Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-11-2010) 09-03-2011, n. 9620 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di La Spezia in data 4.2.2005, P.E. veniva condannato alla pena di anni tre di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale commesso quale titolare della ditta individuale Samoco, dichiarata fallita dal Tribunale di La Spezia in data 9.7.1993, tenendo la scritture contabili in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari dell’impresa e distraendo l’attivo di L. 567.207.700 e i beni strumentali della ditta.

Il ricorrente lamenta:

1. nullità delle notificazioni degli atti in quanto non eseguite presso il domicilio eletto dall’imputato;

2. carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo all’asserita irregolarità delle notificazioni, è manifestamente infondato. Dagli atti emerge invero che nel corso del procedimento tutte le notifiche venivano tentate presso il domicilio dichiarato dall’imputato in (OMISSIS), e si rivelavano impossibili in quanto il P. risultava sfrattato da detta abitazione. Le notificazioni erano pertanto eseguite presso il difensore ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4; e tale procedura è di evidente correttezza, in presenza della dichiarazione di un domicilio dimostratosi inidoneo.

2. Il secondo motivo di ricorso, relativo all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è generico e comunque manifestamente infondato.

Con la sentenza impugnata si richiamavano le dichiarazioni di P. A., fratello dell’imputato, il quale riferiva di aver operato quale prestanome ricevendo direttive dal prevenuto, essendo egli un semplice saldatore; del curatore, il quale indicava nell’imputato un cogestore, nominato con atto notarile in data 27.3.1990 direttore tecnico con incarico di amministrazione e direzione dell’azienda e procacciamento di affari, e peraltro rimasto il solo a dirigere l’impresa dal 1993 a seguito di un infortunio occorso a P. A.; del commercialista della Samoco, il quale riferiva di aver avuto contatti solo con l’imputato; e della moglie di P.A. e dei dipendenti a conferma del ruolo gestionale dell’imputato. E si osservava che l’appellante si limitava a riportare le conclusioni del consulente tecnico del pubblico ministero sulla mancata individuazione di atti gestionali compiuti dall’imputato, irrilevanti in quanto riferite ad operazioni finanziarie che il P., già precedentemente dichiarato fallito, non poteva materialmente eseguire, ma ben poteva delegare ad altri.

Il ricorrente rileva la mancata considerazione del carattere interessato delle dichiarazioni del fratello dell’imputato e della di lui moglie, a fronte degli accertamenti documentali del consulente.

L’argomentazione difensiva si risolve all’evidenza nella riproposizione del motivo di appello vertente su determinate osservazioni del consulente tecnico, senza criticare specificamente le ragioni in base alle quali dette osservazioni venivano ritenute irrilevanti; ragioni della cui logicità e coerenza non è dato dubitare, essendo assolutamente plausibile che l’imputato abbia potuto operare senza comparire materialmente quale sottoscrittore di atti gestionali. Palesemente ininfluenti sono poi i rilievi del ricorrente sull’interesse sottostante alle dichiarazioni accusatorie del fratello e della moglie dell’imputato, a fronte di un apparato motivazionale fondato sui contributi testimoniali di diversi altri soggetti, quali il curatore, il commercialista della fallita e i dipendenti della stessa; elementi ai quali il ricorso ancora una volta non contrappone alcuna censura specifica.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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