Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-02-2011) 10-03-2011, n. 9664

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

N.E.M. ricorre, a mezzo del suo difensore, contro la sentenza 31 ottobre 2008 della Corte di appello di Milano la quale (in parziale riforma della sentenza 5 giugno 2007 del G.U.P. di Milano, ritenuto il vincolo della continuazione con il fatto giudicato con sentenza irrevocabile 12 ottobre 2006 del G.U.P. del Tribunale di Sanremo), ha rideterminato la pena inflitta in anni 5 di reclusione ed Euro 12.500 di multa, per il reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex artt. 73 ed 80), deducendo nella decisione impugnata sia violazioni di legge che vizio di motivazione, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.
Motivi della decisione

Con un unico motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, con riferimento al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 ed 80.

Il difensore, affermato che la responsabilità del ricorrente era deducibile esclusivamente da intercettazioni telefoniche, ha testualmente richiamato i motivi di illegittimità ed inutilizzabilità delle stesse, di cui peraltro non vi è traccia nell’atto di appello, ma che sarebbero stati prospettati nella fase cautelare.

In particolare si sostiene che vi sarebbe stata violazione dell’art. 238 cod. proc. pen. in relazione all’art. 78 disp. att. cod. proc. pen. e conseguente inutilizzabilità della documentazione acquisita e valorizzata per la decisione di responsabilità.

In ogni caso si contesta l’interpretazione del contenuto delle conversazioni e la loro qualità di prova.

Il motivo, per come prospettato, è per più profili inammissibile.

Innanzitutto esso non risponde ai parametri dell’autosufficienza del ricorso in quanto fa riferimento a deduzioni ed eccezioni formulate in sede cautelare e non riportate specificamente, nè indicate nel loro valore di decisività agli effetti della pronuncia di non responsabilità dell’accusato.

E’ ormai pacifico orientamento di questa corte di legittimità che per la validità del ricorso è necessario che esso: contenga la specifica indicazione del materiale probatorio richiamato e che si contesta; dia prova della veridicità di detto dato o della sua insussistenza; indichi l’elemento fattuale, il dato probatorio o l’atto processuale da cui discende l’incompatibilità con la ricostruzione adottata; esponga le ragioni per cui detto atto inficia o compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità (cfr. Sez. 4^, 28135/2007, Arena; Cass. sez. 6^ 10951/2006; Cass. sez. 1^, 20370/2006, Rv. 233778 e Rv. 234115; Cass. sez. 6^ 23781/2006, Rv. 234152 e Cass. sez. 6^, 23524/2006, Rv.

234153); riporti, per le questioni dedotte, in riferimento agli atti del processo, le parti ed i punti di tali atti investiti dal gravame con correlativa prospettazione critica della rilevanza della questione (cfr. in termini: Sez. 1^, Sentenza n. 47499/07).

In secondo luogo, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, qualora venga eccepita in sede di legittimità l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, siccome asseritamente eseguite fuori dai casi consentiti, è onere della parte indicare specificamente l’atto asseritamente affetto dal vizio denunciato e curare che tale atto sia comunque effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, magari provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione. In difetto, il motivo – come nella specie – è inammissibile per genericità, non essendo consentito alla S.C. di individuare l’atto affetto dal vizio denunciato (Cass. pen. sez. . 4, 32747/2006) Rv.

234809.

Da ultimo, ed in ogni caso, trattandosi di rito abbreviato, non risulta in alcun modo che le pretese inutilizzabilità – peraltro non documentate – rientrino nel novero dei vizi connotati da inutilizzabilità patologica della prova (Cass. pen. sez. 6^, 4125/06, rv 235600).

Il ricorso è pertanto inammissibile.

All’inammissibilità dello stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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