Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-11-2010) 09-03-2011, n. 9623

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Padova in data 20.3.2001, emessa a seguito di giudizio abbreviato, P.G. veniva condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione e L. 900.000 di multa per il reato di cui all’art. 455 cod. pen., commesso in (OMISSIS) ricevendo da M.R., detenendo e cedendo a S. R. due buoni del tesoro poliennali contraffatti del valore nominale di L. 50.000.000 ciascuno.

Il ricorrente lamenta:

1. inutilizzabilità nel rito abbreviato dell’interrogatorio reso dal coimputato S.R.;

2. violazione di legge e la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione relativamente alla prova della consapevolezza, in capo all’imputato, della falsità dei titoli;

3. violazione di legge e mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo alla eccepita inutilizzabilità dell’interrogatorio del coimputato S. R., è infondato.

Il ricorrente rileva che detto interrogatorio veniva reso alla polizia giudiziaria e non veniva nuovamente assunto nel contraddittorio delle parti.

Orbene, a prescindere dalla considerazione per la quale, come si vedrà, l’esito dell’interrogatorio in questione non assumeva particolare rilevanza, nell’impianto motivazionale della sentenza impugnata, a sostegno dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, le dichiarazioni rese da soggetti indagati alla polizia giudiziaria sono senz’altro utilizzabili nel giudizio abbreviato (Sez. 3, n. 10643 del 20.1.2010, imp. Capozzi, Rv.

246590), unitamente agli altri atti sui quali l’imputato, nel richiedere il rito alternativo, accettava di discutere la fondatezza dell’imputazione. Il ricorso deve pertanto essere rigettato sul punto.

2. Il secondo motivo di ricorso, relativo alla prova della consapevolezza, in capo all’imputato, della falsità dei titoli, è anch’esso infondato.

Con la sentenza impugnata, premesso che l’imputato ammetteva con dichiarazioni rese spontaneamente di aver ricevuto i titoli da tale R., dedito alle truffe, essendo consapevole della falsità di essi, e dichiarava invece nel corso del giudizio abbreviato di essere convinto della genuinità dei titoli e di averli ricevuti dal R. in cambio della vendita di due autovetture e di un prestito in denaro, e che i testimoni a difesa confermavano che l’imputato consegnava al R.un’autovettura BMW in cambio dei titoli in un bar di (OMISSIS), si osservava che secondo entrambe le versioni la ricezione dei titoli avveniva in un contesto irregolare, nel quale, come affermato nella decisione di primo grado, era evidentemente percepibile la natura illecita dei titoli stessi.

Il ricorrente rileva nella motivazione riportata la mancata considerazione delle dichiarazioni dei testimoni, le quali confermavano quelle presentate dall’imputato in udienza, rispetto alle quali non poteva pertanto essere attribuito maggior rilievo alle contrastanti dichiarazioni rese in precedenza dall’imputato; ed osserva come nella versione prospettata all’udienza emerga la buona fede del P., ulteriormente evidenziata dall’aver lo stesso consegnato i titoli ad un funzionario di banca quale era lo S..

Le considerazioni del ricorrente non fanno risaltare tuttavia alcuna manifesta illogicità o contraddittorietà nella motivazione della sentenza impugnata, la quale in realtà rilevava come anche nella versione da ultima prospettata dall’imputato, che sì dava atto trovare conferma in dichiarazioni testimoniali, fosse rappresentata una situazione indicativa di consapevolezza dell’illiceità dell’operazione. L’argomentazione del ricorso altro non fa che contrapporre a questa conclusione una diversa lettura degli stessi elementi, ritenuti in questa prospettiva dimostrativi della buona fede dell’imputato; tanto non consente di ravvisare nella sentenza alcun vizio motivazionale. Anche per questo profilo il ricorso va pertanto respinto.

3. Infondato è altresì il terzo motivo di ricorso, relativo al diniego delle attenuanti generiche.

Tale diniego veniva motivato con la sentenza impugnata facendo riferimento alla gravita del fatto e della personalità dell’imputato; facendosi cenno a quest’ultimo proposito, in un successivo passaggio relativo alla concedibilità della sospensione condizionale della pena, a precedenti penali risalenti al 1997.

Il ricorrente rileva come non si sia tenuto conto della lontananza nel tempo dei precedenti penali.

Da quanto sopra esposto risulta viceversa che nella propria motivazione la Corte d’Appello valutava detti precedenti, anche nella loro datazione, nel complesso degli elementi che portavano ad una decisione negativa sulla riconoscibilità delle invocate attenuanti.

La sentenza risulta pertanto adeguatamente e coerentemente motivata sul punto; seguendone la reiezione del ricorso anche per questo aspetto.

4. Deve infine darsi atto che con memoria integrativa successivamente presentata il difensore sollecita declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, osservando che i titoli riportavano la data di rilascio dell’1.1.1993, e che comunque dalla data di commissione del reato contestata al 29.9.1997 risulta decorso il termine prescrizionale determinato in base alla sopraggiunta e più favorevole disciplina di cui alla L. n. 251 del 2005. A quest’ultimo proposito il ricorrente, pur dando atto della previsione normativa di cui all’art. 10 legge citata in ordine all’inapplicabilità della normativa sopravvenuta ai procedimenti penali già pendenti in grado di appello alla data di entrata in vigore della stessa e della recente pronuncia della Sezioni Unite di questa Corte che identifica l’inizio della pendenza del giudizio di appello con l’emissione della sentenza di condanna di primo grado, ritiene quest’ultimo indirizzo non condivisibile o comunque non applicabile al caso di specie, nel quale, se la decisione di primo grado veniva pronunciata il 20.3.2001, il decreto di fissazione dell’udienza di appello veniva notificato solo il 13.11.2009, con conseguente pronuncia della sentenza di secondo grado a distanza di quasi nove anni da quella del Tribunale; e rileva che solo con la notifica del decreto di fissazione del giudizio di appello si costituisce il diritto di difesa dell’imputato in tale grado, determinandone l’effettiva pendenza, soprattutto ove sia trascorso un rilevante periodo di inattività processuale dal giudizio di primo grado, e che l’adesione al criterio giurisprudenziale in precedenza richiamato comporterebbe, in una situazione quale quella in esame, la violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost., facendo derivare irragionevolmente la mancata estinzione del reato da lungaggini burocratiche.

Questa Corte non può tuttavia che richiamare il rammentato indirizzo delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 47008 del 29.10.2009, imp. D’Amato, Rv. 244810), peraltro confermato da pronunce successive (Sez. 6, n. 8983 del 16.12.2009, imp. Torrisi, Rv. 246406), che individua condivisibilmente nell’emissione della sentenza di primo grado il momento iniziale della pendenza del grado di appello ai fini dell’applicabilità o meno dei termini prescrizionali previsti dalla legge sopravvenuta ove più favorevoli; pendenza sulla cui effettività non ha rilievo il concreto esercizio di attività difensiva, comunque potenzialmente praticabile anche a prescindere dalla fissazione dell’udienza di appello, ad esempio mediante la presentazione di memorie o istanze. L’elemento di fatto che secondo la difesa renderebbe il principio irragionevole nel caso in esame, ossia la considerevole distanza di tempo intercorsa fra le decisioni di primo e di secondo grado, è all’evidenza irrilevante. Qualunque ne sia stata la causa, tale ritardo, proprio perchè verificatosi successivamente alla pronuncia della sentenza di primo grado, non ha in alcun modo influito nello spostare temporalmente il limite fra detto grado e la fase di appello, ma ha semplicemente dilatato la dimensione di quest’ultima; nè il conseguente prolungarsi di detta fase appare tale da richiedere una deroga ad un regime che non è certo di esclusione della prescrizione, ma solo di diversa commisurazione del relativo termine massimo.

Alla fattispecie rimangono pertanto applicabili i precedenti termini prescrizionale, non ancora decorsi.

Il ricorso va in conclusione integralmente rigettato, seguendone la condanna del ricorrente la pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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