Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 14-12-2010) 09-03-2011, n. 9330

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Salerno ha confermato la sentenza del 18 ottobre 2007, resa con giudizio abbreviato, con cui il Tribunale di quella stessa città aveva condannato A.G. alla pena di due anni di reclusione in ordine al reato di cui all’art. 368 c.p., per avere, con dichiarazione resa al Commissariato di pubblica sicurezza di Cava dei Tirreni, accusato falsamente l’ispettore S. di essersi impossessato di Euro 300,00 nel corso di una perquisizione eseguita presso il suo domicilio.

I giudici di merito hanno evidenziato come la circostanza denunciata dall’imputato si sia rivelata del tutto falsa, in quanto è stato escluso che l’ispettore S. abbia partecipato alla perquisizione domiciliare.

Contro questa sentenza ha proposto ricorso l’ A., tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo l’erronea applicazione dell’art. 368 c.p. e, in particolare, denunciando la mancanza dell’elemento soggettivo del reato, in quanto sarebbe mancata del tutto la consapevolezza dell’innocenza dell’accusato.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato, con riferimento alla motivazione con cui la sentenza ha ritenuto sussistente il dolo.

Nella calunnia, perchè si realizzi il dolo, è necessario che colui che falsamente accusa un’altra persona di un reato abbia la certezza dell’innocenza dell’incolpato, in quanto l’erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude l’elemento soggettivo, da ritenere integrato solo nel caso in cui sussista una esatta corrispondenza tra momento rappresentativo – sicura conoscenza della non colpevolezza dell’accusato – e momento volitivo – intenzionalità dell’incolpazione (Sez. 6, 2 aprile 2007, n. 17992, Parisi).

La sentenza impugnata, in maniera del tutto assertiva e acritica, assume la sussistenza del dolo, desumendola dal fatto che l’imputato abbia "identificato con precisione assoluta il presunto reo, descrivendo con dovizia di particolari il fatto ed individuando la parte civile per nome e cognome".

Si tratta di una motivazione del tutto insufficiente e contraddittoria, in quanto la certa attribuzione del fatto all’ispettore S. da parte dell’imputato non è circostanza sufficiente per ritenere il dolo nel reato di calunnia, anzi potrebbe essere utilizzata, al contrario, per sostenere la buona fede del denunciante ovvero l’errore in cui potrebbe essere incorso nel riferire il nome di colui che riteneva essere il responsabile della sottrazione.

D’altra parte, nei motivi d’appello l’imputato aveva espressamente dedotto una serie di censure nei confronti della prima sentenza proprio in relazione all’elemento soggettivo, rappresentando che in presenza del semplice dubbio sulla responsabilità della persona nei cui confronti vengono mosse le accuse la calunnia non sussiste.

Rispetto a tali motivi la Corte d’appello ha offerto una risposta insufficiente e illogica, desumendo, come già si è detto, la sussistenza del dolo in base alla precisazione con cui l’imputato si è riferito al S., facendone il nome e sostenendo che fosse presente alla perquisizione.

Il rilevato vizio di motivazione comporta l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, individuata ai sensi dell’art. 175 disp. att. c.p.p., per nuovo giudizio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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