Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-02-2011) 10-03-2011, n. 9873 sequestro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 22.7.10 il Tribunale di Bologna, sezione impugnazioni cautelari penali, confermava il decreto di perquisizione e sequestro emesso il 17.6.10 dal PM presso il Tribunale di Rimini nei confronti di L.G., indagato per il delitto p. e p. ex artt. 81 cpv. e 640 c.p., art. 61 c.p., n. 7 ai danni del querelante M. G..

L’ipotesi accusatoria era che il L., presentatosi come legale rappresentante della Rimini Yacht S.p.A., con artifici e raggiri consistiti nel predisporre documenti attestanti falsamente la solidità finanziaria di tale società, aveva indotto il querelante a sottoscrivere un prestito obbligazionario per Euro 1.100.000,00 in cambio di parte del prezzo della cessione, all’indagato, di un immobile di proprietà del M..

Tramite il proprio difensore il L. ricorreva contro detta ordinanza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti;

a) violazione dell’art. 253 c.p.p. e nullità del decreto di sequestro per difetto di motivazione, tale non potendosi considerare la mera formula di stile contenuta nel provvedimento, che non individuava in termini chiari il legame tra la res e il reato nè le finalità probatorie in concreto perseguite, ancor più considerando che, mentre il decreto di perquisizione e sequestro si riferiva a documentazione (anche su supporto informatico) bancaria, contabile ed extra contabile, nonchè ad ogni altro documento riflettente i rapporti di natura economica e finanziaria intrattenuti dall’indagato e/o dalla Rimini Yacht S.p.A. con il M. e i suoi familiari, il sequestro aveva invece riguardato soltanto un mazzo di chiavi; nè le specifiche finalità del sequestro di tale oggetto, non indicato dal PM nemmeno in sede di riesame, potevano essere integrate dal Tribunale; inoltre, proprio perchè le chiavi in questione non erano state menzionate nel decreto di sequestro, la loro apprensione doveva essere convalidata dal PM, il che non era avvenuto; nè l’indeterminatezza della clausola del decreto che rinviava ad ogni altra cosa ritenuta utile al prosieguo delle indagini poteva rimettere al giudizio della p.g. l’individuazione dei presupposti del sequestro: a riguardo l’impugnata ordinanza aveva ritenuto che la questione fosse improponibile in sede di riesame perchè, in caso di mancata convalida, la parte doveva limitarsi a chiedere al PM la restituzione della res, ma poi – contraddittoriamente -invece di dichiarare inammissibile l’istanza di riesame l’aveva respinta nel merito;

b) vizio di motivazione e travisamento degli elementi di fatto per l’individuazione della condotta materiale da valutare come sussumibile sotto la fattispecie incriminatrice ipotizzata, considerato che mentre il preliminare di vendita dell’immobile del M. era intercorso fra questi e la persona giuridica Rimini Yacht S.p.A. (rappresentata dal L.), il successivo contratto di compravendita era stato stipulato fra due persone fisiche, vale a dire il M. e il L. in proprio, di guisa che il rogito definitivo non ricalcava il preliminare e comunque lo superava, escludendo ogni previsione in ordine al finanziamento e ad ulteriori vincoli (ivi compresa l’assunzione del figlio della persona offesa);

inoltre, contrariamente all’ipotesi accusatoria, non esisteva alcuna prova che persona vicina al L. avesse redatto una perizia per attestare la solidità finanziaria della Rimini Yacht S.p.A., esistendo soltanto la prova del pagamento, da parte del M., di Euro 5.500,00 a tale R., che non aveva alcun rapporto con il ricorrente ma, semmai, con il figlio del querelante; nè vi era prova alcuna che l’assegno di Euro 1.100.000,00 consegnato dal L. al M. per l’acquisto dell’immobile fosse stato restituito al L. medesimo, nè vi era prova dell’ulteriore circostanza che, per rientrare in possesso di tale cifra, il querelante fosse stato costretto a sottoscrivere l’acquisto di quote di pari importo della Rimini Yacht S.p.A..

1 – Il ricorso è sotto più profili inammissibile.

La censura che precede sub a) è manifestamente infondata anche al di là dell’inesattezza della formula conclusiva adottata nel dispositivo dell’impugnata ordinanza (conferma del decreto di sequestro anzichè inammissibilità dell’istanza di riesame), che di per sè non può rendere ammissibile un’istanza di riesame che non lo era.

Infatti, se in ricorso si sostiene che il mazzo di chiavi sequestrato non era indicato nel decreto di perquisizione e sequestro emesso dal PM il 17.6.10 e che tale sequestro, da intendersi eseguito su iniziativa della p.g. ex art. 354 c.p.p., non era stato poi convalidato, evidentemente ciò significa che il rimedio esperibile era non già l’istanza di riesame (limitata ai soli vizi genetici della misura cautelare: cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 26 del 5.7.95, dep. 20.7.95), bensì quella di restituzione della res, come correttamente asserito dal gravato provvedimento.

Invero, proprio perchè in tema di sequestro probatorio l’attività della polizia giudiziaria necessita di convalida ex art. 355 c.p.p. ogni qual volta il decreto del PM non indichi l’oggetto specifico della misura, in assenza di detta convalida non è esperibile la procedura del riesame, che l’ordinamento riserva al decreto emesso ex art. 253 c.p.p., contenente l’indicazione delle cose da sequestrare.

Qualora il PM non ordini d’ufficio la restituzione ex art. 355 c.p.p., comma 2 dei beni oggetto di sequestro di p.g. non convalidato, l’interessato può avanzare al PM medesimo la relativa istanza, con facoltà di proporre opposizione al GIP contro l’eventuale diniego (giurisprudenza costante: cfr, ex aliis, Cass. Sez. 5 n. 4263 del 15.12.05, dep. 2.2.06).

In altre parole, delle due l’una: o nel decreto di perquisizione e sequestro emesso dal PM vi è una sufficiente indicazione della cosa poi sequestrata – ed allora la parte non può lamentare violazione dell’art. 253 c.p.p. – oppure tale indicazione manca o è del tutto carente e, quindi, il sequestro dovrà intendersi eseguito ex art. 354 c.p.p. dalla p.g., con conseguente obbligo di convalida ad opera del PM o, in mancanza, diritto alla restituzione della res da esercitarsi nelle forme di cui si è detto.

Quanto precede assorbe ogni altra considerazione svolta dal ricorrente in ordine all’unica cosa (il summenzionato mazzi di chiavi) sequestrata.

2 – Proprio perchè il ricorrente non lamenta se non il sequestro del mazzo di chiavi (e di ciò si è già detto), affermando che null’altro è stato sequestrato all’esito della perquisizione ordinata dal PM, deve evidenziarsi che il motivo che precede sub b), concernente l’asserita inesistenza dei presupposti per l’emissione d’un decreto di sequestro, è da disattendersi in quanto si rivela – a monte – inammissibile per difetto di interesse la richiesta di riesame avverso un decreto di sequestro probatorio non eseguito (v.

Cass. Sez. 2 n. 29022 del 30.6.2010, dep. 23.7.2010).

Infatti, sussiste un concreto interesse ad impugnare solo ove dalla denunciata violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (cfr. Cass. S.U. n. 42 del 13.12.95, dep. 29.12.95; Cass. n. 6301/97; Cass. n. 514/98; Cass. Sez. 1 n. 47496 del 17.10.2003, dep. 11.12.2003; Cass. Sez. 2 n. 15715 del 28.5.2004, dep. 8.6.2004, nonchè numerose altre analoghe).

In breve, l’interesse ad impugnare non è costituito dalla mera aspirazione della parte all’esattezza tecnico-giuridica del provvedimento, ma dall’interesse a conseguire – dalla riforma o dall’annullamento del provvedimento impugnato – un concreto vantaggio.

E non si vede quale pratico vantaggio conseguirebbe la parte da un’ipotetica declaratoria d’illegittimità di un decreto di sequestro non eseguito, per sua natura inidoneo ad esplicare efficacia nel prosieguo del procedimento.

In altre parole, il cd. giudicato cautelare riguarda solo il vincolo imposto dal provvedimento nel relativo procedimento incidentale e non produce effetti diversi, esaurendo il proprio ambito con la pronuncia sul vincolo medesimo: l’unica eccezione a siffatto principio, stabilita dall’art. 405 c.p.p., comma 1 bis (inserito dalla L. n. 46 del 2006, art. 3), è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza 28.1.09 n. 121 della Corte cost. proprio perchè rovesciava il rapporto fisiologico tra procedimento cautelare e processo, irragionevolmente ledendo il principio di impermeabilità del secondo rispetto agli esiti del primo.

A ciò si aggiunga che contro ordinanze emesse in materia di sequestro (sia esso preventivo o probatorio) il ricorso per cassazione è consentito solo per violazione di legge. E’ pur vero che in tale nozione devono comprendersi sia gli errores in indicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Cass. S.U. n. 25932 del 29.5.2008, dep. 26.6.2008; Cass. S.U. n. 5876 del 28.1.2004, dep. 13.2.2004): ma non è questo il caso, atteso che l’odierno ricorrente deduce mere insufficienze ed inadeguatezze argomentative verificabili solo mediante un accesso diretto agli atti, precluso in sede di legittimità.

Infine, le censure svolte nel motivo che precede sub b) sono meramente ripetitive di quelle invano avanzate in sede di riesame, di guisa che il ricorso si palesa generico in quanto non esamina specificamente – per confutarle – le considerazioni svolte dal provvedimento impugnato.

A riguardo è appena il caso di ricordare che è inammissibile – per mancanza della specificità del motivo prescritta dall’art. 581, lett. c) – il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso (cfr. Cass. n. 19951 del 15.5.2008, dep. 19.5.2008; Cass. n. 39598 del 30.9.2004, dep. 11.10.2004; Cass. n. 5191 del 29.3.2000, dep. 3.5.2000; Cass. n. 256 del 18.9.1997, dep. 13.1.1998).

3 – All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente alle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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