T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 08-03-2011, n. 378 Legittimità o illegittimità dell’atto Sanzioni amministrative e pecuniarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A. L. e G.G. – il primo anche quale progettista e costruttore – durante gli anni ottanta del secolo scorso costruirono un’abitazione a Brenzone (Verona) in area di loro proprietà (fg. 7, mapp. 165/a), soggetta a vincolo paesaggistico, e per la quale era stata rilasciata la concessione edilizia 18 gennaio 1985, n. 61.

B. In seguito, il sindaco di Brenzone, con ordinanza di sospensione 3 novembre 1992, n. 72, accertò che i G. stavano eseguendo sul fabbricato interventi in difformità dalla concessione, consistenti "nella realizzazione di un manufatto in cemento armato, si presume da adibire a garage, della superficie di mq. 110 circa, in ampliamento al fabbricato preesistente e nella costruzione di una scala esterna".

C. Gli interessati, per ottenere la sanatoria, presentarono nel 1993 alla Provincia di Verona una domanda di autorizzazione paesaggistica, descrivendo l’intervento come cambio di destinazione da "intercapedine" – qualsiasi cosa ciò volesse significare – "ad autorimessa interrata", e come costruzione di una gradinata "appoggiata" su terreno, evidentemente supponendo che tale tecnica realizzativa ne attenuasse l’impatto.

D. Con il provvedimento 21 aprile 1993 prot. B.A. 000376/93, comunicato il 26 aprile 1993, il presidente della Provincia stabilì, anzitutto, "il non danno per l’intervento abusivo… ritenuto compatibile con la tutela del paesaggio e dei valori estetico – culturali tutelati dal vincolo ambientale posto sulla zona", pur imponendo un riporto di terreno intorno alle opere abusive; di seguito prescriveva ai G. "il pagamento dell’indennità ai sensi dell’art. 15 della Legge 29 giugno 1939 n. 1497", da determinare con un successivo provvedimento.

E. Per l’effetto, il sindaco di Brenzone rilasciò la concessione in sanatoria 27 maggio 1996, n. 9630/95 (comunicata il successivo 5 giugno), e, qualche mese dopo, la giunta provinciale (deliberazione 7 novembre 1996 n. 54/1557) incaricò un proprio consulente di quantificare l’indennità ex art. 15, secondo quanto preannunciato nel provvedimento presidenziale.

F. Il perito presentò qualche mese dopo la sua relazione, determinando in Lire 17.000.000 il profitto conseguito, quale differenza tra il valore venale delle opere abusive stesse e il costo di costruzione: con il decreto 29 novembre 1997, n. 304/97, prot. n. 0376/93 B.A., il presidente della Provincia di Verona, ha irrogato nella stessa somma la sanzione amministrativa per "ampliamento autorimessa interrata e costruzione scala esterna".

G. Il provvedimento è stato impugnato con il ricorso in esame, notificato il 3 marzo 1998; con esso è stato impugnato per la prima volta il decreto provinciale 21 aprile 1993 (sopra, sub D).

Si è costituita in giudizio la Provincia, eccependo la tardività del ricorso, per la parte in cui viene impugnato il primo decreto, e la conseguente inammissibilità di parte delle censure proposte avverso il secondo provvedimento, oltre all’infondatezza delle restanti.
Motivi della decisione

1.1. Il decreto 21 aprile 1993, n. 576, del presidente della Provincia, è stato sicuramente impugnato ben oltre i sessanta giorni seguenti alla sua conoscenza.

I ricorrenti oppongono che il provvedimento non conteneva la clausola d’impugnabilità ex art. 3, IV comma, l. 7 agosto 1990, n. 241 ("in ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere"), sicché il termine non sarebbe mai iniziato a decorrere; o, comunque, la tardiva impugnazione sarebbe giustificata, e troverebbe così applicazione la disciplina dell’errore scusabile, attualmente contenuta nell’art. 37 c.p.a., per cui "Il giudice può disporre, anche d’ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto".

1.2. Orbene, secondo la giurisprudenza consolidata la semplice omissione della clausola in questione "non costituisce vizio di legittimità dell’atto amministrativo né giustifica ex se la rimessione in termini per errore scusabile" (a partire da a.p., 14 febbraio 2001, n. 1, e, da ultimo, C.d.S.,VI, 26 marzo 2010, n. 1751; id. V, 19 novembre 2009 n. 7243): al più impone al giudice di spiegare perché l’omissione non basti a scusare il ritardo.

1.3. Ora, in specie, non solo uno dei proprietari, quale costruttore, progettista dell’intervento e sottoscrittore della richiesta di sanatoria, dimostra una particolare dimestichezza con la materia, ma, soprattutto, entrambi gli interessati hanno beneficiato dell’autorizzazione contenuta nel decreto provinciale, quale atto presupposto della successiva concessione comunale in sanatoria.

Pertanto, se da un lato essi hanno dimostrato di avere piena consapevolezza del contenuto e degli effetti di quella, dall’altro vi hanno fatto evidentemente sostanziale acquiescenza, che non può essere limitata ai soli profili vantaggiosi del provvedimento.

1.4. Va allora dichiarato anzitutto irricevibile il primo motivo di ricorso (eccesso di potere per travisamento dei fatti e contraddittorietà; violazione di legge) avente appunto ad oggetto il decreto presidenziale del 1993.

2.1. Quanto al secondo motivo di ricorso (violazione dell’art. 15 l. 1497/39), non è chiaro se esso sia egualmente riferibile soltanto al primo decreto.

Qualora ciò non fosse, va rilevato come in tale censura si rappresenti che, in quello stesso decreto, era stata escluso un danno ambientale: se ne dovrebbe trarre la carenza di un presupposto fondamentale per l’irrogazione della sanzione.

2.2. Ora, è anzitutto da rilevare che la sanzione, prevista dal ripetuto art. 15 l. 1497/39, non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia in caso di illeciti sostanziali – compromissione dell’integrità paesaggistica – sia nella ipotesi di illeciti formali – mancanza del titolo autorizzatorio (C.d.S., VI, 28 luglio 2006, n. 4690 e 2 giugno 2000, n. 3184; id. IV, 15 novembre 2004, n. 7405 e 12 novembre 2002, n. 6279).

2.3. La misura di tale sanzione deve essere stabilita utilizzando, quali parametri di riferimento, da una parte il danno arrecato e, dall’altra, il profitto conseguito. Poiché, peraltro, la norma parla di "indennità equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione", non è necessaria la compresenza di entrambi questi elementi di comparazione: in altri termini, è pienamente legittimo che, in difetto di danno, la sanzione sia calcolata in relazione al solo profitto.

3. Il terzo motivo, invece, è rubricato nella violazione dell’art. 15 cit. e nell’eccesso di potere per erroneità della motivazione e dei presupposti, e censura la perizia su cui si fonda la sanzione irrogata.

3.1. Anzitutto, oltre ad una generale carenza di motivazione, non si comprenderebbe, in particolare, se la valutazione sia stata effettuata con riferimento al momento in cui è stata irrogata la sanzione, ovvero a quello in cui è stato emesso il primo decreto presidenziale.

3.2. Ancora, nel determinare il profitto conseguito, non si sarebbe tenuto conto degli oneri di manutenzione sopportati dai G., e sarebbero state altresì valutate opere esterne e pretesi cambi di destinazione, i quali non avrebbero a che vedere con l’edificazione realizzata.

Si tratterebbe "della scala, ove si fa riferimento soltanto alla funzionalità conseguita, del cambio d’uso da intercapedine a ricovero attrezzi, che pure è valutato solo funzionalmente, della considerazione dello spazio a cielo aperto che, vistane la preesistenza", non avrebbe determinato alcun maggiore profitto: questo, viceversa, avrebbe dovuto essere determinato soltanto con riferimento al valore dell’opera, e non alla destinazione o funzionalità della stessa.

3.3. Orbene, ad avviso del Collegio, la stima del profitto conseguito, quale esposta nella perizia, è ragionevole e plausibile.

La relazione del perito, premesso che il profitto conseguito mediante l’abuso è costituito dalla differenza tra il valore venale delle opere effettuate e il costo di costruzione, procede dalla descrizione di quelle, ricavandola dalla domanda di sanatoria presentata.

Oltre alla scala esterna, per il resto la relazione si riferisce alla realizzazione di un ricovero attrezzi di m² 18, previa eliminazione dell’intercapedine a sud, e, ancora, all’ampliamento dell’intercapedine – il garage – a ridosso di un fabbricato a est per una superficie di circa m² 75 coperti e m² 30 a cielo aperto.

Così, mentre per la scala esterna, in cemento armato, pietra e sasso, il perito ha ritenuto che questa abbia migliorato la funzionalità dell’edificio, e ne ha stimato il valore a corpo in L. 500.000, il ricovero attrezzi è valutato in L. 400.000*18 m², cui viene sottratto il valore della precedente intercapedine, pari a L. 150.000*18 m², e dunque, in complesso in L. 4.500.000; la seconda intercapedine coperta è invece valutata 200.000*75 m², cui vanno sottratti L. 100.000 per m², per il costo di costruzione, giungendo così a L. 7.500.000; lo spazio a cielo aperto, poi, viene stimato in L. 150.000*30.00 m², e dunque in L. 4.500.000: si perviene così all’importo complessivo di L. 17.000.000, pari attualmente a Euro 8.754.

3.4. Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, le opere abusive sono state puntualmente descritte, ed adeguatamente giustificato il valore assegnato, pari alla differenza, quando ce n’erano i presupposti, tra maggior valore e costo sopportato.

Non è poi dubbio che il momento, cui va riferito il profitto, è quello del primo provvedimento provinciale, non potendo il ritardo dell’Amministrazione essere di pregiudizio per l’interessato: per quanto riguarda la stima economica il ricorso non contiene censure specifiche, mentre pare al Collegio del tutto corretto includere nella valutazione ogni elemento edilizio della trasformazione operata ed il maggior valore che da ciascuno di essi è derivato all’edificio nel suo complesso: in questa prospettiva, lo stesso spazio acquista una diversa utilità e quindi un proprio valore.

4.1. Nel quarto motivo i ricorrenti si lamentano che la sanzione è stata calcolata senza tener conto delle disposizioni di cui al d.m. 26 settembre 1997.

4.2. Orbene, l’art. 2, XLVI comma, della l. 23 dicembre 1996, n. 662, siccome modificato dall’art. 10, comma 5 ter della l. 28 febbraio 1997, n. 30, dispone che "per le opere eseguite in aree sottoposte al vincolo di cui alla L. 29 giugno 1939, n. 1497, e al D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985, n. 431, il versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità risarcitoria prevista dall’articolo 15 della citata legge n. 1497 del 1939".

Peraltro, prosegue la norma, allo scopo "di rendere celermente applicabile la disposizione di cui al presente comma ai soli fini del condono edilizio", con decreto ministeriale (si tratta appunto del citato d.m. 24 settembre 1997), sono determinati parametri e modalità per la quantificazione dell’indennità risarcitoria prevista dall’articolo 15 della L. 29 giugno 1939, n. 1497, con riferimento alle singole tipologie di abuso ed alle zone territoriali oggetto del vincolo.

4.3. La previsione, com’è evidente, trova applicazione soltanto nel caso in cui sia stata presentata una regolare domanda di condono, versando le somme richieste per le relative sanzioni, ed al fine specifico di accelerare la definizione del procedimento: al contrario, in specie, non di condono ma di sanatoria si tratta, sicché non trova qui applicazione la citata normativa speciale.

5.1. Da ultimo, viene eccepita l’incompetenza della Provincia ad irrogare la sanzione: ma anche quest’ultimo motivo è infondato.

5.2. Invero, come osserva correttamente l’Amministrazione resistente, l’atto qui gravato integra quello già emanato dal presidente della Provincia, al quale si è testé accennato: l’Ente, dopo quel primo provvedimento, disponeva (sia pure residualmente, dopo il passaggio della materia ai Comuni ex l.r. 53/94) della competenza necessaria per determinare la misura della sanzione, e nulla gli precludeva di avvalersi di tecnici privati per la quantificazione della sanzione (conf. C.d.S., V, 20 dicembre 1999, n. 2113).

6. Il ricorso va dunque respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, seconda Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.

Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione resistente, liquidandole in Euro 250,00 per spese anticipate ed in Euro 2.100,00 per diritti ed onorari, oltre ad i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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