Cass. civ. Sez. II, Sent., 13-05-2011, n. 10683 Difformità e vizi dell’opera

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 28/2/1992 G.E. e P.A. si opponevano al decreto ingiuntivo di pagamento della somma di L. 29.458.331 a titolo di compenso professionale a favore dell’arch.

T.G.. Gli opponenti deducevano:

– che l’immobile era stato realizzato su progetto del T., ma nella fase realizzativi, durante la quale il T. era stato direttore lavori, si erano verificate difformità rispetto al progetto;

che inoltre erano state violate le norme e i regolamenti in materia di distanze;

– che tali inadempimenti avevano provocato gravi danni ed essi opponenti avevano dovuto procedere a demolizioni;

– che erano già state versate al T. L. 3.000.000 non detratte dalla parcella azionata in sede monitoria. Ciò premesso gli opponenti chiedevano il rigetto della domanda attorea e la condanna del T. al risarcimento dei danni.

Nel contraddittorio delle parti, dopo l’espletamento dell’istruttoria, il Tribunale di Torino con sentenza del 27/10/2003, non definitivamente pronunciando (essendo disposta la prosecuzione del giudizio per l’accertamento di danni ulteriori), revocava il decreto ingiuntivo e condannava il T. al risarcimento dei danni conseguenti alla demolizione di parte delle opere, liquidati in Euro 43.032,06, oltre rivalutazione e interessi.

Il T. proponeva appello chiedendo la declaratoria di inammissibilità e comunque la reiezione nel merito dell’opposizione a decreto ingiuntivo e la declaratoria di decadenza e prescrizione del diritto di garanzia per eventuali vizi o difformità della prestazione.

Gli appellati resistevano all’appello e in via riconvenzionale chiedevano la liquidazione di danni ulteriori non liquidati dal primo giudice.

Con semenza 11/7/2005 la Corte di Appello di Torino:

– riteneva l’inammissibilità, per mancanza di un motivo di impugnazione, dell’impugnazione del T. quanto al mancato riconoscimento del suo diritto al pagamento del compenso professionale, diritto che era stato negato dal primo giudice in conseguenza della eccezione di inadempimento;

– riteneva definitiva la sentenza emessa dal Tribunale (che aveva pronunciato anche sulle spese)con riferimento alla domanda di revoca del decreto ingiuntivo e alla domanda di risarcimento danni conseguenti alla necessità di parziali demolizioni delle opere;

– riteneva inammissibile l’appello incidentale relativo ai mancato riconoscimento di danni ulteriori in quanto il giudice di primo grado non aveva deciso in ordine a tali danni espressamente riservando la decisione all’esito di ulteriore istruttoria e il relativo giudizio era ancora pendente in primo grado;

rigettava le eccezioni di prescrizione e decadenza del diritto alla garanzia osservando che la prospettata distinzione tra vizi di progettazione dipendenti da inadempimento di un’obbligazione di risultato e vizi inerenti allo svolgimento della direzione lavori dipendenti dall’inadempimento di una obbligazione di mezzi era irrilevante in quanto sia per la progettazione sia per la direzione lavori il T. doveva rispondere per la responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 1669 c.c. per la rovina di edifici, non ostando al riconoscimento di tale responsabilità, sotto il profilo dell’extrapetizione, il fondamento contrattuale dell’azione esercitata dai danneggiati, posto che, la riconduzione dell’azione nell’alveo dell’art. 1669 c.c., avuto riguardo al contenuto sostanziale delle pretese, rientrava nell’ambito di una attività di mera qualificazione giuridica della domanda;

– riteneva accoglibile l’impugnazione incidentale volta ad ottenere il riconoscimento della responsabilità sia contrattuale che extracontrattuale del professionista;

reputava non decorsi i termini di decadenza e prescrizione dell’azione extracontrattuale dell’art. 1669 c.c. in quanto i vizi erano stati denunciati entro l’anno dalla scoperta per tale dovendosi intendere la acquisizione della conoscenza oggettiva della gravità dei difetti, che era acquisita solo con le relazioni peritali, successiva all’atto di opposizione e pertanto ne risultava rispettato sia il termine di decadenza sia quello di prescrizione che sarebbe risultato rispettato anche a volere anticipare il momento della conoscenza del vizio alla data del 20/11/1991, quando i confinanti avevano citato gli appellati per la demolizione delle opere che violavano le distanze;

– riteneva provata, sulla base della consulenza tecnica e dei documenti acquisiti, la (concorrente) responsabilità del T. per la violazione delle distanze dalle costruzioni confinanti, con il conseguente danno subito dagli appellanti costretti alla parziale demolizione delle opere;

– riduceva da Euro 43.032,06 a Euro 39.426,22 l’importo dovuto a titolo di risarcimento per la necessaria attività di demolizione di parte delle opere, facendo riferimento all’importo liquidato dal G.E. a titolo di spese per la demolizione e non considerando le spese legali del processo esecutivo in assenza di liquidazione del G.E. e in assenza della prova di avere effettivamente sostenuto i costi.

Propone ricorso per Cassazione il T. fondato su 4 motivi.

Resistono con controricorso G.E. e P.A. che propongono ricorso incidentale.
Motivi della decisione

Preliminarmente si. dispone la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; egli assume di avere dedotto, in appello, il vizio di extra petizione della sentenza di primo grado in quanto il tribunale avrebbe trasformato una domanda di natura contrattuale in una domanda di natura extracontrattuale e censura che la decisione con la quale la Corte di Appello ha respinto, sul punto, l’impugnazione ritenendo che il giudice avesse semplicemente dato una diversa qualificazione giuridica alla domanda proposta senza averne mutato i presupposti; il ricorrente sostiene che, invece, la diversa qualificazione comportava anche il riconoscimento di presupposti di riatto diversi e tale differente configurazione de) la domanda aveva comportato la compromissione del suo diritto di difesa: non aveva potuto chiamare in causa l’appaltatore, non aveva potuto contraddire sulla natura dei vizi, non aveva potuto sollevare le eccezioni di prescrizione e decadenza previste dall’art. 1669 c.c.. il motivo è infondato: il vizio di ultra o extra petizione ricorre quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, ma egli è libero di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti dedotti in giudizio ed all’azione esercitata, purchè non pervenga ad una non consentita immutazione dei fatti prospettati dalle parti (Cass. 19/6/2009 n. 14468); non ricorre invece tale violazione qualora il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti dedotti dalle parti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti stesse, ovvero applicando una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante. (Cass. 29/1/2003 n. 1273).

Nella fattispecie non solo nè in primo nè in secondo grado i giudici si sono discostati dalle prospettazioni, in fatto, degli attori in via riconvenzionale (che avevano prospettato gravissimi danni, derivanti sia da vizi progettuale che da vizi di esecuzione che avevano determinato la violazione delle norme in materia di distanze e che erano idonei a compromettere la stabilità e la fruibilità della costruzione), nè hanno ricostruito i fatti in modo difforme da quelli risultanti dalla prove dedotte e accolte e ciò esclude che il riconoscimento della responsabilità extracontrattuale ex art. 1669 c.c. integri extrapetizione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 c.c.: sostiene che i vizi consistenti nel mancato rispetto delle distanze legali nella costruzione dei muri non incidono sugli elementi essenziali di struttura e funzionalità dell’opera e non influiscono sulla solidità e durata della stessa.

Nel motivo non si censura che l’illecito, consistente nella realizzazione di un edificio in violazione delle distanze legali dal fondo del vicino, debba ritenersi legato da nesso causale con il comportamento del professionista, che abbia predisposto il progetto e diretto i lavori (cfr. Cass. 3/11/1979 n. 5699), ma si controverte sulla riconducibilità di tale responsabilità a quella prevista dall’art. 1669 c.c.. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse, li giudice di appello ha affermato che i fatti dedotti e accertati all’esito dell’istruttoria configuravano anche la responsabilità contrattuale che era stata azionata con la domanda riconvenzionale e che i danni erano risarcibili per il doppio titolo;

ciò comporta che la statuizione sulla responsabilità contrattuale, che non ha formato oggetto di ricorso per Cassazione e che è sufficiente a sorreggere a decisione impugnata, risulta passata in giudicato e il ricorrente non può utilmente impugnare l’erronea applicazione dell’art. 1669 c.c. in quanto la decisione è fondata anche sulla responsabilità contrattuale che è del tutto indipendente dall’applicazione dell’art. 1669 c.c. ed è sufficiente a sorreggere la sentenza: infatti, anche nell’eventualità si dovesse, per ipotesi, ritenere l’erronea applicazione, da parte della corte di appello, dell’art. 1669 c.c. non per questo potrebbe mai pervenirsi alla cassazione della sentenza impugnata (cfr. per l’affermazione di principi analoghi: Cass. 11/2/2011 n. 3386; Cass. 20/11/2009 n. 24540; Cass. 26/5/2004 n. 10134, Cass. 24 gennaio 2003, n. 1378; Cass. 19 marzo 2002, n. 3965).

Tale conclusione, d’altra parte, è conforme la principio per il quale il giudizio di Cassazione non introduce un terzo grado di giudizio e con il ricorso non si potrà mai far valere, in via astratta, l’ingiustizia della sentenza, ma la presenza di errori nel procedere o nel giudicare.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine alla decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza.

Anche in questo caso, si contesta l’applicazione della norma concernente la prescrizione e la decadenza per l’azione di responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 1669 c.c..

Non sono formulate specifiche censure in merito alla prescrizione e decadenza dell’azione di responsabilità contrattuale.

D’altra parte, quand’anche il motivo si dovesse ritenere esteso alla prescrizione e alla decadenza in ordine all’azione contrattuale (atteso il richiamo a tale eccezione formulato nel primo motivo) non sarebbe comunque accoglibile per il principio affermato da Cass. S.U. 28/7/2005 n. 15781 (successivamente riaffermato da successivamente, v. Cass. 9/3/2006 n. 5091) secondo il quale le disposizioni dell’art. 2226 c.c., in tema di decadenza e prescrizione dell’azione di garanzia per vizi dell’opera, sono inapplicabili alla prestazione d’opera intellettuale ed in particolare alla prestazione del professionista che abbia assunto l’obbligazione della redazione di un progetto di ingegneria o della direzione dei lavori, ovvero l’uno e l’altro compito, attesa l’eterogeneità della prestazione rispetto a quella manuale, cui si riferisce l’art. 2226 c.c.; tale norma, perciò, non e da considerare tra quelle richiamate dall’art. 2230 c.c. e si deve escludere che il criterio risolutivo ai fini dell’applicabilità delle predette disposizioni alle prestazioni in questione possa essere costituito dalla distinzione – priva di incidenza sul regime di responsabilità de) professionista – fra le cosiddette obbligazioni di mezzi e le cosiddette obbligazioni di risultato.

In conclusione la responsabilità contrattuale del professionista intellettuale, sia essa connessa ad obbligazioni di mezzi o di risultato, può essere esaustivamente ricondotta nell’ambito della disciplina generale dell’inadempimento delle obbligazioni, con il correlativo termine prescrizionale.

Con riferimento alla prescrizione e decadenza dell’azione ex art. 1669 c.c. la censura di insufficiente motivazione è infondata in quanto la Corte di Appello, ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali (cfr. ex multis Cass. 3/1/2005 n. 567;

Cass. 22/2/2010 n. 4249) per i quali il termine di un anno per la denuncia dei gravi difetti nella costruzione decorre soltanto dal momento in cu il denunciante consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e che tale conoscenza debba ritenersi acquisita, in mancanza di anteriori esaustivi elementi, solo all’atto del deposito delle relazioni peritali.

La Corte territoriale, al riguardo, ha rilevato che le relazioni peritali erano addirittura successive rispetto all’opposizione al decreto ingiuntivo del T. per il pagamento del compenso; ha aggiunto che, prima di tale momento l’unico elemento idoneo a mani restare la conoscenza dei vizi poteva essere rappresentato dalla notifica, avvenuta in data 20/11/1991 dell’atto di citazione dei proprietari confinanti per violazione delle distanze che non era anteriore di oltre un anno rispetto alla notifica (del 29/2/1992) dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo con la quale erano denunciati i difetti ed esercitata l’azione.

Il giudice di appello ha inoltre dato conto dell’irrilevanza della anteriore revoca del mandato, correlata ad una generica insoddisfazione dell’operato del professionista, ma non ancora dimostrativa della piena e completa conoscenza della, gravità dei difetti dell’opera.

Pertanto la motivazione, lungi dall’essere insufficiente, affronta con dovizia di argomenti tutti i profili rilevanti per accertare che l’azione sia stata proposta entro i termini di decadenza e prescrizione, nè può inficiare tale valutazione di sufficienza e congruità l’argomento per il quale il difensore degli opponenti, nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo faceva un generico riferimento a rilevanti inadempienze sotto il profilo progettuale e direttivo, genericamente indicate, che sarebbero state lamentate "in corso di esecuzione dei lavori", senza alcuna migliore specificazione del dato temporale.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione in relazione al riconoscimento, da parte dei giudici del merito, del diritto al risarcimento danni anche con riferimento alla realizzazione e al conseguente abbattimento di un muretto di recinzione in violazione delle norme sulle distanze legali, mentre la domanda non sarebbe stata proposta e comunque il giudice di appello avrebbe dovuto chiarire meglio in quale senso gli opponenti e attori in riconvenzionale avrebbero dedotto la violazione delle distanze anche con riferimento al muretto di recinzione.

Il motivo deve essere respinto perchè il dedotto vizio di motivazione è contraddetto dalla stessa lettura della sentenza di appello laddove si afferma che dall’atto introduttivo di primo grado è rinvenibile un chiaro riferimento alla violazione delle distanze legali anche in relazione alla costruzione del muro di contenimento (poi dovuto demolire); laddove questo "chiaro riferimento" non sussistesse, sarebbe semmai ravvisatale non già un vizio di motivazione, ma un errore di fatto che non è deducibile con il ricorso per Cassazione, ma con l’impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c..

5. Con l’unico motivo del ricorso incidentale si deduce il vizio di motivazione e la violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. in relazione alla decisione con la quale il giudice di appello ha escluso dal risarcimento alcuni costi (spese di consulenza tecnica di ufficio) in quanto non provati, mentre sarebbe in atti la prova documentale dei relativi esborsi.

Il motivo è inammissibile perchè si sostanzia nell’allegazione di un errore di fatto del giudice che non è deducibile con il ricorso per Cassazione, ma con l’impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c..

5. In conclusione devono rigettarsi sia il ricorso principale che il ricorso incidentale.

Questa Corte non ritiene che la soccombenza dei controricorrenti in ordine al suo ricorso incidentale giustifichi la compensazione, neppure parziale, delle spese del presente giudizio tenuto conto della marginalità della contestazione sulle spese e dell’esito finale della lite che vede in via assolutamente prevalente la soccombenza del ricorrente principale il quale deve, pertanto, essere condannato al pagamento delle spese di questo giudizio ai Cassazione liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e rigetta entrambi. Condanna il ricorrente principale a pagare al controricorrente le spese di questo giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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