Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-10-2010) 09-03-2011, n. 9408

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- M.D. propone ricorso avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Reggio Calabria, dell’ 8 ottobre 2009, che ha respinto la domanda, dalla stessa avanzata, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta essendo stata raggiunta da provvedimento di custodia cautelare in relazione alle fattispecie delittuose di cui agli artt. 416, 648, 473, 490 cod. pen. ed altro;

delitti dai quali è stata successivamente assolta.

La corte d’appello ha rigettato l’istanza, avendo ritenuto che la richiedente, con la sua condotta gravemente colposa, aveva contribuito a dar causa al provvedimento restrittivo.

Avverso tale decisione viene, dunque, proposto ricorso per cassazione con il quale si deduce violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. e vizio di motivazione del provvedimento impugnato con riguardo alla individuazione, in capo alla ricorrente, di comportamenti gravemente colposi ritenuti ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione.

L’Avvocatura Generale dello Stato, costituitasi in giudizio nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiede dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi il ricorso.

-2- Il ricorso è infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riparazione per ingiusta detenzione al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, allo scopo di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo. Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del provvedimento di custodia cautelare. Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (auto incolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. Nulla vieta al giudice della riparazione di prendere in considerazione gli stessi comportamenti oggetto dell’esame del giudice penale, sempre che la valutazione di essi sia eseguita dal primo non rapportandosi ai canoni di giudizio del processo penale, bensì a quelli propri del procedimento riparatorio, che è diretto non ad accertare responsabilità penali, bensì solo a verificare se talune condotte abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.

Orbene, nel caso di specie, la corte distrettuale si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto, con motivazione adeguata e coerente sotto il profilo logico e nel rispetto della normativa di riferimento, sulla base di quanto desunto dalla lettura della stessa sentenza assolutoria, che la condotta della M. aveva sostanzialmente contribuito ad ingenerare, sia pur in presenza di errore dell’autorità inquirente, la rappresentazione di una condotta illecita dalla quale è scaturita, con rapporto di causa-effetto, la detenzione ingiustamente sofferta. E’ stato, in particolare, ricordato che la richiedente aveva acconsentito a svolgere la funzione di prestanome dei fratelli M.G. e D., raggiunti da misure personali di prevenzione antimafia, e di socia della società di persone che commercializzava trattori rubati con telaio contraffatto al fine di aggirare la normativa antimafia da parte dei fratelli, effettivi titolari dell’azienda.

Una condotta, quindi, che, seppur considerata priva di rilievo penale, legittimamente è stata ritenuta gravemente negligente ed integrante gli estremi della colpa grave, ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, che ha quantomeno contribuito alla formazione di un quadro indiziario certamente significativo che ha determinato l’adozione del provvedimento restrittivo.

Il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento che rigetta o accoglie la richiesta di riparazione è, d’altra parte, limitato alla correttezza del procedimento logico-giuridico attraverso cui il giudice di merito è pervenuto alla decisione;

mentre resta di esclusiva pertinenza di quest’ultimo la valutazione dell’esistenza e dell’incidenza della colpa o dell’esistenza del dolo. Anche in ragione di ciò, l’ordinanza in esame non merita di essere censurata, essendo la decisione impugnata del tutto coerente rispetto alle circostanze emerse in sede processuale, correttamente valutate dalla corte territoriale e perfettamente in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte in tema di riparazione.

Il ricorso deve essere, quindi, rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione, in favore del Ministero resistente, delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 800,00.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero dell’Economia, liquidate in Euro 800,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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