T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, Sent., 08-03-2011, n. 1342 Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1- A mezzo del ricorso in esame, notificato il 23 novembre 2007 e depositato il 19 dicembre successivo, il sig. C.D.V. ha adito questo giudice con una domanda di condanna del Ministero della Difesa al risarcimento del danno conseguente all’annullamento del decreto dello stesso Ministero della Difesa n. 66 del 29 aprile 1994, quale pronunciato da questo Tribunale, sezione prima, con sentenza n. 3089 del 19 novembre 1997.

Il decreto annullato aveva disposto la sospensione precauzionale dal servizio del D.V.- al momento comandante della stazione dei carabinieri di Avella (Av) con godimento dell’alloggio militare- in presenza, per come leggesi nella pronuncia richiamata, di richiesta a suo carico di rinvio a giudizio per i reati di tentata violenza privata aggravata con abuso di poteri ed abuso di ufficio continuato.

A fronte delle plurime denunce contenute nel gravame (violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990; violazione dell’art. 20 della l. 31.7.1954, n. 599, della l. 11.7.1978, n. 382, degli artt. 24, 27 e 97 Cost.; difetto di motivazione), la pronuncia ha ritenuto il ricorso "fondato in maniera assorbente con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 per la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento", soffermandosi ad illustrare siffatta conclusione, coerentemente senza andare oltre con l’esame delle restanti denunce.

In punto di fatto si è poi verificato che il Ministero della Difesa, in esecuzione alla pronuncia, ha revocato il decreto ed ha disposto la riammissione in servizio del D.V., presso la stazione di NapoliChiaia, a far data 6 febbraio 1998.

Quanto al prosieguo processuale, con ordinanza n. 608 dell’11 maggio 1998, il Consiglio di Stato ha respinto la richiesta di sospensione degli effetti della pronuncia e, di poi, con ordinanza n. 709 del 22 febbraio 2006 ha dichiarato interrotto il giudizio per effetto del decesso dei procuratori (avv.ti Ugo e Claudio Iaccarino) dell’appellato D.V..

A tale atto ha fatto poi seguito il decreto, sempre del Consiglio di Stato, n. 7754 del 20 dicembre 2006 dichiarativo dell’estinzione del giudizio per mancata riassunzione ("per un disguido", sostiene in memoria la difesa erariale).

2- Nella prospettazione del ricorrente l’amministrazione, come chiarito nella pronuncia di questo Tribunale, gli ha illegittimamente negato il previo contraddittorio, sicchè sussisterebbe il diritto al risarcimento dei danni subiti, da liquidarsi sempre da questo giudice munito di giurisdizione esclusiva per quanto attiene alle controversie che involgono il rapporto di lavoro, ed i connessi diritti patrimoniali, del personale militare.

2a- Nel dettaglio, il danno patrimoniale è quantizzato nella misura di Euro 19.200,00 pari all’importo dei canoni asseritamente corrisposti per la locazione di un appartamento, resasi necessaria per la perdita dell’alloggio di servizio, nel mentre non viene quantizzato l’importo dei danni subiti "di natura morale e psicologica", dei quali viene chiesta la liquidazione in via equitativa.

3- L’Avvocatura dello Stato si è costituita in giudizio per l’amministrazione intimata e, dopo aver formulato una generica eccezione di prescrizione, ha partitamente replicato agli assunti attorei, sostenendo la mancanza dei presupposti di legge per concedere ingresso alla pretesa risarcitoria.

4- In data 11 giugno 2010 il ricorrente ha controdedotto sia in esito all’eccezione, assumendo di aver interrotto la prescrizione con atto del 10 ottobre 2007, sia sul merito.

5- Pacifica la giurisdizione di questo giudice nei sensi illustrati dal ricorrente, stante la palese infondatezza della (e) pretesa (e), ritiene il Collegio di prescindere dall’eccezione di avvenuta maturazione della prescrizione del diritto.

6- Può partirsi ricordando che "la domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, per cui grava sul danneggiato l’onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa); segue da ciò che il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale, richiedendo la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell’Amministrazione e del nesso causale tra l’illecito e il danno subito" (Cons. Stato, sez. V, 15 settembre 2010, n. 6797).

7- Orbene, nessuno degli elementi costitutivi della domanda può dirsi sussistente.

8- In primo luogo, in forza dei ricordati canoni processuali che regolano l’onere della prova, deve concludersi che non sono stati provati i danni e, comunque, il nesso causale con l’illecito indicato.

8a- Quanto a quelli patrimoniali non può non rilevare come il ricorrente non abbia offerto al vaglio del Collegio alcun elemento a controdeduzione della replica formulata dalla difesa erariale per escluderne la sussistenza.

Nella prospettazione attorea la prova del danno è costituita da una scrittura privata -qualificata "Contratto preliminare di locazione" e sottoscritta in data 3 dicembre 1993 fra il V., odierno ricorrente, e il sig. F.R.- recante l’impegno di quest’ultimo a concedere in locazione al primo un appartamento sito in Mercogliano (Av), alla via Roma, n. 10/A, al prezzo di Lire 4.800.000 annue.

Ad essa è stato opposto dall’amministrazione che:

il V. ha assunto l’incarico di comandante della stazione di Avella in data 20 agosto 1993 ed ha prestato servizio in tale qualità fino al 29 aprile 1994, data della sospensione precauzionale dal servizio, "senza mai prendere possesso dell’alloggio di servizio, pur immediatamente disponibile";

– dal 5 ottobre 1993 ha fruito continuativamente di licenze di convalescenza, durante la quale risulta "che abbia abitato nel Comune di Marigliano, e non presso il predetto alloggio di servizio";

– in data 10 gennaio 1994, in conseguenza della lunga malattia, il V. veniva trasferito "alla forza assente del Comando Regione Carabinieri Campania e perdeva la qualità di comandante della stazione di Avella, ancor prima dell’adozione del provvedimento di sospensione";

– fermo quindi che il preliminare di locazione è stato stipulato cinque mesi prima l’adozione del provvedimento di sospensione, "agli atti di causa non è stato allegato dal ricorrente né il contratto definitivo, né le quietanze provanti l’effettivo e regolare pagamento dei canoni pattuiti";

– peraltro, osserva ancora la difesa erariale, "appare quantomeno singolare" che in data 14 dicembre 1995, in pendenza del provvedimento di sospensione, non ancora annullato dal giudice amministrativo, "il militare si rivolgeva all’amministrazione con un’istanza volta ad ottenere la reintegrazione in servizio, rappresentando le particolari difficoltà economiche a sostenere il pagamento delle rate dei mutui ipotecari gravanti sull’immobile in proprietà, ove dichiarava espressamente di abitare, sito proprio nel Comune di Marigliano, nella via Roma, n. 10".

8b- Orbene, in carenza di produzione di elementi, pacificamente nella completa disponibilità del ricorrente, a controdeduzione di siffatta articolata replica (depositata il 31 maggio 2010), non può che convenirsi con la parte resistente sull’assenza di prova del danno patrimoniale asseritamente patito e -comunque- del nesso di casualità con l’evento.

Ed invero, dignità di elemento utile a controdedurre non può esser riconosciuto al mero assunto secondo cui "l’esercizio del diritto al congedo per infermità non implica il venire meno del diritto all’alloggio essendo i due diritti pienamente compatibili" (così la memoria difensiva ultima prodotta in data 11 giugno 2010).

Non sono, infatti, i due diritti a venire in evidenza, ma l’insussistenza in concreto del danno patrimoniale, come innanzi dimostrata dalla controparte a mezzo di dati non contrastati; il che esclude, all’evidenza, visivamente, che possa dirsi essere stata fornita dal richiedente quella invece dovuta "prova rigorosa, ex art. 2697 c.c., del danno effettivamente sofferto" (Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2010, n. 2819).

9- Ad eguale conclusione deve pervenirsi in ordine ai danni asseritamente subiti "di natura morale e psicologica", dei quali viene chiesta la liquidazione in via equitativa.

Secondo il ricorrente "lo stress psicologico sarebbe facilmente intuibile" avendo dovuto "repentinamente abbandonare la propria residenza, l’abitazione, gli amici che erano entrati a far parte del vivere quotidiano e le attività di natura ricreativoculturale…".

Come e per quanto innanzi già esposto, tale presupposto della domanda risarcitoria non è fondato in punto di fatto, in assenza di ogni repentino abbandono della vita di relazione.

E ciò è sufficiente alla bisogna, in quanto tali profili di danni non vengono legati direttamente alla misura precauzionale irrogata, ovvero, in tesi, in rapporto di causaeffetto, alla sua illegittimità sostanziale: il che avrebbe reso necessari, ai fini qui richiesti, approfondimenti e valutazioni sul punto, avuto presente che la pronuncia del Tribunale sopraindicata ha arrestato il suo esame al vizio procedimentale riferito.

In ogni caso è dirimente la mancanza di prova, invece necessaria ai sensi di legge, come chiarito sia dalla giurisprudenza innanzi indicata che, da quella più specifica secondo cui la sussistenza di un danno non patrimoniale, anche quando derivi dalla lesione di diritti inviolabili della persona, deve essere in concreto dimostrata, dal momento che costituisce "danno conseguenza", e non "danno evento" senza potersi sostenere fondatamente che "nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo" (cfr, fra le ultime, Tar Campania, Napoli, sezione quarta, 17 novembre 2010, n. 25101 che richiama, Cass. Civ., SS.UU, n. 26972 dell’11 novembre 2008; cfr. anche Tribunale Bari, sez. III, 15 ottobre 2010, n. 3104).

10- Né può dirsi provato l’elemento della colpa.

Ed invero, per quanto ha a rilevare ai fini qui dati, deve convenirsi con la difesa erariale che nel 1994, epoca dell’adozione del provvedimento, non potevano dirsi consolidati orientamenti in tema di ambito di applicazione dell’art. 7 della l. 241 del 1990, vieppiù in riferimento a fattispecie, quali la presente, in cui è l’amministrazione militare ad assumere il provvedimento cautelare, ancorchè a natura discrezionale.

Basti al riguardo ricordare che ancora di recente si è affermato che "Per la sua stessa natura cautelare, il provvedimento di sospensione precauzionale dal servizio del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare prescinde dalla previa comunicazione dell’avvio del procedimento…. e le esigenze di celerità se pur di regola devono essere esplicitate… sono da ritenersi implicite (e cioè ontologicamente proprie) nella finalità cautelare, di tutela immediata dell’ordinato svolgimento dell’attività dell’Amministrazione attraverso l’allontanamento del dipendente "pericoloso", propria del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio" (Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1632).

Ciò, evidentemente (non per irritualmente dissentire dalle statuizioni contenute nella pronuncia, divenute peraltro res iudicata e sorrette da puntuali specificazioni, ma) solo per escludere la colpa dell’amministrazione (per aver provveduto, nella detta risalente epoca, senza emanare il previo avviso di inizio del procedimento) in adesione al costante orientamento giurisprudenziale secondo il quale "in sede di accertamento della responsabilità della p.a. per danno a privati il giudice amministrativo, in conformità ai principi enunciati nella materia de qua anche dal giudice comunitario, può affermare detta responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e negarla, invece, quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto" (Cons. Stato, sezione quinta, 26 maggio 2010, n. 3367).

11- Ne deriva, sotto i diversi ed autonomi profili esaminati, la preannunciata infondatezza della domanda risarcitoria e, conseguentemente, il rigetto del ricorso in trattazione.

Le spese di giudizio vanno compensate per motivi di equità.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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