Corte Costituzionale, Sentenza n. 257 del 2012, in tema di indennità di maternità per lavoratrici autonome iscritte alla gestione separata che abbiano adottato un minore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 47 del 28-11-2012

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli articoli 64,
comma 2, e 67, comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151
(Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e
sostegno della maternita’ e della paternita’, a norma dell’articolo
15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale di Modena
nel procedimento vertente tra G.G. e l’INPS, con ordinanza del 27
settembre 2011, iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2012 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima
serie speciale, dell’anno 2012.
Udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2012 il Giudice
relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto in fatto

1.- Il Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro,
con ordinanza del 27 settembre 2011 (r.o. n. 98 del 2012) ha
sollevato questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 64,
comma 2, e 67, comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151
(Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e
sostegno della maternita’ e della paternita’, a norma dell’articolo
15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), in riferimento agli articoli 3,
31 e 37 della Costituzione «nella parte in cui, relativamente alle
lavoratrici autonome e alle lavoratrici iscritte alla gestione
separata e tenute al versamento della contribuzione dello 0,5 per
cento di cui all’art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n.
449, che abbiano adottato un minore, prevedono l’indennita’ di
maternita’ per un periodo di tre mesi anziche’ di cinque mesi».
1.1.- Il rimettente espone che, con ricorso depositato nel
giudizio principale, la ricorrente G.G., lavoratrice autonoma,
iscritta alla gestione separata – premesso che aveva ottenuto
l’affidamento preadottivo del minore K.A., nato il 15 ottobre 2000,
con decorrenza 8 aprile 2008, data di ingresso del bambino in Italia,
e che aveva ottenuto dall’Istituto nazionale per la previdenza
sociale (d’ora in avanti, INPS), a seguito di domanda presentata in
data 11 giugno 2008, l’indennita’ di maternita’ nella misura di euro
6.415,71, pari a tre mensilita’, calcolate sul reddito dichiarato nel
periodo di riferimento – ha chiesto l’accertamento del proprio
diritto a percepire l’indennita’ di maternita’ per adozione
internazionale pari a cinque mensilita’ e la condanna dell’INPS al
pagamento delle residue due mensilita’, oltre interessi legali.
Il giudice a quo riporta, preliminarmente, il contenuto degli
artt. 66, 67, 68 del d.lgs. n. 151 del 2001, concernenti l’indennita’
di maternita’ per le lavoratrici autonome e le imprenditrici
agricole, in caso di gravidanza e in caso di adozione o affidamento.
In particolare, ai sensi del citato art. 66: «1. Alle lavoratrici
autonome, coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed
esercenti attivita’ commerciali di cui alle leggi 26 ottobre 1957, n.
1047, 4 luglio 1959, n. 463, e 22 luglio 1966, n. 613, e alle
imprenditrici agricole a titolo principale, e’ corrisposta una
indennita’ giornaliera per il periodo di gravidanza e per quello
successivo al parto calcolata ai sensi dell’articolo 68».
L’art. 68, comma 2, stabilisce: «Alle lavoratrici autonome,
artigiane ed esercenti attivita’ commerciali e’ corrisposta, per i
due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi
alla stessa data effettiva del parto, una indennita’ giornaliera pari
all’80 per cento del salario minimo giornaliero stabilito
dall’articolo 1 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito,
con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1981, n. 537, nella
misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella A e
dai successivi decreti ministeriali di cui al secondo comma del
medesimo articolo 1».
L’art. 67, concernente le modalita’ di erogazione
dell’indennita’, al comma 2, dispone: «In caso di adozione o di
affidamento, l’indennita’ di maternita’ di cui all’articolo 66
spetta, sulla base di idonea documentazione, per tre mesi successivi
all’effettivo ingresso del bambino nella famiglia a condizione che
questo non abbia superato i sei anni di eta’, secondo quanto previsto
all’articolo 26, o i 18 anni di eta’, secondo quanto previsto
all’articolo 27».
Il rimettente precisa che, con successivi interventi legislativi,
e’ stata estesa alle lavoratrici iscritte alla gestione separata la
tutela relativa alla maternita’, gia’ prevista per le lavoratrici
dipendenti.
In proposito, richiama l’art. 59, comma 16, della legge 27
dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza
pubblica), che ha elevato il contributo alla gestione separata dovuto
dalle persone non iscritte ad altre forme obbligatorie, tra l’altro,
«per il finanziamento dell’onere derivante dall’estensione agli
stessi della tutela relativa alla maternita’, agli assegni al nucleo
familiare e alla malattia in caso di degenza ospedaliera».
Con l’art. 80, comma 12, della legge 23 dicembre 2000, n. 388
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2001), il legislatore ha, poi,
stabilito che «La disposizione di cui al comma 16, quarto periodo,
dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, si interpreta
nel senso che l’estensione ivi prevista della tutela relativa alla
maternita’ e agli assegni al nucleo familiare avviene nelle forme e
con le modalita’ previste per il lavoro dipendente».
Con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
del 2 (recte: 4) aprile 2002, si e’ stabilito che «a decorrere dal 1°
gennaio 1998, alle madri lavoratrici iscritte alla gestione separata
e tenute al versamento della contribuzione dello 0,5 per cento e’
corrisposta un’indennita’ di maternita’ per i due mesi antecedenti la
data del parto ed i tre mesi successivi alla data stessa».
In caso di adozione o affidamento la suddetta indennita’ e’
corrisposta per i tre mesi successivi all’effettivo ingresso, nella
famiglia della lavoratrice, del bambino che, al momento dell’adozione
o dell’affidamento, non abbia superato i sei anni di eta’.
In caso di adozione o affidamento preadottivo internazionale,
disciplinati dal Titolo III della legge 4 maggio 1983, n. 184
(Diritto del minore ad una famiglia), e successive modificazioni,
l’indennita’ di cui all’art. 1 spetta, per i tre mesi successivi
all’effettivo ingresso nella famiglia della lavoratrice del minore,
anche se quest’ultimo, al momento dell’adozione o dell’affidamento,
abbia superato i sei anni e fino al compimento della maggiore eta’.
Il rimettente riporta, poi, con riferimento alle lavoratrici
iscritte alla gestione separata, il dettato dell’art. 64 del d.lgs.
n. 151 del 2001, come modificato dall’art. 5 del decreto legislativo
23 aprile 2003, n. 115 (Modifiche ed integrazioni al d.lgs. 26 marzo
2001, n. 151, recante Testo unico delle disposizioni legislative in
materia di tutela e sostegno della maternita’ e della paternita’, a
norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53) e dall’art.
1, comma 83, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2008), nei termini seguenti: «1. In materia di tutela
della maternita’, alle lavoratrici di cui all’articolo 2, comma 26
della legge 8 agosto 1995, n. 335, non iscritte ad altre forme
obbligatorie, si applicano le disposizioni di cui al comma 16
dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive
modificazioni. 2. Ai sensi del comma 12 dell’articolo 80 della legge
23 dicembre 2000, n. 388, la tutela della maternita’ prevista dalla
disposizione di cui al comma 16, quarto periodo, dell’articolo 59
della legge 27 dicembre 1997, n. 449, avviene nelle forme e con le
modalita’ previste per il lavoro dipendente. A tal fine, si applica
il d.m. del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2002. Con decreto del
Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze, e’ disciplinata
l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 7, 17 e 22 nei
limiti delle risorse rinvenienti dallo specifico gettito
contributivo, da determinare con il medesimo decreto».
Il Tribunale richiama anche l’art. 5 del decreto ministeriale 12
luglio 2007, ai sensi del quale: «1. Alle madri lavoratrici iscritte
alla gestione separata, tenute al versamento della contribuzione
dello 0,5 per cento di cui all’art. 59, comma 16, della legge 27
dicembre 1997, n. 449, e’ corrisposta un’indennita’ di maternita’ per
i periodi di astensione obbligatoria previsti dall’art. 16 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. L’indennita’ e’
corrisposta anche per i periodi di divieto anticipato di adibizione
al lavoro e per i periodi di interdizione dal lavoro autorizzati ai
sensi dell’art. 17 del predetto decreto legislativo n. 151 del 2001.
2. L’indennita’ di cui al comma 1 spetta alle lavoratrici in favore
delle quali, nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo
indennizzabile, risultino attribuite almeno tre mensilita’ della
contribuzione dovuta alla gestione separata, maggiorata delle
aliquote di cui all’art. 7. 3. L’indennita’ e’ corrisposta nella
misura prevista dall’art. 4 del decreto 4 aprile 2002 del Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12
giugno 2002, n. 136, e secondo le modalita’ ivi previste, previa
attestazione di effettiva astensione dal lavoro da parte del
lavoratore e del committente e resa nelle forme della dichiarazione
sostitutiva di atto di notorieta’».
Il giudice a quo precisa come il trattamento di maternita’ per le
lavoratrici dipendenti sia disciplinato, in caso di gravidanza, dagli
artt. 16 e seguenti del d.lgs. n. 151 del 2001 e, in caso di adozioni
e affidamenti, dall’art. 26 del medesimo decreto legislativo.
Riporta, poi, il contenuto del citato art. 26 – nella versione
ante sostituzione ai sensi dell’art. 2, comma 452, della legge n. 244
del 2007 – secondo cui «1. Il congedo di maternita’ di cui alla
lettera c), comma 1, dell’articolo 16 puo’ essere richiesto dalla
lavoratrice che abbia adottato, o che abbia ottenuto in affidamento
un bambino di eta’ non superiore a sei anni all’atto dell’adozione o
dell’affidamento. 2. Il congedo deve essere fruito durante i primi
tre mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino nella famiglia
della lavoratrice».
Il Tribunale sottolinea come, sulla base dei dati normativi
riportati, il trattamento di maternita’ per le lavoratrici
dipendenti, autonome o iscritte alla gestione separata, in caso di
adozione o affidamento, avesse contenuto identico.
Richiama, poi, l’art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2001, come
sostituito dall’art. 2, comma 452 della legge n. 244 del 2007, nel
seguente tenore: «1. Il congedo di maternita’ come regolato dal
presente Capo spetta, per un periodo massimo di cinque mesi, anche
alle lavoratrici che abbiano adottato un minore. 2. In caso di
adozione nazionale, il congedo deve essere fruito durante i primi
cinque mesi successivi all’effettivo ingresso del minore nella
famiglia della lavoratrice. 3. In caso di adozione internazionale, il
congedo puo’ essere fruito prima dell’ingresso del minore in Italia,
durante il periodo di permanenza all’estero richiesto per l’incontro
con il minore e gli adempimenti relativi alla procedura adottiva.
Ferma restando la durata complessiva del congedo, questo puo’ essere
fruito entro i cinque mesi successivi all’ingresso del minore in
Italia. 4. La lavoratrice che, per il periodo di permanenza
all’estero di cui al comma 3, non richieda o richieda solo in parte
il congedo di maternita’, puo’ fruire di un congedo non retribuito,
senza diritto ad indennita’. 5. L’ente autorizzato che ha ricevuto
l’incarico di curare la procedura di adozione certifica la durata del
periodo di permanenza all’estero della lavoratrice».
Il rimettente osserva come, alla luce delle modifiche normative
riportate, mentre per le lavoratrici dipendenti, siano esse madri
biologiche o adottive, e’ prevista una identica tutela per la
maternita’ che comprende congedo e relativa indennita’ per cinque
mesi, per le lavoratrici autonome e per quelle iscritte alla gestione
separata la tutela assume contenuti diversi a seconda che si tratti
di madri biologiche o adottive, in quanto per le prime l’indennita’
ha una durata di cinque mesi e per le seconde e’ limitata ai tre mesi
successivi all’ingresso del minore nella famiglia.
1.2.- Il giudice a quo esclude che sia possibile
l’interpretazione degli artt. 67 e 64 del d.lgs. n. 151 del 2001 in
senso conforme ai principi costituzionali.
In particolare, a suo avviso, il citato art. 67 del d.lgs. n. 151
del 2001 opera un rinvio ricettizio all’art. 26 del medesimo decreto
legislativo, in quanto la norma rinviante ripete all’interno del
proprio corpo il contenuto della disciplina della norma richiamata,
come era nella formulazione originaria e cio’ renderebbe insensibile
la disciplina di cui all’art. 67 rispetto alle modifiche apportate
all’art. 26.
Il rimettente ritiene, altresi’, che l’art. 64 del d.lgs. n. 151
del 2001 non consenta una interpretazione estensiva della tutela per
la maternita’ in favore delle lavoratrici iscritte alla gestione
separata che siano genitori adottivi.
Al riguardo, pone in evidenza come l’art. 64 realizzi
l’estensione alle lavoratrici autonome della tutela della maternita’
nelle forme e con le modalita’ previste per il lavoro dipendente,
attraverso il mero rinvio alle previsioni del decreto ministeriale
del 4 aprile 2002 e di un ulteriore decreto destinato a disciplinare
«l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 7, 17 e 22
nei limiti delle risorse rinvenienti dallo specifico gettito
contributivo, da determinare con il medesimo decreto», poi emanato il
12 luglio 2007.
Il detto art. 64 rinvia in modo specifico alle disposizioni dei
decreti ministeriali che dettano una disciplina dettagliata,
prevedendo un regime diverso di tutela per le lavoratrici autonome ed
iscritte alla gestione separata a seconda che si tratti di madri
biologiche o adottive.
In particolare, mentre il d.m. 4 aprile 2002 pone agli artt. 1 e
2 una espressa disciplina differenziata, quello del 12 luglio 2007 fa
esclusivo riferimento alle lavoratrici che siano genitori naturali,
in quanto richiama, ai fini dell’indennita’, le previsioni degli
artt. 16 e 17 del d.lgs. n. 151 del 2001, riferite ai periodi di
astensione obbligatoria prima e dopo il parto e alla interdizione dal
lavoro.
1.3.- In punto di rilevanza, il rimettente osserva che,
dall’accoglimento della sollevata questione di legittimita’
costituzionale, discenderebbe l’applicazione alla ricorrente della
disciplina prevista per le madri biologiche lavoratrici autonome e
iscritte alla gestione separata con conseguente diritto a percepire
l’indennita’ di maternita’ per cinque mesi.
1.4.- Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il
giudice a quo dubita della legittimita’ costituzionale degli artt.
67, comma 2, e 64, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001, in
riferimento agli artt. 3, 31, secondo comma, e 37 Cost.
In primo luogo, le norme censurate risulterebbero in contrasto
con l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo del principio di uguaglianza
e parita’ di trattamento che del principio di ragionevolezza.
Il Tribunale sottolinea come il sistema normativo a tutela della
maternita’ abbia subito, nel nostro ordinamento, una lunga evoluzione
che ha progressivamente valorizzato l’uguaglianza tra i coniugi,
nelle varie categorie di lavoratori, nonche’ tra genitori biologici
ed adottivi.
Evidenzia, poi, come, nell’evoluzione normativa e
giurisprudenziale (sentenze nn. 61 e 341 del 1991, nn. 276, 332 e 972
del 1988 e n. 1 del 1987), pur permanendo la coscienza della funzione
sociale della maternita’, si sia sempre piu’ dato rilievo al
prevalente interesse del bambino, elevandosi la posizione di
quest’ultimo, quale autonomo titolare di interessi da salvaguardare
«non solo per cio’ che attiene ai bisogni piu’ propriamente
fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere
relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua
personalita’» (sentenze n. 104 del 2003 e n. 179 del 1993).
Il giudice a quo pone in rilievo come, mentre nell’ambito del
lavoro dipendente il legislatore, attraverso la riformulazione
dell’art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2001, ha istituito una completa e
piena equiparazione tra madri biologiche e adottive – prevedendo che
il congedo di maternita’, regolato dagli artt. 16 e seguenti, con il
relativo trattamento economico, spetti in entrambi i casi per un
periodo massimo di cinque mesi – nell’ambito del lavoro autonomo tale
equiparazione non e’ stata realizzata permanendo un regime
differenziato tra madri biologiche e adottive, per cui le prime
godono del trattamento di maternita’ per cinque mesi e le seconde per
i tre mesi successivi all’ingresso del bambino in famiglia.
Ad avviso del giudice a quo, tale disciplina determina una
duplice disparita’ di trattamento, nell’ambito del lavoro autonomo,
tra madri biologiche e adottive e, nella categoria dei genitori
adottivi, a seconda che si tratti di lavoratrici dipendenti o
autonome.
In particolare, si sottolinea come, tra le lavoratrici autonome,
il legislatore tratti in modo deteriore le madri adottive rispetto a
quelle biologiche, concedendo alle seconde un’indennita’ di
maternita’ per la durata di cinque mesi e alle prime per soli tre
mesi.
Inoltre, si rileva come, con riguardo alla categoria dei genitori
adottivi, il legislatore tratti in modo deteriore le lavoratrici
autonome rispetto a quelle dipendenti, concedendo alle prime
l’indennita’ di maternita’ per soli tre mesi e alle seconde per
cinque mesi, in entrambi i casi a decorrere dall’ingresso del minore
in famiglia.
Ad avviso del rimettente, il diverso trattamento ai danni delle
madri adottive risulta anche irragionevole, in quanto queste ultime,
siano esse lavoratrici dipendenti o autonome, hanno le stesse
esigenze in ordine all’inserimento in famiglia del bambino adottato
ed in quanto la disparita’ non puo’ trovare giustificazione nelle
differenze esistenti tra lavoro autonomo e dipendente, posto che tali
differenze non riguardano il diritto delle madri di assistere il
bambino; e, infatti, esse non rilevano ai fini del trattamento della
maternita’ per le madri naturali.
Il Tribunale assume, altresi’, il contrasto delle norme censurate
con gli artt. 31, secondo comma, e 37 Cost., in quanto realizzano un
sistema di protezione della maternita’ non adeguato in relazione alla
categoria delle madri lavoratrici autonome che abbiano adottato un
bambino.

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro,
dubita della legittimita’ costituzionale degli articoli 64, comma 2,
e 67, comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno
della maternita’ e della paternita’, a norma dell’articolo 15 della
legge 8 marzo 2000, n. 53), in riferimento agli artt. 3, 31 e 37
della Costituzione,
Il rimettente denuncia gli artt. 67, comma 2, e 64, comma 2,
«nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici autonome e alle
lavoratrici iscritte alla gestione separata e tenute al versamento
della contribuzione dello 0,5 per cento di cui all’art. 59, comma 16,
della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che abbiano adottato un minore,
prevedono l’indennita’ di maternita’ per un periodo di tre mesi
anziche’ di cinque mesi».
Il giudice a quo e’ investito di un giudizio proposto da una
lavoratrice autonoma iscritta alla gestione separata, che, avendo
avuto l’affidamento preadottivo internazionale di un minore e avendo
ottenuto dall’INPS l’indennita’ di maternita’ pari a tre mensilita’,
ha chiesto l’accertamento del proprio diritto a riscuotere
l’indennita’ di maternita’ per cinque mensilita’ e la condanna
dell’INPS al pagamento delle residue due mensilita’, oltre interessi
legali.
Ad avviso del rimettente, le norme censurate violerebbero, in
primo luogo, l’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza
e della disparita’ di trattamento.
Infatti, per le lavoratrici dipendenti il legislatore, attraverso
la riformulazione dell’art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2001 (sostituito
dall’art. 2, comma 452, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 recante:
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2008»), avrebbe istituito una piena
equiparazione tra madri biologiche e adottive, prevedendo che il
congedo di maternita’, regolato dagli artt. 16 e seguenti, con il
relativo trattamento economico, spetti in entrambi i casi per un
periodo massimo di cinque mesi. Invece, per le lavoratrici autonome e
per quelle iscritte alla gestione separata, tale equiparazione non
sarebbe stata realizzata, permanendo un regime differenziato tra
madri biologiche e adottive, per cui le prime godono del trattamento
di maternita’ per cinque mesi e le seconde per i tre mesi successivi
all’ingresso del bambino in famiglia, con conseguente duplice
disparita’ di trattamento, nell’ambito del lavoro autonomo, tra madri
biologiche e adottive e, nella categoria dei genitori adottivi, tra
lavoratrici dipendenti e autonome.
Il rimettente assume, inoltre, il contrasto con gli artt. 31,
secondo comma, e 37 Cost. in quanto le norme denunciate
realizzerebbero un sistema di protezione della maternita’ non
adeguato in relazione alla categoria delle madri lavoratrici autonome
che abbiano adottato un bambino.
2.- La questione avente ad oggetto l’art. 67, comma 2, del d.lgs.
26 marzo 2001 n. 151 e’ inammissibile.
La norma censurata cosi’ dispone: «In caso di adozione o di
affidamento, l’indennita’ di maternita’ di cui all’articolo 66
spetta, sulla base di idonea documentazione, per tre mesi successivi
all’effettivo ingresso del bambino nella famiglia a condizione che
questo non abbia superato i sei anni di eta’, secondo quanto previsto
all’articolo 26, o i 18 anni di eta’, secondo quanto previsto
all’articolo 27».
Detta norma, collocata nel Capo XI – Lavoratrici autonome – del
d.lgs. n. 151 del 2001, disciplina le modalita’ di erogazione della
indennita’ di maternita’, in caso di adozione o di affidamento
(preadottivo) nazionale e internazionale, con riguardo alla categoria
delle lavoratrici autonome ed imprenditrici agricole.
Nella fattispecie in esame si tratta di una lavoratrice autonoma
iscritta alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della
legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico
obbligatorio e complementare), rientrante nella previsione della
specifica normativa stabilita dall’art. 64 del citato decreto
legislativo, disposizione destinata, per l’appunto, a regolare la
posizione delle lavoratrici iscritte alla detta gestione separata.
Pertanto, il rimettente non deve fare applicazione del censurato
art. 67, comma 2, in ordine al quale, del resto, non si rinviene
nell’ordinanza una specifica motivazione diretta a spiegare le
ragioni della sua evocazione.
Ne deriva che la questione, proposta con riferimento alla norma
da ultimo citata, deve essere dichiarata inammissibile per difetto di
rilevanza (ex plurimis: ordinanze nn. 143, 181 e 195 del 2011).
3.- La questione avente ad oggetto l’art. 64, comma 2, del d.lgs.
26 marzo 2001 n. 151 e’ fondata.
Il comma 1 di detta norma stabilisce che «In materia di tutela
della maternita’, alle lavoratrici di cui all’articolo 2, comma 26,
della legge 8 agosto 1995, n. 335, non iscritte ad altre forme
obbligatorie, si applicano le disposizioni di cui al comma 16
dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive
modificazioni» (si tratta di norma recante disposizioni in materia di
previdenza, assistenza, solidarieta’ sociale e sanita’, con
particolare riguardo ai profili contributivi).
Il comma 2 aggiunge che «Ai sensi del comma 12 dell’articolo 80
della legge 23 dicembre 2000, n. 388, la tutela della maternita’
prevista dalla disposizione di cui al comma 16, quarto periodo,
dell’art. 59 della legge 27 novembre 1997, n. 449, avviene nelle
forme e con le modalita’ previste per il lavoro dipendente. A tal
fine, si applica il d.m 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle
finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno
2002. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale,
di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, e’
disciplinata l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli
7, 17 e 22 nei limiti delle risorse rinvenienti dallo specifico
gettito contributivo da determinare con il medesimo decreto».
Il citato d.m. 4 aprile 2002, nell’art. 2, sotto la rubrica
«Indennita’ in caso di adozione o affidamento», al comma 2 dispone
che: «In caso di adozione o affidamento preadottivo internazionale,
disciplinati dal titolo III della legge 4 maggio 1983, n. 184, e
successive modificazioni, l’indennita’ di cui all’art. 1 spetta, per
i tre mesi successivi all’effettivo ingresso nella famiglia della
lavoratrice del minore, anche se quest’ultimo, al momento
dell’adozione o dell’affidamento, abbia superato i sei anni e fino al
compimento della maggiore eta’. L’Ente autorizzato, che ha ricevuto
l’incarico di curare la procedura di adozione, certifica la data di
ingresso del minore e l’avvio presso il tribunale italiano delle
procedure di conferma della validita’ dell’adozione o di
riconoscimento dell’affidamento preadottivo».
L’art. 1 del detto d.m., richiamato nella disposizione ora
trascritta, riguarda l’indennita’ di maternita’ spettante alle madri
lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma
26, della legge n. 335 del 1995, e tenute al versamento della
contribuzione dello 0,5 per cento di cui all’art. 59, comma 16, della
legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della
finanza pubblica).
Come si vede, dal combinato disposto della normativa ora
richiamata – e, in particolare, dall’art. 64, comma 2, del d.lgs. n.
151 del 2001, e successive modificazioni, in modo espresso integrato
dal d.m. 4 aprile 2002 – risulta che, in caso di affidamento
preadottivo internazionale (come nella specie), l’indennita’ di
maternita’ alle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui
all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 spetta per i tre
mesi successivi all’effettivo ingresso del minore nelle famiglie
delle lavoratrici stesse.
Invece, per le lavoratrici dipendenti il congedo di maternita’
(durante il quale e’ dovuta la relativa indennita’: art. 22, comma 1,
del d.lgs. n. 151 del 2001 e successive modificazioni) spetta per un
periodo di cinque mesi (artt. 16 e seguenti del citato decreto
legislativo) e per analogo periodo e’ riconosciuto anche alle
lavoratrici che abbiano adottato un minore, sia in caso di adozione
nazionale sia in caso di adozione internazionale (art. 26, commi 1,
2, 3, del d.lgs. n. 151 del 2001, come sostituito dall’art. 2, comma
452, della legge n. 244 del 2007).
Va notato che l’art. 26 non menziona l’affidamento preadottivo
(artt. da 22 a 24 della legge n. 184 del 1983 per l’adozione
nazionale e artt. da 29 a 39 della medesima legge per l’adozione
internazionale), come faceva, invece, espressamente l’art. 27 del
d.lgs. n. 151 del 2001, norma abrogata dall’art. 2, comma 453, della
legge n. 244 del 2007; invece prevede (art. 26, comma 6) il caso
dell’affidamento non preadottivo (art. 2 della legge n. 184 del
1983), per il quale stabilisce una durata massima del congedo in mesi
tre.
Tuttavia, si deve escludere che il mancato richiamo
dell’affidamento preadottivo sia conseguenza di una scelta del
legislatore (per effetto della quale, peraltro, tale forma di
affidamento resterebbe priva di copertura legislativa nella materia
in esame), dovendosi piuttosto ritenere che la sua stretta inerenza
al provvedimento di adozione (come si evince anche dagli artt. 34,
primo comma, 39, primo comma, lettera h, della legge n. 184 del 1983
per l’adozione internazionale) imponga di considerare implicito nella
disciplina delle forme di adozione (nazionale e internazionale) anche
il richiamo all’affidamento preadottivo. Lo stesso INPS, con
circolare del 4 febbraio 2008, n. 16, ha precisato, che, analogamente
a quanto previsto in caso di adozione nazionale, la lavoratrice
dipendente che adotta un minore straniero ha diritto all’astensione
dal lavoro per un periodo pari a cinque mesi a prescindere dall’eta’
del minore all’atto dell’adozione e che le relative istruzioni si
applicano anche laddove, al momento dell’ingresso del minore in
Italia, lo stesso si trovi in affidamento preadottivo (art. 35,
quarto comma, della legge n. 184 del 1983).
Cio’ posto si deve osservare che, come questa Corte ha gia’
affermato, gli istituti nati a salvaguardia della maternita’ non
hanno piu’, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di
protezione della donna, ma sono destinati anche alla garanzia del
preminente interesse del minore, che va tutelato non soltanto per
quanto attiene ai bisogni piu’ propriamente fisiologici ma anche in
riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo,
collegate allo sviluppo della sua personalita’ (sentenze n. 385 del
2005 e n. 179 del 1993).
Tale principio e’ tanto piu’ presente nelle ipotesi di
affidamento preadottivo e di adozione, nelle quali l’astensione dal
lavoro non e’ finalizzata solo alla tutela della salute della madre,
ma mira anche ad agevolare il processo di formazione e crescita del
bambino (sentenza n. 385 del 2005), creando le condizioni di una piu’
intensa presenza degli adottanti, cui spetta (tra l’altro) la
responsabilita’ di gestire la delicata fase dell’ingresso del minore
nella sua nuova famiglia.
In questo quadro, non si giustifica, ed appare anzi
manifestamente irragionevole, che, con riferimento alla stessa
categoria dei genitori adottivi, mentre alle lavoratrici dipendenti,
che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore,
spetta un congedo di maternita’ (con relativa indennita’) per un
periodo massimo di cinque mesi, sia in caso di adozione (o
affidamento preadottivo) nazionale che internazionale (art. 26, commi
1, 2 e 3 del d.lgs. n. 151 del 2001), alle lavoratrici iscritte alla
gestione separata sia riconosciuta un’indennita’ di maternita’ per
soli tre mesi. L’irragionevolezza di tale trattamento differenziato
e’ palese, ove si consideri che, in entrambi i casi, si verte in tema
di adozione o di affidamento preadottivo.
E’ vero che tra lavoratrici dipendenti e lavoratrici iscritte
alla gestione separata sussistono differenze che rendono le due
categorie non omogenee. Nella questione in esame pero’ vengono in
rilievo non gia’ tali diversita’, bensi’ la necessita’ di adeguata
assistenza per il minore nella delicata fase del suo inserimento
nella famiglia, anche nel periodo che precede il suo ingresso nella
famiglia stessa, e tale necessita’ si presenta con connotati identici
per entrambe le categorie di lavoratrici.
Ne deriva che la discriminazione sopra riscontrata si rivela
anche lesiva del principio di parita’ di trattamento tra le due
figure di lavoratrici sopra indicate che, con riguardo ai rapporti
con il minore (adottato o affidato in preadozione), nonche’ alle
esigenze che dai rapporti stessi derivano, stante l’identita’ del
bene da tutelare, vengono a trovarsi in posizioni di uguaglianza.
Conclusivamente, deve essere dichiarata l’illegittimita’
costituzionale dell’art. 64, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001,
come integrato dal richiamo al d.m. 4 aprile 2002 del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.
136 del 12 giugno 2002, nella parte in cui, relativamente alle
lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma
26, della legge n. 335 del 1995, che abbiano adottato o avuto in
affidamento preadottivo un minore, prevede l’indennita’ di maternita’
per un periodo di tre mesi anziche’ di cinque mesi.
Ogni altro profilo rimane assorbito.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 64,
comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico
delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita’ e della paternita’, a norma dell’articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), come integrato dal richiamo al decreto
ministeriale 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2002, nella
parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione
separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995,
n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e
complementare), che abbiano adottato o avuto in affidamento
preadottivo un minore, prevede l’indennita’ di maternita’ per un
periodo di tre mesi anziche’ di cinque mesi;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 67, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001,
sollevata dal Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro,
in riferimento agli articoli 3, 31 e 37 della Costituzione, con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2012.

F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2012.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *