Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-05-2011, n. 10610

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 18 gennaio 2007, la Corte d’Appello di Cagliari dichiarava l’estinzione del giudizio di rinvio per non essere stato l’atto di riassunzione, tempestivamente depositato nel termine ex art. 392 c.p.c., notificato all’appellante nel termine concesso dalla Corte, su espressa richiesta, per procedere alla rinnovazione della notifica.

2. La Corte territoriale, a sostegno del decisum, riteneva che l’art. 393 c.p.c. prevedesse l’estinzione dell’intero processo di rinvio sia nel caso in cui la riassunzione non fosse avvenuta entro il termine di cui all’art. 392 c.p.c., sia nel caso di avverarsi successivamente ad essa di una causa di estinzione, qual è la situazione disciplinata dall’art. 307 c.p.c., comma 3. 3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, P. P. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.

L’intimato ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso.
Motivi della decisione

4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione degli artt. 143 e 435 c.p.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5).

5. Col secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 156, 174 e 435 e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5).

6. Il Collegio ritiene entrambi i motivi inammissibili.

7. L’illustrazione delle censure di violazione di legge non si conclude con la formulazione del quesito ex art. 366-bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, applicabile ratione temporis, trattandosi di impugnazione avverso una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione introdotte dal citato decreto legislativo e in vigore fino al 4 luglio 2009 ( L. n. 69 del 2009, ex artt. 47, comma 1, lett. d) e art. 58, comma 5).

8. Inoltre, questa Corte regolatrice, alla stregua della già citata formulazione dell’art. 366-bis c.p.c., è fermissima nel ritenere che, a seguito della novella del 2006, per le censure previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5 allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

9. Ciò importa, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Nè è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

10. Conclusivamente, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in argomento, ex multis, Cass. 27680/2009, 8897/2008; SU 20603/2007). Il ricorso è, nella specie, totalmente privo di tale indicazione, onde deve dichiararsi rinammissibilità del motivo.

11. Peraltro, le censure del ricorrente si basano su dati fattuali in contrasto con quanto accertato in sentenza, senza che nel ricorso si documentino il loro accadimento e la tempestiva e rituale eccezione (a fronte di una mancanza di notifica dell’atto di appello si deduce, invece, una notifica non risultante da nessun verbale d’udienza). Nè le circostanze addotte in ricorso risultano avallate da alcun documento allegato al ricorso, sicchè non è dato a questa Corte di esercitare alcun controllo, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

12. Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 18,00 oltre Euro 3.000,00 (tremila) per onorario, spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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