T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, Sent., 08-03-2011, n. 429

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe il datore di lavoro extracomunitario C.X. (cinese) impugna il provvedimento dirigenziale della Prefettura di Lecce prot. n° ID101944/09 del 7 Luglio 2010, notificato il 14 Luglio 2010, che ha archiviato l’istanza di emersione dalla condizione di lavoratore irregolare da lui presentata in relazione al suo dipendente (cittadino extracomunitario) W.Q. (cinese) e quindi negato la regolarizzazione ex Decreto Legge n° 78/2009, convertito dalla Legge 3 Agosto 2009 n° 102, adducendo come elemento ostativo l’aver subito (il lavoratore W.Q.) una condanna per il reato di cui all’art.14, comma 5ter prima parte, del Decreto Legislativo 25 Luglio 1998 n° 286 e ss.mm., nonché ogni altro atto connesso.

A sostegno dell’impugnazione interposta è stato formulato il seguente articolato motivo di gravame.

1) Violazione e falsa applicazione della Legge n° 102/2009 – Motivazione insufficiente: lamentando, sostanzialmente, l’erronea interpretazione del combinato disposto degli artt.1ter, comma 13, lett. c) del Decreto Legge n° 78/2009 (convertito dalla Legge 3 Agosto 2009 n° 102) e 14, comma 5ter, prima parte, del Decreto Legislativo 25 Luglio 1998 n° 286 e ss.mm..

Dopo avere diffusamente illustrato il fondamento in diritto della domanda azionata, il ricorrente concludeva come riportato in epigrafe.

Si è costituita in giudizio, tramite l’Avvocatura erariale, l’intimata Amministrazione dell’Interno, depositando memorie difensive con le quali ha replicato alle argomentazioni della controparte, concludendo per la reiezione del ricorso.

Il ricorrente ha presentato, in via incidentale, istanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato, che è stata accolta da questa Sezione con ordinanza n° 688 del 9 Settembre 2010 (riformata, però, in appello dalla VI Sezione del Consiglio di Stato con ordinanza n° 5376/2010).

Alla pubblica udienza del 2 Febbraio 2011, su richiesta di parte, la causa è stata posta in decisione.

Il ricorso è fondato nel merito e va accolto.

Il Tribunale è chiamato a pronunciarsi sulla riconducibilità del reato ex art. 14, comma 5ter, del T.U. 25 Luglio 1998 n° 286 e ss.mm. a quelli per i quali l’art. 1ter, comma 13 lett. c), del Decreto Legge n° 78/2009 (convertito dalla Legge 3 Agosto 2009 n° 102) impedisce la possibilità di sanatoria della prestazione lavorativa irregolare.

La norma da ultimo indicata esclude dalla procedura di emersione i lavoratori extracomunitari "che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 del medesimo codice", per i quali cioè è previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza.

Orbene, il menzionato art. 14, comma 5ter, del Decreto Legislativo 25 Luglio 1998 n° 286 e ss.mm. punisce con la reclusione da uno a quattro anni lo straniero che, destinatario dell’ordine del Questore di abbandonare il territorio nazionale, permane illegalmente nel territorio dello Stato; il successivo comma 5quinquies stabilisce che "si procede con rito direttissimo ed è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto".

Nella situazione considerata si trova il dipendente del ricorrente, il lavoratore W.Q..

Ciò posto, il Collegio è dell’avviso che la conclusione cui perviene l’Amministrazione non può essere condivisa e che la fattispecie ex art. 14, comma 5ter, del T.U. n° 286/1998 non può essere annoverata tra i reati che precludono la regolarizzazione del lavoratore, secondo quanto disposto dall’art. 1ter, comma 13 lett. c), della Legge 3 Agosto 2009 n° 102.

Al riguardo occorre innanzitutto rilevare che a svolgere un ruolo prevalente nella determinazione della sanzione, quale conseguenza giuridica del reato previsto dal su richiamato art 14, comma 5ter, del Decreto Legislativo n° 286/1998, non è tanto la considerazione della condotta dello straniero il quale, in violazione dell’ordine del Questore, permane illegalmente nel territorio dello Stato, quanto soprattutto i motivi per i quali l’Autorità amministrativa esercita il potere espulsivo.

In buona sostanza la disapprovazione dell’ordinamento investe soprattutto la condotta antecedente la violazione dell’ordine dell’Autorità amministrativa; tant’è che laddove l’ordine inosservato fosse intervenuto per il mancato rinnovo del permesso di soggiorno scaduto (ipotesi pure considerata dalla norma), la pena applicabile risulterebbe di gran lunga inferiore (reclusione da sei mesi ad un anno) rispetto a quella prevista (reclusione da uno a quattro anni) in caso di espulsione disposta "per ingresso illegale nel territorio nazionale ai sensi dell’art. 2 lett. a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine previsto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato".

Ciò significa però che i fatti costitutivi del reato in questione, al netto della violazione dell’ordine questorile (marginale nella determinazione della pena edittale), si identificano con quelli suscettibili d’essere assunti a presupposto della domanda di emersione ex Legge n° 102/2009.

Sicchè, ricondurre il reato previsto dall’art. 14, comma 5ter, del T.U. 25 Luglio 1998 n° 286 e ss.mm., sanzionato con la pena della reclusione da uno a quattro anni, tra i reati previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p., risulterebbe del tutto illogico e contraddittorio ove si consideri che una medesima condotta, per un verso legittimerebbe la domanda di emersione, per altro verso ne costituirebbe una causa ostativa.

Pertanto, una corretta interpretazione dell’art. 1 ter, comma 13, lett. c) della Legge 3 Agosto 2009 n° 102 induce a ritenere che, quantunque sia possibile ricondurre tra i reati previsti dall’art. 381 c.p.p. un reato punibile con la pena da uno a quattro anni, tuttavia la regola della non ammissione alla procedura di emersione non possa ritenersi operante nei confronti del reato di cui all’art. 14, comma 5ter, del Decreto Legislativo n° 286/1998, posto che i fatti costitutivi, valutati dal legislatore ai fini della determinazione della pena edittale, si traducono sostanzialmente nei presupposti indicati dalla norma per accedere alla procedura di emersione.

D’altro canto, una diversa interpretazione sicuramente porterebbe a soluzione configgenti con fondamentali principi di eguaglianza.

Già in ripetute ordinanze cautelari di questa Sezione è stata evidenziata la necessità di una lettura costituzionalmente orientata delle norme nel loro combinato disposto, per l’esigenza di consentire l’emersione dal lavoro domestico irregolare e di garantire ai richiedenti il paritario accesso alla possibilità offerta, onde evitare un trattamento deteriore ai soggetti condannati per il reato di cui all’art. 14, comma 5ter, rispetto a coloro che, ugualmente destinatari di un provvedimento di espulsione, tuttavia per mere ragioni contingenti non sono stati condannati né sottoposti a procedimento penale (e che, quindi, sono ammessi alla procedura di emersione pur versando sostanzialmente nella medesima condizione).

Nel sistema delineato dalla Legge 3 Agosto 2009 n° 102, infatti, è dato distinguere, tra le diverse posizioni considerate ai fini della "emersione", quelle riguardanti: a) gli stranieri irregolarmente presenti nel territorio nazionale; b) gli stranieri irregolari sottoposti a procedimento penale o amministrativo; c) gli stranieri condannati per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p..

Orbene, concorrendovi le condizioni richieste dalla norma, la prima categoria di soggetti sarebbe regolarmente ammessa alla procedura di emersione; la seconda categoria sarebbe anch’essa ammessa in quanto beneficiaria della sospensione dei procedimenti penali e amministrativi per violazione delle norme relative all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale (art. 1, comma 8); la terza categoria, invece, risulterebbe tagliata fuori dal beneficio, stante la condizione ostativa di cui al comma 13, lett. c).

Gli stranieri condannati per il reato previsto dall’art. 14, comma 5ter., del T.U. 25 Luglio 1998 n° 286 e ss.mm., quindi, riceverebbero un trattamento diverso e penalizzante non perchè autori di fatti diversi, bensì a causa della condanna riportata, cui soltanto per motivi contingenti altri soggetti ammessi alla procedura di emersione si sono potuti sottrarre.

La sanzione penale, tuttavia, nulla può aggiungere al giudizio di disvalore già contenuto nella norma incriminatrice; anzi, qualunque sia la funzione della pena, colui che paga il suo debito con la giustizia non può essere trattato con disfavore rispetto a chi, responsabile della medesima condotta illecita, non ne ha subito le conseguenze giuridiche.

Ne discende che ritenere non riconducibile tra i reati previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p. la fattispecie descritta dall’art. 14, comma 5ter., del Decreto Legislativo n° 286/1998, significa non soltanto superare una contraddizione logicogiuridica (un medesimo fatto non può costituire, al contempo, presupposto necessario e condizione ostativa ai fini della "emersione"), bensì evitare anche una ingiustificata disparità di trattamento in violazione di un più generale principio di uguaglianza.

Bisogna altresì evidenziare che l’introduzione nel T.U. sull’immigrazione dell’art. 14, commi 5ter e seguenti (aggiunti dalla Legge 30 Luglio 2002 n° 189 e sostituiti, prima, dall’art. 1 del Decreto Legge n° 241/2004 e, infine, dall’art. 1, comma 22 lettera m, della Legge 15 Luglio 2009 n° 94) si palesa ancorata a scelte legislative del tutto speciali di contenimento del flusso migratorio (più che a ragioni di prevenzione penale) e, in tale contesto, la stessa previsione dell’arresto obbligatorio mira a evitare la permanenza in Italia del soggetto già destinatario dell’ordine di allontanamento dal territorio nazionale, allo scopo di facilitarne l’espulsione.

Viceversa, le norme dettate per l’emersione del lavoro irregolare sono correlate all’esigenza opposta di ammettere al soggiorno in Italia il cittadino extracomunitario già concretamente adibito a un’attività lavorativa, sicché – a ben vedere – i motivi ostativi ex art. 1ter, comma 13 lett. c), della Legge n° 102/2009 attengono a reati di notevole rilevanza e allarme sociale, che evidenziando un’improbabile integrazione dell’autore nel circuito produttivo virtuoso del nostro Paese gli impediscono di accedere alla regolarizzazione.

In altri termini, la commissione di taluno dei reati in questione connota la personalità del soggetto in termini così negativi da renderlo immeritevole della misura di favore, mentre la stessa reazione dell’ordinamento non sembra giustificata nei confronti di colui che non abbia ottemperato all’ordine di abbandonare il territorio nazionale, anche considerato che il suo comportamento può essere stato dettato da svariati motivi sostanzialmente non riprovevoli secondo il comune sentire (non esclusa la mancanza di mezzi economici o la necessità di fronteggiare primarie esigenze di sostentamento).

In ogni caso tale riconducibilità sembra potersi escludere anche in relazione ad un diverso e concorrente profilo già evidenziato, sia pure in modo non concorde, dalla giurisprudenza.

Si rileva infatti che, non essendo il reato ex art 14, comma 5ter, Decreto Legislativo n° 286/1998 (la consumazione del quale comporta l’arresto obbligatorio) testualmente annoverato tra i delitti elencati dagli artt. 380 e 381, per un verso resterebbe fuori dalla previsione dell’art. 381 c.p.p perché relativa a reati per i quali è previsto l’arresto facoltativo, per altro verso non sarebbe sussumibile nell’ambito dell’art. 380 c.p.p. (arresto obbligatorio) dovendosi in tal caso trattare di reato punito con una pena non inferiore nel minimo a 5 anni (Cfr.: sentenza 4 Novembre 2010 n° 3858 della Sez.ione II di Bari di questo Tribunale).

Infine, anche quando la norma sull’emersione del lavoro domestico ha avuto specifico riguardo all’espulsione del lavoratore straniero come preclusiva della regolarizzazione (si veda la lett. a) dello stesso art. 1ter, comma 13), si è circoscritto il riferimento alle ipotesi di espulsione comminata per motivi attinenti all’ordine pubblico, alla sicurezza dello Stato e alla prevenzione del terrorismo (confronta, per tale rilievo, l’ordinanza cautelare della VI Sezione del Consiglio di Stato, 2 Settembre 2010 n° 4066).

Per le ragioni sopra sinteticamente illustrate il ricorso deve essere accolto.

Sussistono gravi ed eccezionali ragioni (la novità delle questioni giuridiche trattate) per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese processuali.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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