Cons. Stato Sez. IV, Sent., 09-03-2011, n. 1514 Amministrazione pubblica piano regolatore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- La società I., proprietaria di un appezzamento di terreno nel territorio del Comune di Meina, con ricorso proposto davanti al TAR per il Piemonte aveva impugnato la deliberazione della Giunta regionale del Piemonte n. 216857 del 5 agosto 2002 con la quale è stata approvata la Variante generale del Piano Regolatore del Comune di Meina, nella parte in cui il lotto di proprietà è stato stralciato e inserito nella classe IIIa, di cui alla circolare regionale dell’8 maggio 1996, come tale inidoneo a nuovi insediamenti, per l’elevata acclività dei lotti e la difficoltà di regimazione delle abbondanti acque superficiali.

La società I. aveva ricordato che il terreno di sua proprietà era inserito, nel Piano regolatore approvato con decreto della Giunta regionale dell’11.11.1991, in zona residenziale di completamento non satura, che nella Variante generale, adottata dal Comune di Meina con delibera n. 42 del 22 settembre 1998, una parte dell’area era stata destinata a verde privato vincolato (VP) e la parte residua, considerata soggetta a moderata pericolosità geomorfologica, a zona residenziale di completamento B2 (identificata con la sigla RC27), che tuttavia, con atto del 28 ottobre 2001, la Regione aveva chiesto al Comune di stralciare l’area in questione (nonché alcune altre limitate aree), per la pericolosità geomorfologica dovuta "all’elevata acclività dei lotti" e alla "difficoltà di regimazione delle abbondanti acque superficiali". Il Comune di Meina quindi, con delibera del Consiglio comunale n. 1 del 21 gennaio 2002, aveva adottato di nuovo la Variante recependo le richieste degli uffici regionali e il 5 agosto 2002, con la deliberazione impugnata in primo grado, la Regione aveva illegittimamente approvato la variante sancendo l’inedificabilità dell’area in questione.

2.- Il TAR per il Piemonte, con la sentenza della Sezione I, n. 2326 del 28 giugno 2005, ha tuttavia respinto il suo ricorso ritenendolo infondato.

La società I. ricorre ora in appello avverso la predetta sentenza che ritiene erronea sotto diversi profili.

2.1- Secondo l’appellante il vizio fondamentale che inficia la legittimità dell’atto di approvazione della Variante generale del Piano Regolatore del Comune di Meina è costituito dall’eccesso di potere per il travisamento dei fatti che era stato evidenziato nel quinto motivo del ricorso di primo grado. Con tale motivo la società I. aveva sostenuto che le apodittiche affermazioni della Regione delineavano un quadro della situazione fuorviante, comunque privo di concreta attinenza con la realtà e chiaramente smentito dalle conclusioni alle quali era giunto sia lo studio geologico, redatto in sede di adozione della variante dalla dottoressa Paola C., sia la relazione depositata presso i competenti uffici regionali dal dr. Fulvio E. in data 11 aprile 2002.

2.2. Sul punto la sentenza appellata ha affermato che nel corso del procedimento sfociato nel provvedimento impugnato sono intervenuti numerosi accertamenti tecnici, puntualmente menzionati dalla deliberazione finale, e che, come risulta dalla documentazione allegata (e in particolare nella relazione istruttoria del 5 febbraio 2001 inviata dalla Regione al Comune), la Direzione regionale Servizi di prevenzione ha effettuato non solo un’analisi sulla documentazione geologica allegata alla variante adottata ma ha esaminato riprese aeree, ha consultato la banca dati geologica regionale ed ha eseguito un sopralluogo sul terreno. Per l’area RC27, sulla quale insiste la proprietà della ricorrente, il Servizio regionale suddetto ha reso quindi uno specifico parere, trasmesso alla Regione ed al Comune con nota del 28 novembre 2001, nel quale si conclude nel senso dell’elevato grado di pericolosità geomorfologica e della conseguente non compatibilità dell’edificazione con le caratteristiche di elevata acclività del lotto e con la difficoltà di regimazione delle abbondanti acque superficiali che predispongono il terreno a fenomeni franosi.

A seguito di tali considerazioni l’area in questione, insieme a quelle indicate RC29 e RC30, è stata proposta per il passaggio in classe III (mentre il piano adottato ne prevedeva l’inserimento nella classe II). Tali indicazioni, secondo il TAR, sono state poi recepite non acriticamente dall’amministrazione comunale, che nel controdedurre alle osservazioni della Regione, con la deliberazione consiliare n. 1 del 2002, ha condiviso il parere con riferimento alle aree RC27 e RC29, mentre ha confermato la classe II per l’area RC30.

Da tutto quanto esposto, osserva il TAR per il Piemonte, si ricava che la deliberazione impugnata è stata frutto di una istruttoria completa (per la parte interessata dal ricorso); che le motivazioni delle scelte operate si fondano su accertamenti tecnici, puntualmente richiamati dal provvedimento e allo stesso allegati, che non appaiono frutto di travisamento dei fatti, né altrimenti viziati; che l’amministrazione comunale non si è limitata a recepire acriticamente le valutazioni della regione, ma ha svolto un ruolo attivo lungo tutto l’iter procedimentale. Inoltre, e in relazione alle ulteriori osservazioni contenute nella memoria di parte, "mentre da un lato deve essere esclusa qualsiasi rilevanza alla circostanza che nell’area non si siano verificate frane pur in presenza di fenomeni atmosferici avversi (dal momento che l’indagine sulla idoneità edificatoria deve essere condotta ex ante, alla luce delle effettive condizioni dell’area e con riguardo anche alle probabilità statistiche), è evidente, dall’altro, che il parere 28.11.2001, sopra ricordato e richiamato dalla deliberazione impugnata, non può essere sezionato nelle singole componenti motivazionale, per asserire, come pretende il ricorrente, che l’area non sarebbe particolarmente acclive, né la regimazione delle acque difficoltosa. Tali considerazioni vanno, infatti, lette congiuntamente tra loro e con le premesse: è allora chiaro che anche l’acclività del lotto può essere pericolosa, se concomitante con la presenza di acque non facilmente regimentabili; e se, comunque, la situazione geomorfologia presenta un elevato grado di pericolosità che potrebbe essere aggravata dalle nuove edificazioni, come si legge nel punto relativo alle zone globalmente considerate".

2.3 Secondo la società appellante la decisione di rendere inedificabile la porzione di terreno di proprietà si basa tuttavia su un radicale travisamento dei fatti in quanto le caratteristiche del suolo sono tali da consentire l’edificazione in tutta sicurezza attraverso l’adozione degli accorgimenti tecnici che erano stati prescritti nell’atto di pianificazione adottato dal Comune. L’appellante non contesta quindi l’opportunità della scelta di merito della Regione ma l’errore di fatto (che sarebbe evidente) posto a base della scelta che ha determinato l’illegittimità della delibera impugnata.

2.4- Secondo l’appellante, in particolare, il valore di inclinazione del terreno (26°) non può considerarsi di elevata acclività e, come affermato nel parere del dr. E., con la tipologia del terreno in questione vi sono condizioni di stabilità anche con pendenze superiori a 35°. Del resto anche la scheda tecnica redatta dalla dr.ssa C. (per il Comune) aveva definito la morfologia del terreno "da sub pianeggiante a mediamente acclive".

Per quanto riguarda poi l’asserita difficoltà di regimazione delle acque superficiali lo stesso dr. E. ha affermato che numerose sono le modalità tecniche per procedere alla raccolta delle acque di ruscellamento ed al drenaggio di quelle eventualmente presenti al di sopra del substrato roccioso ed il loro corretto smaltimento può essere facilmente assicurato dalla presenza del rio che scorre lungo il margine nord dell’area in questione.

2.5- Secondo l’appellante rappresenta inoltre un’ulteriore prova della sostanziale stabilità dell’area e la conferma della capacità edificatoria della stessa, la circostanza che le intensi piogge cadute nel Comune di Meina nel maggio del 2002 hanno procurato dissesti in altre località ma non sull’area in questione.

2.6- Dopo aver contestato le affermazioni in proposito contenute nella sentenza appellata la società I. ha quindi chiesto, qualora vi fossero ancora dubbi, una consulenza tecnica d’ufficio sull’effettivo stato dei luoghi.

2.7- Con il successivo (secondo) motivo la società appellante ha poi sostenuto che erroneamente la sentenza del TAR per il Piemonte ha ritenuto infondata la censura (sempre sollevata con il quinto motivo del ricorso di primo grado) con la quale aveva lamentato la carenza di motivazione e di istruttoria della delibera impugnata, in quanto, dopo l’accurata relazione della dr.ssa C., secondo cui l’area in questione andava inserita nella classe II (zona a edificabilità parziale) con la prevista bonifica e la regimazione delle acque prima dell’edificazione, la Regione è arrivata a conclusioni opposte, disponendo l’inserimento del terreno nella classe III sulla base di un sopralluogo quanto mai approssimativo e senza aver dato conto delle specifiche ragioni per le quali fosse indispensabile riclassificare il terreno, essendosi limitata a rinviare al parere della Direzione regionale Servizi di prevenzione del 28 novembre 2001. Né una motivazione adeguata può rinvenirsi nella successiva nota dell’ARPA del 2 marzo 2005.

3.- Le due censure, che possono essere esaminate congiuntamente, risultano tuttavia infondate.

Si deve preliminarmente osservare che la determinazione con la quale gli organi regionali hanno ritenuto di non dover consentire l’edificazione sul suolo di proprietà della appellante costituisce una tipica espressione di discrezionalità tecnica. L’amministrazione infatti ha compiute le sue scelte per la realizzazione dell’interesse pubblico sulla base degli accertamenti e delle conseguenti valutazioni compiute dai propri organi tecnici.

3.1- Al riguardo si deve ricordare che, per principio consolidato, il giudizio di discrezionalità tecnica, caratterizzato dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dalla opinabilità dell’esito delle valutazioni, sfugge al sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità laddove non vengano in rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione, della illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e della incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti (Consiglio Stato, sez. V, 1 ottobre 2010, n. 7262).

Ciò posto questo Consiglio ha, peraltro, anche affermato che il principio secondo il quale non compete al giudice amministrativo, nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità, sindacare valutazioni appartenenti al merito delle scelte operate da organi dotati di potere tecnico discrezionale, non preclude, né sul piano sostanziale né su quello probatorio, al giudice di sottoporre ad analisi (anche con l’apporto di elementi documentali esterni ovvero di una c.t.u.) il procedimento seguito dalla Pubblica amministrazione per individuare elementi sintomatici della sussistenza di uno dei vizi di legittimità formale e sostanziale (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) che della discrezionalità, amministrativa o tecnica, costituiscono il limite (Consiglio Stato, sez. V, 18 novembre 2010, n. 8091).

3.2- L’appellante, consapevole dei limiti (che si sono richiamati) del sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica, ha (nei suindicati due motivi di ricorso) lamentato l’evidente errore di fatto nel quale sarebbe incorsa l’amministrazione (primo motivo di appello) e il difetto di istruttoria e motivazione dei provvedimenti adottati (secondo motivo).

3.3- Le censure risultano tuttavia infondate.

Le valutazioni compiute dall’amministrazione sulla base di accertamenti di natura tecnica, come già affermato dal TAR, non appaiono infatti affette da evidenti errori di fatto. Né le scelte compiute risultano frutto di una istruttoria incompleta e le motivazioni delle stesse sono state comunque chiaramente indicate nei diversi atti della sequenza procedimentale.

In primo luogo non v’è alcun dubbio che le indagini compiute dagli organi tecnici si riferivano al suolo della ricorrente e non ad altro suolo. Non può poi considerarsi sintomo di un errore di fatto l’aver definito il suolo in questione "ad elevata acclività" perché comunque la pendenza indicata dall’appellante e nella relazione geologica del dr. E. (26°) non può considerarsi di certo modesta secondo i comuni canoni di valutazione.

Inoltre, come già era stato correttamente affermato nella sentenza del TAR del Piemonte, l’affermata pericolosità del suolo è data non solo dalla pendenza ma dal rapporto della pendenza con le caratteristiche geologiche del suolo.

3.4- Ed anche le caratteristiche geologiche del terreno (substrato roccioso e depositi superficiali incoerenti costituiti da materiale limosi e in parte sabbioso di spessore variabile) non sono sostanzialmente smentite dalle indagini effettuate dalla dottoressa C. e dal dr. E.. Diversa è solo la conclusione alla quale gli stessi pervengono ritenendo che l’area possa considerarsi a moderata pericolosità geomorfologica e quindi possa essere inserita in classe II (zona a edificabilità parziale) con l’edificazione subordinata all’adozione di accorgimenti tecnici.

Ma tale differenza di giudizio non costituisce sintomo di un evidente errore di fatto (che ne potrebbe determinare l’illegittimità) ma è solo espressione di una diversa valutazione degli effetti degli accertamenti tecnici compiuti, valutazione che rientra proprio nella sfera della discrezionalità basata su accertamenti tecnici spettante all’amministrazione.

Del resto sia l’indagine geologica compiuta dalla dr.ssa C. per il Comune, in sede di adozione della variante di Piano, sia l’indagine geologica compiuta dal dr. E. non escludono la pericolosità geomorfologica dell’area ed affermano esservi la possibilità di costruire ma solo adottando idonei accorgimenti tecnici. In particolare, la relazione del dr. E., si conclude con un "parere positivo in merito alla fattibilità geologica di massima dell’utilizzazione edificatoria di tale area, con l’ovvia prescrizione che, in fase progettuale, occorrerà eseguire le indagini geologiche ed idrogeologiche necessarie per individuare in modo dettagliato le possibili problematiche, ed identificare le idonee soluzioni che la tecnica mette a disposizione al fine di garantire la completa stabilità dell’area". Ma anche il dr. E., pur esprimendo un parere positivo (ma solo di massima) all’edificazione dell’area, non manca di evidenziare la necessità di più approfondite indagini geologiche ed idrogeologiche per individuare le possibili problematiche ed identificare idonee soluzioni per rendere possibile l’edificazione. Con ciò sostanzialmente confermando l’obiettiva pericolosità geologica dell’area.

3.5- E’ quindi chiaro che le conclusioni (di maggior rigore) alle quali è giunta l’amministrazione risultano dettate non da una errata valutazione dello stato dei luoghi (e quindi non sono state determinate da un errore di fatto) ma trovano la loro ragione in una maggiore prudenza dettata dalla consapevolezza delle possibili conseguenze pregiudizievoli (per la collettività) che potrebbero derivare dall’edificazione di quei suoli che potrebbe compromettere il già delicato equilibrio del versante.

E tali valutazioni più rigorose non appaiono irragionevoli, tenuto conto della natura dei suoli che si è descritta, anche in considerazione del numero crescente di eventi franosi che stanno interessando il territorio nazionale a seguito di eventi climatici che con sempre maggiore frequenza hanno caratteristiche violente.

3.6- Né può poi avere alcun rilievo, come già affermato dal TAR, la circostanza che, in occasione di uno di questi intensi eventi atmosferici (verificatosi nel maggio del 2002), non si siano prodotti danni nel suolo in questione (pur producendosi eventi franosi in alcuni suoli vicini) perché ciò non esclude il possibile verificarsi di eventi franosi anche in altri suoli limitrofi e nel suolo in questione. E tale rischio non può che crescere con l’ulteriore urbanizzazione dell’area.

3.7- Del resto questo Consiglio ha anche affermato che, in presenza di più soluzioni tecniche tutte opinabili (in ragione del carattere elastico della regola tecnica applicata), ma tutte attendibili, il giudice deve privilegiare e mantenere la scelta tecnica compiuta dall’Amministrazione, perché l’ordinamento attribuisce all’Amministrazione il potere di compiere quella valutazione tecnica nell’interesse pubblico e il giudice può censurarne gli esiti solo in presenza di manifesti profili di inattendibilità (Consiglio Stato, sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 7300), nella specie, come si è visto, insussistenti.

3.8.Le censure sollevate in appello avverso le determinazioni assunte dall’amministrazione sulla base degli accertamenti tecnici compiuti devono essere quindi respinte.

Né, per quanto esposto, si ritiene di poter accogliere la richiesta di CTU avanzata dalla parte.

Se è infatti vero che, come di recente affermato da questo Consiglio (e come già in precedenza accennato), con riguardo all’esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, spetta al g.a. – anche in base al principio di rilievo comunitario dell’effettività della tutela – una piena cognizione del fatto, secondo i parametri della disciplina in concreto applicabile, che può essere valutato, anche attraverso idonea consulenza tecnica (Consiglio Stato, sez. VI, 20 luglio 2010, n. 4663), questa Sezione ha però anche affermato che la consulenza tecnica d’ufficio è utilizzabile, quale strumento di ausilio del giudice nel sindacato di provvedimenti che sono espressione di discrezionalità tecnica, solo nel rispetto del limite del sindacato giurisdizionale su detti atti e quindi solo se ed in quanto il provvedimento impugnato appaia già prima facie affetto da vizi logici o di travisamento (Consiglio Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2099).

4.- L’appellante I. ha poi riproposto in appello le censure riguardanti la correttezza del procedimento seguito, con particolare riferimento alla violazione delle norme, contenute nell’art. 15 della legge regionale n. 56 del 1977, relative alla facoltà per i comuni aventi popolazione inferiore a 5.000 abitanti, di adottare la deliberazione programmatica contemporaneamente all’adozione del progetto preliminare del piano regolatore.

Ma le censure, come correttamente affermato dal TAR, non sono fondate.

Infatti a prescindere dalla questione riguardante l’obbligatorietà della deliberazione programmatica nel caso di adozione di varianti al piano regolatore, in ogni caso, nella fattispecie, il Comune aveva comunque inteso dare esecuzione al comma 4 dell’art. 17 della citata legge regionale n. 56 del 1977, con la deliberazione n. 41 del 1998, e le (eventuali) carenze nel relativo procedimento non possono riflettersi sulla legittimità del provvedimento impugnato (di approvazione della variante) perché comunque incapaci di incidere sull’esito finale delle valutazioni compiute.

5.- L’appellante ha poi censurato la sentenza del TAR Piemonte anche nella parte in cui ha respinto il motivo riguardante la violazione dei limiti (imposti dalla legge regionale n. 56 del 1977) entro i quali, in sede di approvazione, la giunta regionale può modificare i piani regolatori (e le relative varianti), avendo, nel caso di specie, la Regione chiesto (ed ottenuto) modifiche tendenti a mutare le caratteristiche quantitative e strutturali della variante adottata.

Ma anche tale motivo è infondato, infatti, come affermato dal TAR ed in linea con i principi generali in materia, l’art. 15, comma 12, della legge regionale n. 56 del 1977 include, tra le modifiche che la regione può chiedere all’amministrazione municipale, quelle tendenti alla tutela dell’ambiente nella quale deve ritenersi pacificamente inclusa la salvaguardia geologica del terreno e la tutela dell’abitato dalle frane.

La conseguente prevista riduzione della capacità edificatoria di una (limitata) porzione del territorio municipale risulta quindi compatibile con le prerogative comunali e comunque anche rispettosa delle caratteristiche essenziali del piano voluto dal Comune. Senza contare che l’amministrazione comunale ha poi recepito sul punto la richiesta fatta dagli organi della Regione.

Né vi era alcun obbligo per l’amministrazione municipale di elaborare, secondo il disposto del comma 15 dell’art. 15 della citata legge regionale n. 56 del 1977, una nuova variante in conseguenza dell’intervento regionale.

6.- In conclusione, per tutti gli esposti motivi, l’appello risulta infondato e deve essere conseguentemente respinto.

Le spese del grado di appello possono essere compensate fra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello (n. 7454 del 2005), come in epigrafe proposto,

Respinge l’appello.

Dispone la compensazione fra le parti delle spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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