T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 08-03-2011, n. 2084 Pubblicità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La D. s.p.a., titolare dei punti vendita a marchio T. in EmiliaRomagna, Marche, Abruzzo e Molise, agisce in giudizio per l’annullamento del provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato 15 gennaio 2009, notificatole il 12 febbraio 2009, con cui, all’esito di procedimento avviatosi su segnalazione di un consumatore, ha irrogato alla società la sanzione pecuniaria pari a Euro 80.000,00, ai sensi degli artt. 20 e 21, comma 1, lett. b) e d), e 23 del codice del consumo (d. lgs. 206/05), in relazione a tre promozioni, ritenute pratiche commerciali scorrette.

Le pratiche in argomento afferiscono ai due prodotti di cui in seguito.

– NOTEBOOK TOSHIBA L4012X.

La società rappresenta di aver pubblicizzato, mediante 95.000 copie di un volantino distribuito nell’area, la posta in vendita, nel punto vendita di Monzano, in occasione della sua inaugurazione, del prodotto "Notebook Toshiba L4012X" al "sottoprezzo" di Euro 599,00, con uno sconto del 25% rispetto al prezzo originario di Euro 799,00, per il solo giorno 25 ottobre 2007 e limitatamente a 20 pezzi.

La ricorrente precisa che la formula "sottoprezzo" è un neologismo che, nella prassi dei rivenditori al dettaglio di elettrodomestici ed apparecchi elettronici, ben nota al consumatore, sottolinea che il prodotto è ceduto senza apprezzabile margine di guadagno (nella specie, la stessa Autorità accertava che il prezzo pagato dalla società per ogni singolo prodotto era pari ad Euro 598,34 IVA inclusa), e che (a differenza dalla vendita sottocosto di cui al d.p.r. 218/01) non è normata.

Tale offerta, prosegue la società, si è comunque rivelata una erronea valutazione commerciale, essendo stati venduti solo 6 dei computer resi disponibili, ciò che ha comportato il ricorso della società all’utilizzo della cd. "clausola di protezione di magazzino", contenuta nell’accordo commerciale stipulato con Toshiba, prevedente un contributo per lo smaltimento dei prodotti obsoleti da definire volta per volta secondo necessità. Per l’effetto, a fronte dell’acquisto originario di 51 pezzi del prodotto, la società ricontrattava col fornitore il relativo prezzo, ottenendo un contributo pari a Euro 55,00 più IVA per pezzo.

Per quanto sopra, la ricorrente espone di essersi trovata nelle condizioni di poter riformulare il prezzo di offerta dei Notebook Toshiba L4012X rimasti invenduti in Euro 549,00, che veniva pubblicizzato mediante volantino promozionale valido per il periodo dal 18 al 30 novembre 2007.

– STAMPANTE HP AIO C3180.

La ricorrente espone di aver pubblicizzato, mediante volantino promozionale valido per il periodo dall’8 al 17 novembre 2007, distribuito in circa 641.000 copie nelle località dei propri punti vendita, la posta in vendita, tra altro, della "Stampante "HP AIO C3180" al prezzo sottocosto di Euro 54,00, con uno sconto del 31% rispetto al prezzo originario di Euro 79,00, limitatamente a 500 pezzi disponibili.

Precisa la società che trattavasi di un effettivo sottocosto, essendo stato tale prodotto acquistato, in 820 pezzi, al costo unitario di circa Euro 56,00 IVA inclusa.

Anche in questo caso, si prosegue, rimanevano però invenduti 309 dei 500 pezzi disponibili. Di talchè, sempre mediante il ricorso alla clausola di protezione di magazzino, ottenuto il contributo di Euro 9,00 a pezzo, la società poteva riformulare in Euro 49,00 il prezzo di offerta, non più sottocosto, che veniva pubblicizzato nel volantino promozionale valido per il periodo dal 18 al 30 novembre 2007, ovvero lo stesso di cui sopra si è detto in relazione al Notebook Toshiba L4012X.

Con l’impugnato provvedimento l’Autorità ha ritenuto che la ricorrente, nell’aver offerto in vendita in due precedenti promozioni (relative, la prima, al giorno 25 ottobre 2007 e, la seconda, al periodo 817 novembre 2007) due prodotti (Notebook Toshiba L4012X e stampante HP AIO C3180), successivamente offerti ad un prezzo più basso in altra promozione (valida dal 18 al 30 novembre 2007), ha posto in essere una pratica commerciale scorretta ex artt. 20, 21, comma 1, lett. b) e d), e 23 del codice del consumo.

Avverso le conclusioni cui è pervenuta l’Autorità la società indirizza i seguenti motivi di gravame:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 18, lett. h) del codice del consumo – eccesso di potere per difetto dei presupposti – carenza di istruttoria – difetto di motivazione – illogicità e contraddittorietà – ingiustizia grave e manifesta.

La ricorrente descrive articolatamente le caratteristiche del settore in parola, soffermandosi sulla illustrazione della rapidissima obsolescenza tecnologica cui sono soggetti i relativi prodotti, sulla presenza di una concorrenza molto serrata, nonché sui già sopra cennati meccanismi di protezione ivi contrattualmente operanti ("clausola di protezione di magazzino" o "stock protection").

Con riguardo a questi ultimi, parte ricorrente afferma che essi non consistono in un beneficio incondizionato offerto dal produttore al rivenditore – tant’è che l’entità del contributo viene definito di volta in volta a seconda delle necessità, nell’ambito di un importo massimo concordato preventivamente su base annua, normalmente elargito su base trimestrale – ovvero non esentano il rivenditore, nell’individuare il primo prezzo del prodotto, dall’assunzione del connesso rischio commerciale. Epperciò, secondo la società, nell’indicazione del primo prezzo, per il solo fatto della consapevolezza del rivenditore della possibilità di poter in un secondo momento offrire il prodotto ad un prezzo più basso (situazione che non solo non è preventivabile, ma che può anche non realizzarsi), non può rinvenirsi ex se una volontà ingannevole per il consumatore, come invece ha fatto l’Autorità. Del resto, si prosegue, nel sistema concorrenziale descritto, tutti i rivenditori sono posti sullo stesso piano, e il consumatore ben conosce la relativa dinamica di mercato, e può, pertanto, trarre beneficio dal noto meccanismo dell’abbassamento progressivo del prezzo, qualora non intenda correre il rischio dell’esaurimento del prodotto, che avviene quando il prezzo offerto è effettivamente il più competitivo sul mercato.

Erroneamente, pertanto, secondo la ricorrente, l’Autorità ha considerato la descritta pratica contraria alla diligenza professionale, in quanto nel porre in essere la descritta condotta la ricorrente ha operato nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede correlati alla specifica prassi da tempo in uso nel settore della vendita delle apparecchiature elettroniche;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 18, lett. e) del codice del consumo, nonché degli artt. 21, comma 1, lett. b) e d) e 23, lett. g) dello stesso codice – eccesso di potere per difetto dei presupposti – carenza di istruttoria – difetto di motivazione – illogicità e contraddittorietà – ingiustizia grave e manifesta.

Ad avviso della ricorrente, per quanto già sopra riferito, non sussiste nella specie il primo dei presupposti (contrarietà alla diligenza professionale) richiesti dal codice del consumo affinché una pratica commerciale possa definirsi scorretta.

Ma, si prosegue, non sussiste neanche il secondo, ovvero l’idoneità a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio.

A tale conclusione la ricorrente perviene illustrando i tratti salienti dell’art. 21, lett. b) e d) – azioni ingannevoli – e dell’art. 23, lett. g) – pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli – del codice del consumo applicati nella fattispecie, e sostenendo che l’effetto della sensibile alterazione del comportamento del consumatore medio richiede l’applicazione di un principio di proporzionalità, che deve tener conto anche dell’unica saliente definizione normativa di consumatore medio, ovvero del "considerando" n. 18 della direttiva comunitaria n. 2005/29/CE.

Essa comporta, secondo la ricorrente, che, diversamente da quanto ha fatto l’Autorità, nel settore che occupa il consumatore medio deve ritenersi persona sicuramente consapevole della velocissima obsolescenza tecnologica cui i prodotti in parola sono soggetti, e in grado di riscontrare che simili prodotti sono costantemente oggetto di offerte promozionali continue, che hanno quale naturale effetto che nel susseguirsi delle promozioni, in tempi estremamente rapidi, il prezzo di un prodotto, seppur sempre valido, tende sempre a diminuire.

Con un secondo profilo di censura la ricorrente contesta la correttezza della conclusione cui è pervenuta l’Autorità che, nel ritenere ingiustificato il cambiamento di prezzo, quantità e disponibilità dei prodotti tra le due promozioni, ha erroneamente ritenuto che le prime offerte in ordine temporale avrebbero indotto il consumatore medio ad effettuare un acquisto che non avrebbe altrimenti effettuato.

La società illustra, al riguardo, la giustificatezza del cambiamento della propria strategia di vendita per entrambi i prodotti e la sua sicura prevedibilità da parte del consumatore;

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 27, commi 9 e 13, del codice del consumo, in relazione alla mancata e falsa applicazione dell’art. 11 della l. 689/81 – eccesso di potere per difetto dei presupposti – carenza di istruttoria e di motivazione – iniquità – ingiustizia grave e manifesta.

Con la finale censura la società contesta sotto vari profili la quantificazione della sanzione.

Si è costituita in resistenza l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, insistendo per l’infondatezza del gravame, di cui domanda il rigetto.

Con ordinanza 6 maggio 2009, n. 1999 la domanda di sospensione interinale degli effetti del provvedimento impugnato formulata in via incidentale dalla ricorrente è stata respinta.

La ricorrente ha affidato a memoria lo sviluppo delle proprie argomentazioni.

Indi il gravame è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 24 novembre 2010.
Motivi della decisione

1. E’ sottoposto al presente scrutinio di legittimità il provvedimento con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ritenuto che la ricorrente D. s.p.a., titolare dei punti vendita a marchio T. in EmiliaRomagna, Marche, Abruzzo e Molise, nell’aver offerto in vendita in due precedenti promozioni (relative, la prima, al giorno 25 ottobre 2007, la seconda, al periodo 8 -17 novembre 2007) due prodotti (Notebook Toshiba L4012X e Stampante HP AIO C3180), successivamente offerti ad un prezzo più basso in altra promozione (valida dal 18 al 30 novembre 2007), ha posto in essere una pratica commerciale scorretta, ex artt. 20, 21, comma 1, lett. b) e d), e 23, lett. g) del codice del consumo, sanzionandola per l’importo di Euro 80.000,00.

2. Con il primo motivo di gravame (violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 18, lett. h) del codice del consumo – eccesso di potere per difetto dei presupposti – carenza di istruttoria – difetto di motivazione – illogicità e contraddittorietà – ingiustizia grave e manifesta) la società sostiene che le pratiche in argomento sono state effettuate nel pieno rispetto dei principi di correttezza e buona fede. Non soccorrerebbe, pertanto, il presupposto della contrarietà alla diligenza professionale come definito dal combinato disposto degli artt. 18, lett. h) e 20, comma 2 del codice del consumo.

La ricorrente affida la comprova dell’assunto alla puntuale descrizione del settore nel quale esplica la propria attività, e ciò con particolare riferimento alla rapidissima obsolescenza tecnologica cui sono soggetti i relativi prodotti ed alla presenza di una concorrenza molto serrata.

Per tali caratteristiche, illustra la ricorrente, il mercato di riferimento è caratterizzato da meccanismi di protezione derivanti da accordi tra il produttore ed il rivenditore, definiti "clausola di protezione di magazzino" o "stock protection".

In forza di tali clausole, che, sempre secondo la ricorrente, non esentano il rivenditore dall’assunzione del rischio consistente nell’individuazione del primo prezzo del prodotto in modo tale da renderlo appetibile per il consumatore, il produttore concede al rivenditore il beneficio consistente nella possibilità di agevolare lo smaltimento dei prodotti obsoleti già acquistati. Ciò in forza di un "contributo", da definirsi di volta in volta a seconda delle necessità, nell’ambito di un importo massimo concordato preventivamente su base annua, consistente sostanzialmente nella rinegoziazione al ribasso (sconto) tra il produttore ed il rivenditore del prezzo di acquisto del prodotto.

E poiché, nella specie, prosegue la ricorrente, la differenza del prezzo offerto dalla società nelle promozioni successive alla prima, per ambedue i considerati prodotti, è riconducibile esclusivamente al fatto che la società medesima, ricorrendone i presupposti, si è avvalsa di tale meccanismo di protezione, nessuna contrarietà alla diligenza professionale sarebbe imputabile alla società, che si è limitata ad utilizzare una pacifica prassi commerciale del settore di riferimento.

In altre parole, la società sostiene che non sarebbe sanzionabile quale condotta ingannevole per il consumatore – come, invece, l’Autorità procedente ha fatto – la mera consapevolezza del rivenditore della possibilità (e non della certezza) di poter in un secondo momento offrire il prodotto ad un prezzo più basso. Ciò anche tenendo conto del sistema concorrenziale descritto, ove tutti i rivenditori sono posti sullo stesso piano, e il consumatore ben conosce la relativa dinamica di mercato, e può, pertanto, trarre beneficio dal noto meccanismo dell’abbassamento progressivo del prezzo, qualora non intenda correre il rischio dell’esaurimento del prodotto, che avviene quando il prezzo offerto è effettivamente il più competitivo.

2.1. Né il modus procedendi dell’argomentazione appena descritta né, conseguentemente, la relativa conclusione possono essere condivisi dal Collegio.

La ricorrente fa uso, infatti, di una logica deduttiva che, poste in maniera del tutto astratta date premesse relative alle caratteristiche del mercato in parola, anche sotto il profilo delle norme pattizie che asseritamene lo contraddistinguono nei segnalati termini, affida al mero richiamo dell’operatività di queste la dimostrazione della correttezza dell’operato posto in essere, quasi che l’atto impugnato stigmatizzi la prassi del mercato, anziché la condotta concreta posta in essere dalla società.

Ma così non è.

Con l’effetto che la censura, tutta imperniata sull’illustrazione di elementi che l’Autorità dimostra di aver ben considerato in sede procedimentale, non riesce minimamente scalfire la validità dei puntuali accertamenti e la conferenza delle precise motivazioni in forza delle quali il provvedimento è pervenuto alla qualificazione della scorrettezza delle pratiche sub iudice.

Invero, risulta per tabulas che l’Autorità ha apprezzato precipuamente la condotta serbata dalla società nelle pratiche commerciali in esame, e non ex se gli effetti derivanti dal supposto ricorso ai descritti meccanismi pattizi di protezione. Essi, anzi, sono stati contemplati nel provvedimento, quali elementi della fattispecie a eventuale favore della società, che li ha invocati nell’ambito delle difese procedimentali svolte.

E, così facendo, l’Autorità si è avveduta, come risulta a pag. 9 del provvedimento, che la società non è stata in grado di assolvere l’onere della prova, ad essa attribuito dall’art. 27, comma 5 del codice del consumo, di fornire, come richiesto, idonea documentazione volta a dimostrare che il prezzo offerto per i due prodotti nella terza promozione, ovvero quella effettuata tra il 18 ed il 30 novembre 2007, inferiore a quello praticato nelle due offerte precedenti e senza alcuna limitazione dei pezzi, era stato ridotto a seguito di uno sconto specifico effettivamente richiesto e ottenuto successivamente all’esaurimento delle prime.

Vieppiù, il provvedimento rileva, alla stessa pagina, che l’istruttoria ha permesso di constatare che le contribuzioni indicate a giustificazione della riduzione dei prezzi dei due prodotti non sono state contrattate successivamente allo svolgimento delle due promozioni, bensì prima di tale momento, mediante accordi contrattuali preventivi volti ad agevolare la vendita dei prodotti.

Di talchè, dell’eventuale operatività nella fattispecie di un meccanismo quale quello descritto dalla ricorrente non è stata fornita nel corso del procedimento alcuna traccia.

Ne deriva che, caduto il presupposto indispensabile per aderire alla prospettazione della società, ovvero che il prezzo offerto nella terza pratica fosse il risultato di una ricontrattazione successiva alle riscontrate giacenze di magazzino all’esito delle prime due, da un lato, cade, senza alcuna chance di recupero, la possibilità della società di dimostrare in questa sede che, come pure asserito nel motivo in trattazione, la dinamica della formazione dei prezzi dei prodotti in parola nelle pratiche considerate possa essere ascritta al novero degli ordinari accadimenti del mercato del settore, secondo le specifiche regole che lo governano, e fermo restando il rischio d’impresa, come illustrato in ricorso.

Dall’altro, non può che rilevarsi, a contrario, che la stessa dinamica è risultata invece, nel corso dell’istruttoria procedimentale, integralmente dipendente dall’approntamento preventivo di una strategia commerciale ben precisa, anteriore a tutte le promozioni, eppertanto consapevolmente volta a realizzare successive riduzioni del prezzo di vendita dei prodotti, suscettibili di ampliare progressivamente il numero degli acquirenti.

3. Con il secondo motivo di gravame (violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 18, lett. e) del codice del consumo, nonché degli artt. 21, comma 1, lett. b) e d) e 23, lett. g) dello stesso codice – eccesso di potere per difetto dei presupposti – carenza di istruttoria – difetto di motivazione – illogicità e contraddittorietà – ingiustizia grave e manifesta) la ricorrente afferma innanzitutto la ricorrenza di una eventualità che, invece, per quanto sopra, non si è verificata, ovvero di aver già precedentemente dimostrato la insussistenza del primo dei presupposti (contrarietà alla diligenza professionale) necessari affinché una pratica commerciale possa definirsi scorretta.

Secondariamente, la ricorrente afferma che non sussiste nella fattispecie neanche il secondo presupposto al medesimo fine richiesto dal codice del consumo, ovvero l’idoneità a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio.

Ciò in quanto, secondo la società, occorre tener conto dell’unica saliente definizione normativa di consumatore medio, desumibile dal "considerando" n. 18 della direttiva comunitaria n. 2005/29/CE, in forza del quale esso deve ritenersi, nello specifico settore, persona sicuramente avveduta della velocissima obsolescenza cui i prodotti tecnologici sono soggetti, eppertanto in grado di riscontrare che gli stessi sono costantemente oggetto di offerte promozionali continue, in tempi estremamente rapidi, ove il relativo prezzo tende sempre a diminuire.

3.1. Il motivo non convince né in astratto né in concreto.

3.2. Un costante insegnamento giurisprudenziale, fondato su una corretta interpretazione delle pertinenti disposizioni del codice del consumo, di derivazione comunitaria, cui la Sezione aderisce, ha valorizzato precipuamente, nel quadro della pretendibilità da parte del professionista di una condotta ispirata al fondamentale canone della diligenza, il comportamento assunto dall’operatore commerciale, piuttosto che il livello di consapevolezza e conoscenza riscontrabile in capo ad un consumatore normalmente avveduto ed informato.

È, invero, apparso evidente che, nell’apprezzamento inerente l’adempimento dell’obbligo di diligenza facente capo all’operatore commerciale (normativamente sancito, per quanto qui di interesse, proprio dall’art. 20 del codice del consumo), l’eventuale rilevanza di una valutazione, caso per caso, secondo il mercato di riferimento, del grado di consapevolezza delle scelte commerciali raggiungibile dal consumatore, è suscettibile di condurre a conseguenze distorsive e non univoche, per effetto dell’introduzione, all’interno del paradigma di correttezza che deve normalmente assistere la pratica commerciale, di una valutazione che, invece di attenere precipuamente all’assolvimento di un obbligo ascrivibile al professionista, riguarda un elemento di eterointegrazione, quale componente aggiuntiva ed adeguatrice, del tutto sfornita di riscontri oggettivi.

3.3. Del resto, non appare seriamente dubitabile che le pratiche in argomento presentassero idoneità a falsare il comportamento economico dei consumatori, stante la loro riscontrata ingannevolezza ai sensi degli art. 21, comma 1, lett. b) e d), e 23, lett. g) del codice del consumo, su cui così condivisibilmente motiva il provvedimento in esame:

– quanto al Notebook Toshiba L4012X, l’Autorità rileva che lo stesso è stato posto in vendita solo per il giorno 25 ottobre 2007 ed in numero limitato di pezzi, vantando lo sconto significativo del 25%, laddove, "il medesimo prodotto è stato inserito tra le offerte della promozione valida, a distanza di poche settimane, dal 18 al 30 novembre 2007, senza limitazioni di disponibilità e ad un prezzo inferiore, 549 euro rispetto a 599 euro, peraltro risultante dall’applicazione di uno sconto del 21% sul prezzo pieno individuato in 699 euro, anch’esso diverso ed inferiore rispetto a quello indicato come prezzo pieno nell’offerta del 25 ottobre";

– quanto alla stampante HP AIO C3180, l’Autorità rileva che essa è stata inserita tra le offerte con disponibilità limitata a 500 pezzi, al prezzo di 54 euro, risultante dall’applicazione di uno sconto significativo pari al 31% sul prezzo di 79 euro, "laddove il medesimo prodotto nel corso di una promozione valida nelle settimane successive viene offerto, non in sottocosto, al prezzo più basso di 49,90 euro e senza alcuna limitazione quantitativa".

Invero, neanche la considerazione della nota obsolescenza dei prodotti in argomento, in più parti invocata dalla società, è in grado di giustificare l’aver posto in vendita a prezzi dichiarati particolarmente appetibili e in limitate quantità prodotti che nel pressoché immediato prosieguo dell’attività commerciale sono stati posti in vendita a prezzi ancora inferiori e senza alcuna limitazione.

Va, pertanto, parimenti condivisa anche la conclusione dell’Autorità in ordine alla chiara finalizzazione delle pratiche "a creare nei consumatori l’impressione del particolare vantaggio collegato alla specifica e non ripetibile offerta e quindi per sollecitarne l’acquisto immediato".

3.4. Per le stesse ragioni appena riferite va respinto, perché infondato, anche l’ulteriore profilo di censura di cui al motivo in trattazione, con cui la ricorrente sostiene che l’Autorità è incorsa in errore nel ritenere ingiustificato il cambiamento di prezzo, quantità e disponibilità dei prodotti tra le due promozioni.

Può aggiungersi che, vieppiù, nessuno degli specifici elementi addotti dalla società a sostegno dell’assunto risulta convincente

Quanto al Notebook Toshiba L4012X, la società rappresenta che la prima offerta era agevolmente riconducibile alla circostanza dell’inaugurazione di un nuovo punto vendita T., e che la seconda, riferita a più punti vendita, e a distanza di quasi un mese, era sicuramente comprensibile dal consumatore in relazione alla obsolescenza del prodotto.

Ma siffatta considerazione non offre una intrinseca logicità, sol che si consideri che non vi è alcuna ragione per ritenere (può stimarsi valido, semmai, il contrario) che l’inaugurazione di un punto vendita comporti di per se, per quel giorno, offerte meno convenienti rispetto a quelle che, all’interno di altri punti vendita riconducibili allo stesso marchio T., fanno seguito a distanza di tempo brevissimo. L’esiguità dell’arco temporale intercorrente tra la prima e la seconda offerta impedisce poi di configurare, in astratto, la possibilità della sopravvenienza di eventi che determinanti l’obsolescenza del prodotto. Eventi che, del resto, la società non ha nemmeno indicato, limitandosi a riferire dati inerenti le giacenze di magazzino, ovvero elementi che sicuramente non costituiscono fatti nuovi, non conosciuti e non dipendenti dalla società medesima, che, come tutti gli operatori commerciali, non può non svolgere proiezioni in relazione al rapporto tra gli acquisti e le vendite.

Quanto alla stampante HP AIO C3180, la società rileva che il richiamo nella prima offerta a 500 pezzi disponibili, stante la sua entità, deve considerarsi non già una limitazione, bensì un’indicazione, ovvero una nota informativa.

La pretesa è però palesemente contrastante con l’offerta, che va riguardata, ponendosi dal lato del consumatore, non solo in riferimento alla quantità di prodotti richiamata, ma in relazione al suo tenore complessivo, ove l’elemento "disponibilità" non può non essere combinato, al fine di apprezzarne la vis attractiva, con l’elemento "prezzo", che, nella specie, veniva rappresentato come particolarmente conveniente.

Resta solo da segnalare che la società espone anche qui di essersi legittimamente avvalsa delle clausole contrattuali di protezione: ma tale argomentazione è già sopra risultata non conducente agli esiti sperati in gravame.

4. Con il finale motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione dell’art. 27, commi 9 e 13, del codice del consumo, in relazione alla mancata e falsa applicazione dell’art. 11 della l. 689/81 – eccesso di potere per difetto dei presupposti – carenza di istruttoria e di motivazione – iniquità – ingiustizia grave e manifesta) la società contesta la quantificazione della sanzione.

4.1. Al riguardo, l’atto impugnato ha premesso che, ai sensi dell’art. 27, comma 9 del codice del consumo, con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta è disposta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 500.000 euro, avuto riguardo alla gravità e durata della violazione, specificando che nella determinazione deve tenersi conto, in quanto applicabili, dei criteri individuati dall’art. 11 l. 689/1981, in virtù del richiamo previsto dall’art. 27, comma 13 dello stesso codice.

In relazione alla gravità della violazione, l’Autorità ha fatto presente di avere tenuto conto: dell’importanza commerciale dell’operatore e della sua dimensione economica, trattandosi di società che gestisce una rete di primario rilievo nel settore della distribuzione specializzata; della credibilità e della notorietà di cui la società gode presso il pubblico, che rende le pratiche scorrette poste in essere ragionevolmente più dannose e di maggiore portata offensiva; della particolare gravità della condotta in ragione della sua natura ingannevole; della capacità di penetrazione dei messaggi, particolarmente elevata per l’ampia diffusione dei volantini.

Per quanto concerne la durata della violazione, l’Autorità l’ha ritenuta coincidente con la durata delle due promozioni.

Considerati tali elementi, è stata irrogata alla società la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 70.000,00; considerata inoltre la sussistenza di circostanze aggravanti, la sanzione è stata complessivamente determinata in Euro 80.000,00.

4.2. Tutto ciò posto, va respinta perché infondata la censura con la quale la ricorrente contesta la ricorrenza della gravità della violazione.

L’Autorità è pervenuta alla contestata qualificazione apprezzando le sopra riferite circostanze con considerazioni, che, per chiarezza e conducenza, non sono suscettibili di essere scalfite nella loro validità dai rilievi della società che le pratiche in oggetto riguardavano solo alcuni punti vendita T., e che le stesse non hanno sortito gli effetti commercialmente sperati.

Tali difese tendono, infatti, a minimizzare indebitamente sia l’estensione del territorio in cui la società opera con il predetto marchio (EmiliaRomagna, Marche, Abruzzo e Molise) sia la portata oggettiva della condotta.

4.3. Ad un opposto avviso deve invece pervenirsi in relazione all’affermazione della società che la sanzione irrogata risulta sproporzionata in relazione all’utile di esercizio conseguito nell’anno di riferimento.

Al riguardo, si osserva che il provvedimento dà conto che, per l’anno finanziario 2007, la società "ha evidenziato…un significativo volume di ricavi, registrando un utile di esercizio", che, però, non è stato indicato né, tanto meno, apprezzato, come richiede l’art. 11 della l. 689/1981, richiamato dall’art. 27, comma 13 del d. lgs. 206/2005, quando stabilisce che, nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo, deve aversi riguardo, tra altro, alle condizioni economiche dell’agente.

L’ammontare dell’utile in parola era stato invece comprovato dalla società nel corso del procedimento, e risulta pari a Euro 112.911,00. Il bilancio della società al 31.12.2007 è stato anche versato in atti di giudizio.

Di talchè, la sanzione amministrativa irrogata per un importo (Euro 80.000,00) pari a ca il 75% dell’utile di esercizio dell’anno di riferimento (Euro 112.911,00) risulta in contrasto con il criterio della valutazione della condizione economica dell’agente recato dal predetto art. 11, che, correttamente applicato, avrebbe dovuto condurre alla determinazione di una sanzione meno severa.

4.4. Deve ancora aggiungersi che la società sostiene che, nel valutare le circostanze aggravanti, il provvedimento imputa alla società cinque (rectius quattro) precedenti sanzionatori per violazione del d. lgs. 206/05, laddove, invece, delle riportate violazioni, riferibili al marchio T., una sola, di modesta rilevanza, è imputabile alla D., e che tale circostanza non è stata smentita dall’amministrazione resistente.

4.5. Rammentato che nelle controversie aventi ad oggetto le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione amministrativa, comprese quelle applicate dalle autorità amministrative indipendenti, il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito ai sensi dell’art. 134, lett. c), d.lgs. 104/2010, all’accertata illegittimità, per quanto sopra, della misura della sanzione irrogata consegue l’esercizio da parte del Collegio del potere giurisdizionale di merito di cui al citato art. 134, lett. c), del codice del processo amministrativo.

Per l’effetto, il Collegio stima equa l’irrogazione alla ricorrente di una sanzione pecuniaria complessiva pari a di Euro 50.000,00 in luogo della sanzione complessiva di Euro 80.000,00 rinveniente dal provvedimento impugnato.

5. In definitiva, il ricorso va accolto in parte, nei sensi e nei limiti indicati, e, per l’effetto, deve essere riformato il punto b) della delibera impugnata nonchè fissata in Euro 50.000,00 (cinquantamila) la sanzione amministrativa pecuniaria da irrogare alla società ricorrente.

Le spese di lite, considerata la parziale reciproca soccombenza, sono integralmente compensate.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie in parte, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, e, per l’effetto, riforma il punto b) della delibera impugnata fissando in Euro 50.000,00 (cinquantamila) la sanzione amministrativa pecuniaria da irrogare alla società ricorrente.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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