli edifici esistenti; eccedenza dei volumi tecnici indicati al quarto piano; mancata individuazione della superficie destinata a parcheggi nella misura di 4 mq per ogni 20 mc).

Parte ricorrente obietta in primo luogo che si tratterebbe di aspetti superabili mediante richiesta di modifiche progettuali, ai sensi dell’art. 20 co 4 DPR 380/01, senza peraltro dedurre concretamente le modalità attraverso le quali intenderebbe riportare il progetto nei parametri indicati dall’amministrazione.

Ciò vale innanzitutto per il primo motivo di diniego, in cui viene opposta la mancanza delle aree relative alle urbanizzazioni primarie da cedere al Comune.

Al riguardo parte ricorrente lamenta violazione dell’art. 5 DM 1444/68 e dell’art. 26 delle NTA allegate al PRG comunale, sostenendo la erroneità di siffatta richiesta in zona soggetta ad intervento diretto e comunque la superfluità trattandosi di area ampiamente urbanizzata.

Osserva in proposito il Collegio che l’art. 26 delle NTA in questione, richiamato dal Comune nel gravato diniego, pur premettendo che per le sottozone F il piano si attua per intervento diretto, contiene una significativa eccezione per le ipotesi di interventi realizzati da privati, disponendo in tal caso che per tutte le zone F:"..nel caso di realizzazione di attrezzature e impianti da parte dei privati i proprietari dovranno realizzare e cedere al Comune a titolo gratuito le aree relative alle urbanizzazioni primarie".

In presenza di siffatto inequivoco dato normativo, non può accedersi alla interpretazione proposta dalla difesa della ricorrente che ritiene tale prescrizione riferibile solo ai nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale allocati nelle zone A e B. Invero l’art. 5 del DM citato non prevede la necessaria individuazione degli spazi pubblici solo per gli interventi nelle zone A e B, disponendo solo una riduzione degli stessi in tali zone urbanistiche. Sicchè la norma citata trova applicazione, ancorché con diverse prescrizioni, in tutte le aree urbanistiche individuate dal PRG.

Peraltro è inconferente il rilievo secondo cui l’intervento proposto non sarebbe di carattere commerciale né direzionale, sì da escludere la necessità di individuare le aree per urbanizzazione primaria; tale assunto è smentito dall’esame stesso del progetto, e segnatamente della relazione tecnica allegata, ove si descrive la presenza di funzioni di tipo commerciale e terziario- direzionali (organizzazione e promozione della vendita di prodotti in genere…diffusione di nuove produzioni e manifestazioni dimostrative, servizi alla rete alberghiera locale).

Né può costituire ragione derogatoria della prescrizione riportata il dedotto stato di urbanizzazione dell’area, posto che la norma tecnica di attuazione di cui all’art. 26 si pone quale requisito ulteriore rispetto alle prescrizioni del DM 1444/68, richiedendo ragionevolmente una ulteriore verifica sullo stato di urbanizzazione delle aree qualora l’intervento – consistente in attrezzature ad uso collettivo- non sia riservato alla mano pubblica.

La possibilità di realizzazione anche ad opera dei privati proprietari sconta in tal caso la necessità di una più dettagliata individuazione delle aree da adibirsi a spazi collettivi, di sosta, parcheggio e verde attrezzato, dovendo la parte stessa cedere i suoli relativi a titolo gratuito, previa individuazione degli stessi.

Sostiene a riguardo la ricorrente che sarebbe stato onere dell’amministratone procedere alla individuazione delle aree, prima di negare la accoglibilità della domanda.

L’argomento non merita favorevole considerazione, avendo la ricorrente contestato in radice la necessità del citato adempimento, e comunque gravando sulla stessa l’onere quantomeno di avanzare una proposta al fine di individuare nei modi più idonei- anche mediante accordo procedimentale- le aree da cedere.

La necessità della strumentazione urbanistica attuativa deve infatti essere valutata non in una prospettiva meramente individualistica, ma tesa a salvaguardare, soprattutto, la possibilità di procedere ad una programmazione organica dell’intero comparto (l’"armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo" richiesto da Cons. Stato Ad. Plen. 6 ottobre 1992 n. 12); nei casi come quello in riferimento, la sufficiente urbanizzazione dell’area deve quindi essere riferita alla definizione almeno delle linee fondamentali di sviluppo/edificazione del comparto ed alla conseguenziale presenza di parte importante delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

In conclusione la fondatezza del primo motivo di diniego vale a sorreggere la legittimità del provvedimento impugnato, per cui il ricorso va respinto.

Sussistono tuttavia giusti motivi per dichiarare integralmente compensate le spese di lite tra le parti, ad eccezione del contributo unificato che rimane a carico della ricorrente.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

respinge la domanda e compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

Contributo unificato a carico di parte ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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