Corte Costituzionale, Sentenza n. 252 del 2012, in tema di sanzioni amministrative pecuniarie comminate dalla CONSOB

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 46 del 21-11-2012

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo
187-sexies, commi 1 e 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.
58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio
1996, n. 52), promosso dalla Corte di appello di Torino nel
procedimento vertente tra S.M. ed altra e la CONSOB, con ordinanza
del 27 gennaio 2012, iscritta al n. 80 del registro ordinanze 2012 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima
serie speciale, dell’anno 2012.
Udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2012 il Giudice
relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 27 gennaio 2012, la Corte di appello di Torino
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione,
questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 187-sexies,
commi 1 e 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo
unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria,
ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52),
nella parte in cui dispone la confisca obbligatoria degli strumenti
finanziari «movimentati» attraverso le operazioni compiute in
violazione dell’art. 187-bis del medesimo decreto legislativo (abuso
di informazioni privilegiate), o del loro equivalente economico,
«senza consentire all’autorita’ amministrativa prima e al giudice
investito dell’opposizione poi di graduare anche tale misura in
rapporto alla gravita’ in concreto della violazione commessa».
Il giudice a quo premette di essere investito del giudizio di
opposizione avverso la deliberazione della Commissione nazionale per
le societa’ e la borsa (CONSOB) del 30 dicembre 2009, con la quale
erano state irrogate sanzioni amministrative per una fattispecie di
ritenuto abuso di informazioni privilegiate. Secondo il provvedimento
impugnato, l’amministratore di una societa’ avrebbe acquistato, per
conto di quest’ultima, fra il 31 maggio e il 9 giugno 2005, un
consistente numero di azioni bancarie, utilizzando l’informazione
privilegiata, di cui era in possesso in ragione della sua qualita’,
relativa al fatto che una societa’ controllata era in procinto di
dare esecuzione a massicci ordini di acquisto delle medesime azioni,
conferiti da terzi e idonei ad influire sulla quotazione dei titoli.
Le azioni erano state rivendute poco tempo dopo, con un profitto di
euro 1.407.505, al netto delle commissioni.
A fronte di cio’, la CONSOB aveva irrogato all’autore del fatto e
alla societa’ nel cui interesse esso era stato commesso la sanzione
amministrativa pecuniaria di euro 1.800.000 ciascuno, per violazione,
rispettivamente, dell’art. 187-bis e dell’art. 187-quinquies del
d.lgs. n. 58 del 1998. Nei confronti della societa’ era stata inoltre
disposta, ai sensi dell’art. 187-sexies del citato decreto
legislativo, la confisca di titoli azionari ed obbligazionari per un
valore di euro 20.723.331, corrispondente a quello del «prodotto»
dell’illecito, rappresentato dalle azioni acquistate utilizzando
l’informazione privilegiata: importo che conglobava la somma
impiegata nell’operazione (euro 19.255.857) e il «differenziale
positivo» conseguito in occasione della rivendita dei titoli (euro
1.467.474).
Il giudice rimettente riferisce, altresi’, di avere pronunciato
sentenza non definitiva, con cui aveva respinto l’opposizione, salvo
che per il capo della deliberazione concernente la confisca,
relativamente al quale, con separata ordinanza – recependo
l’eccezione degli opponenti – aveva sollevato questione di
legittimita’ costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 27
Cost., dell’art. 187-sexies, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 58 del 1998,
«nella parte in cui dispone che l’applicazione delle sanzioni
amministrative pecuniarie, previste dal medesimo capo del decreto
legislativo, importi sempre la confisca del prodotto, del profitto e
dei beni utilizzati per commettere l’illecito e che, ove la confisca
non possa essere eseguita direttamente, essa debba avere
obbligatoriamente luogo su "denaro, beni o altre utilita’ di valore
equivalente"».
La questione era stata dichiarata, peraltro, inammissibile dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 186 del 2011, per oscurita’ e
indeterminatezza del petitum. La Corte aveva, in particolare,
rilevato come l’intervento ad essa richiesto rimanesse «oscuro sia
quanto all’oggetto che quanto al contenuto». Sotto il primo profilo,
non era dato, infatti, comprendere se l’invocata declaratoria di
illegittimita’ costituzionale dovesse concernere tutte le entita’ cui
si riferisce la norma denunciata, ovvero solo il prodotto
dell’illecito e i beni utilizzati per commetterlo, ovvero ancora
esclusivamente tali ultimi beni. Sotto il secondo profilo, non
emergeva in modo univoco se fosse stata richiesta una pronuncia
ablativa, intesa a rimuovere puramente e semplicemente la speciale
ipotesi di confisca in discussione, o se fosse auspicata, invece, una
pronuncia a carattere additivo-manipolativo, che attribuisse –
all’autorita’ amministrativa prima e al giudice poi – il potere di
graduare la misura ablativa prevista dalla norma censurata,
escludendone in tutto o in parte l’applicazione allorche’ essa
apparisse, in concreto, sproporzionata rispetto alla gravita’
dell’illecito.
Di seguito a tale pronuncia, gli opponenti avevano riassunto il
processo, chiedendo al giudice a quo di sollevare nuova questione di
legittimita’ costituzionale della norma censurata.
Ad avviso della Corte rimettente, le ragioni poste a fondamento
della precedente ordinanza di rimessione non avrebbero perso di
validita’, salva restando l’esigenza di precisare il petitum, in
ossequio alle indicazioni della citata sentenza n. 186 del 2011.
Al riguardo, il giudice a quo osserva che il comma 1 dell’art.
187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 prevede la confisca obbligatoria
«del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per
commetterlo». Il comma 2 stabilisce, a sua volta, che, quando non sia
possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa «puo’
avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilita’ di valore
equivalente». Malgrado l’impiego della voce verbale «puo’», sarebbe
indubitabile – secondo la Corte rimettente – che anche la confisca
per equivalente, prevista dal comma 2, abbia carattere obbligatorio,
posto che una diversa interpretazione svuoterebbe di significato la
preliminare affermazione di obbligatorieta’ della misura ablativa
contenuta nel comma 1.
Al tempo stesso, non sarebbe contestabile che tra i beni
utilizzati per commettere la violazione vadano inclusi gli strumenti
finanziari oggetto delle operazioni illecite di acquisto, vendita e
similari, previste dall’art. 187-bis, comma 1, lettere a) e c), del
d.lgs. n. 58 del 1998. Correttamente, pertanto, la CONSOB avrebbe
disposto, nel caso di specie, la confisca di strumenti finanziari
appartenenti alla societa’ interessata per un ammontare equivalente,
non soltanto al profitto conseguito (pari al differenziale tra il
prezzo di vendita e il prezzo di acquisto delle azioni cui si
riferivano le informazioni privilegiate), ma anche alle somme di
denaro impiegate per l’acquisto stesso. Avendo gia’ respinto
l’opposizione con sentenza non definitiva, relativamente ai motivi
attinenti alla sussistenza della violazione contestata, il giudice a
quo si troverebbe, quindi, a dover disattendere nella loro interezza
anche i motivi inerenti alla confisca: donde la rilevanza della
questione.
Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, la Corte torinese
rileva che mentre la previsione della confisca obbligatoria, anche
per equivalente, del profitto dell’illecito non si esporrebbe a
censure di legittimita’ costituzionale, non altrettanto potrebbe
dirsi con riguardo alla confisca obbligatoria dei beni utilizzati per
commettere la violazione o del loro controvalore.
Alla luce, infatti, delle caratteristiche tipiche dell’abuso di
informazioni privilegiate – il quale consiste, di norma,
nell’effettuazione di operazioni su strumenti finanziari allo scopo
di conseguire un utile differenziale – cio’ che realmente determina
la lesione del bene tutelato non sarebbe la mera «movimentazione» di
detti strumenti finanziari, ne’, tantomeno, l’acquisizione della loro
proprieta’ o del loro possesso da parte del responsabile della
violazione, quanto piuttosto il conseguimento di un profitto
illecito. Tale profitto verrebbe realizzato, peraltro, di regola,
tramite l’impiego di valori economici molto superiori, privi di un
rapporto di «proporzionalita’» con la gravita’ della violazione.
Proprio perche’ i profitti di borsa conseguono alle variazioni
marginali dei prezzi degli strumenti finanziari negoziati, l’utile
illecito corrisponderebbe, infatti, solo ad una frazione assai esigua
dei valori investiti nell’operazione.
Ne’, d’altra parte, si potrebbe ritenere che detti valori abbiano
un significato negativo intrinseco, «in termini di prevenzione
generale o speciale», tale da renderli meritevoli di ablazione per il
solo fatto di trovarsi nel patrimonio e nella disponibilita’ del
responsabile della violazione. La confisca dei valori considerati, o
del loro equivalente, si tradurrebbe, pertanto, in una vera e propria
sanzione, che, affiancandosi alla sanzione amministrativa pecuniaria,
non puo’, tuttavia, a differenza di questa, essere graduata in
rapporto alla gravita’ in concreto dell’illecito commesso.
In questa prospettiva, la norma denunciata violerebbe, quindi,
tanto l’art. 3 Cost., imponendo di applicare la confisca senza
consentire alcuna verifica di proporzionalita’ con il disvalore
dell’illecito o con la pericolosita’ della detenzione dei beni
ablati; quanto l’art. 27 Cost., il quale esigerebbe la ragionevolezza
e la non arbitrarieta’ della risposta sanzionatoria, rispetto alla
effettiva gravita’, soggettiva ed oggettiva, dell’illecito
perpetrato.
Sulla base di tali rilievi, la Corte rimettente ritiene
conclusivamente di dover sottoporre a nuovo scrutinio di legittimita’
costituzionale i commi 1 e 2 dell’art. 187-sexies del d.lgs. n. 58
del 1998, nella parte in cui impongono la confisca degli strumenti
finanziari «movimentati» attraverso l’operazione compiuta in
violazione dell’art. 187-bis, o del loro controvalore, senza
consentire all’autorita’ amministrativa prima, e al giudice investito
dell’opposizione poi, di graduare la misura in rapporto alla gravita’
in concreto della violazione commessa.

Considerato in diritto

1.- La Corte di appello di Torino dubita della legittimita’
costituzionale dell’articolo 187-sexies, commi 1 e 2, del decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8
e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nella parte in cui prevede
la confisca obbligatoria, anche per equivalente, degli strumenti
finanziari «movimentati» tramite le operazioni integrative
dell’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate,
«senza consentire all’autorita’ amministrativa prima e al giudice
investito dell’opposizione poi di graduare anche tale misura in
rapporto alla gravita’ in concreto della violazione commessa».
La Corte rimettente muove dall’assunto che il disvalore tipico
dei fatti di abuso di informazioni privilegiate si radichi
propriamente nella realizzazione di un profitto illecito. Date le
dinamiche delle operazioni di borsa, tale profitto corrisponderebbe,
peraltro, di regola, solo ad una esigua frazione dei valori economici
impiegati nell’operazione, anch’essi obbligatoriamente assoggettati
alla misura ablatoria in quanto beni strumentali alla commissione
dell’illecito. Per questo verso, la confisca assumerebbe, dunque, una
connotazione prettamente sanzionatoria, senza, peraltro, che ne sia
possibile la graduazione in rapporto all’effettiva gravita’
dell’illecito, con conseguente rischio che il soggetto responsabile
si trovi esposto ad un trattamento punitivo del tutto sproporzionato
rispetto al fatto commesso.
Di qui il ritenuto contrasto della norma censurata con gli artt.
3 e 27 della Costituzione, per violazione dei principi di
ragionevolezza e proporzionalita’ della risposta sanzionatoria.
2.- In via preliminare, va rilevato come la circostanza che la
Corte torinese riproponga una seconda volta la questione nell’ambito
del medesimo grado di giudizio non ridondi, di per se’, in un motivo
di inammissibilita’.
Una simile operazione non e’, infatti, preclusa allorche’ la
Corte costituzionale abbia emesso una pronuncia a carattere non
decisorio, fondata su motivi rimuovibili dal giudice a quo, posto che
in tal caso la riproposizione non contrasta col disposto dell’ultimo
comma dell’art. 137 Cost., in tema di non impugnabilita’ delle
decisioni della Corte stessa (ex plurimis, sentenze n. 50 del 2006 e
n. 189 del 2001, ordinanza n. 317 del 2007): cio’, peraltro, alla
ovvia condizione che il giudice a quo abbia eliminato il vizio che in
precedenza impediva l’esame nel merito della questione (ex plurimis,
ordinanze n. 371 del 2004 e n. 399 del 2002).
Nella specie, la pronuncia di inammissibilita’ adottata da questa
Corte in rapporto alla precedente ordinanza di rimessione (sentenza
n. 186 del 2011) ha carattere, per l’appunto, non decisorio, ed e’
basata su ragioni – il difetto di chiarezza e univocita’ del petitum
– che il giudice a quo puo’ senz’altro rimuovere.
3.- Nel riproporre la questione, la Corte di appello di Torino
ha, d’altra parte, eliminato la carenza in precedenza riscontrata.
Nell’odierno frangente, il giudice a quo ha, infatti, formulato
un petitum puntuale, rendendo palese come la questione non miri a
conseguire una pronuncia ablativa, quanto piuttosto una pronuncia
additivo-manipolativa, che – in surroga dell’attuale obbligo di
confisca integrale, anche per equivalente, previsto dalla norma
censurata – riconosca all’autorita’ amministrativa (in sede di
irrogazione) e al giudice (nell’ambito del giudizio di opposizione)
il potere di «graduare» la misura «in rapporto alla gravita’ in
concreto della violazione commessa». Cio’, peraltro, limitatamente ad
uno specifico oggetto, nell’ambito di quelli riconducibili nel
perimetro applicativo della normativa denunciata (la quale impone la
confisca «del prodotto o del profitto» e dei «beni utilizzati» per
commettere gli illeciti amministrativi di abuso di informazioni
privilegiate e di manipolazione del mercato): vale a dire, in
rapporto ai soli «strumenti finanziari movimentati» tramite le
operazioni compiute in violazione del divieto di abuso di
informazione privilegiate.
Al di la’ dell’opinabilita’ di taluno degli asserti formulati
(quale quello che gli strumenti finanziari acquisiti sfruttando
l’informazione privilegiata rientrerebbero tra i beni utilizzati per
commettere l’illecito, trattandosi, semmai, del «prodotto» di esso e
proprio in tale qualita’ essendo stati confiscati per equivalente
dalla CONSOB nel caso di specie), dal coordinamento tra motivazione e
dispositivo dell’ordinanza di rimessione si desume, altresi’, in modo
sufficientemente chiaro che la pronuncia richiesta dal giudice a quo
dovrebbe riguardare gli «strumenti finanziari movimentati» nei limiti
in cui il relativo valore rifletta quello dei beni impiegati
nell’operazione, con esclusione della parte di esso corrispondente
alla plusvalenza realizzata. Secondo le espresse affermazioni della
Corte torinese, infatti, la previsione della confisca obbligatoria,
anche per equivalente, del profitto non genererebbe alcuna
perplessita’ di ordine costituzionale, riferendosi il denunciato
vulnus ai soli «valori […] impiegati per commettere l’operazione
inquinata dall’abuso informativo», non legati da un rapporto
proporzionale predefinito col primo.
4.- Se pure chiaro ed univoco, l’odierno petitum rende, tuttavia,
inammissibile la questione sotto un diverso profilo.
Nel denunciare le conseguenze ultra modum che possono scaturire,
in determinati contesti, dalla previsione della confisca
obbligatoria, non solo del profitto, ma anche dei beni strumentali
alla commissione dell’illecito, specialmente se contemplata anche
nella forma «per equivalente» – problema in se’ reale e avvertito, da
sottoporre all’attenzione del legislatore – il giudice a quo invoca,
in effetti, una pronuncia che, per i suoi contenuti, esorbita dai
poteri di questa Corte.
Nell’attuale panorama ordinamentale, la confisca – tanto penale
che amministrativa – e’, infatti, sempre e soltanto una misura
"fissa". L’alternativa "di sistema" al regime dell’obbligatorieta’ e’
quella della facoltativita’ (e’ quest’ultima, appunto, la regola
generale in tema di confisca amministrativa dei beni impiegati per
commettere la violazione, rispetto alla quale la norma censurata
assume carattere derogatorio: art. 20, terzo comma, della legge 24
novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale»): nel
qual caso, peraltro, la discrezionalita’ della pubblica
amministrazione o del giudice si esplica esclusivamente in rapporto
all’an della misura. La confisca puo’ essere disposta o meno: ma, se
disposta, colpisce comunque nella loro interezza il bene o i beni che
ne costituiscono l’oggetto tipico.
La Corte torinese non chiede, peraltro, di trasformare, in parte
qua, la confisca prevista dall’art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del
1998 da obbligatoria in facoltativa: chiede, invece, di introdurre un
innovativo "terzo regime", a carattere intermedio (la
"graduabilita’"), a fronte del quale la discrezionalita’
amministrativa o giudiziale si esplicherebbe in relazione al quantum.
La confisca degli «strumenti finanziari movimentati» resterebbe,
cioe’, obbligatoria, ma non "obbligatoriamente integrale": la CONSOB
e il giudice dell’opposizione stabilirebbero, infatti, per quale
parte i predetti strumenti finanziari, o il relativo controvalore,
debbano essere assoggettati alla misura ablativa, sulla base del
parametro costituito dalla gravita’ in concreto della violazione
(peraltro, senza che risulti chiaro se vi sia un limite minimo oltre
il quale il preconizzato potere di abbattimento del quantum non
potrebbe andare, e quale esso eventualmente sia).
Per questo verso, l’intervento richiesto assume, dunque, il
carattere di una "novita’ di sistema": circostanza che lo colloca al
di fuori dell’area del sindacato di legittimita’ costituzionale, per
rimetterlo alle eventuali e future soluzioni di riforma, affidate in
via esclusiva alle scelte del legislatore.
5.- La questione va dichiarata, di conseguenza, inammissibile (ex
plurimis, sulla inammissibilita’ delle questioni che sollecitino
interventi "creativi" della Corte, sentenza n. 33 del 2007, ordinanze
n. 77 del 2010, n. 243 del 2009 e n. 83 del 2007).
L’evidenziato profilo di inammissibilita’ assorbe ogni ulteriore
considerazione in ordine alla correttezza delle premesse ermeneutiche
poste a base dell’iter argomentativo della Corte rimettente,
particolarmente per quanto attiene all’asserita possibilita’ di
individuare il momento espressivo dell’offesa tipica dell’abuso di
informazioni privilegiate nel conseguimento di un indebito profitto
(evento, in realta’, non richiesto ai fini del perfezionamento della
violazione, che si configura come illecito di mera condotta).

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 187-sexies, commi 1 e 2, del decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8
e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), sollevata, in riferimento
agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dalla Corte di appello di
Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2012.

F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2012.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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