Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-02-2011) 10-03-2011, n. 9872 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 15.4.10 il GUP del Tribunale di Saluzzo dichiarava non luogo a procedere nei confronti di S.F., imputato di plurime estorsioni aggravate nonchè di una tentata violenza privata ai danni delle costituite parti civili A.R., As.

R. e A.N.E.d., perchè i fatti non sussistono.

Questa, in sintesi, la vicenda: il S. era imputato di avere, in plurime occasioni, estorto denaro ai propri dipendenti A. R., As.Ra. e A.N.E.d., il cui pagamento pretendeva a titolo di rimborso ora dei contributi versati, ora dell’acquisto di vestiario o strumenti da lavoro e di mezzi personali di protezione; era altresì accusato di avere, più in generale, costretto i suddetti ad accettare trattamenti retributivi e condizioni di lavoro deteriori a fronte della minaccia della perdita del posto di lavoro; gli si addebitava altresì di avere, in altre occasioni, preteso denaro in cambio della consegna del TFR e di avere infine tentato di costringere A.R. a ritirare la denuncia-querela da lui sporta, minacciandolo di fargli revocare il permesso di soggiorno.

All’esito dell’udienza preliminare il GUP riteneva che le s.i. rese dalle parti civili e le loro dichiarazioni acquisite nel corso del processo svoltosi innanzi al Tribunale in funzione di Giudice del lavoro – processo il cui oggetto corrispondeva in larga parte alle imputazioni in discorso e che si era concluso con il rigetto delle domande degli A. – fossero tali da non consentire di sostenere in giudizio l’accusa, essendo emerse contraddizioni e smentite al loro narrato tali da far dubitare della veridicità delle singole circostanze e, più in generale, della credibilità intrinseca delle parti civili, cui doveva aggiungersi l’impossibilità di trovare riscontri a quanto riferito.

Tramite il proprio difensore i suddetti A. ricorrevano contro la sentenza, di cui chiedevano l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti: a) vizio di motivazione, travisamento del fatto ed erronea applicazione degli artt. 238 bis, 238 e 187 c.p.p. nella parte in cui la gravata pronuncia aveva trascurato le diverse modalità istruttorie tra i due processi (quello del lavoro e quello penale), la non coincidenza del relativo oggetto, la sovrapponibilità fra loro delle s.i.t. rese dalle parti civili, contenute nel fascicolo del PM e non smentite nel corso delle indagini preliminari; ad es., le circostanze relative alle somme versate al S. dalle parti civili per l’acquisto di un ombrellone non erano state oggetto del processo civile; inoltre, pur avendo negato valore vincolante alla sentenza del giudice del lavoro, che aveva respinto le domande degli A., di fatto – poi – il GUP si era basato proprio su di essa e sulle prove acquisite nel giudizio civile, per altro non valutandole in maniera completa, non conoscendone i verbali e, quindi, senza avere elementi sufficienti per formulare la prognosi di impossibilità di acquisire in dibattimento prove della penale responsabilità del S.; ed ancora, sia il Tribunale del lavoro che il GUP avevano malamente valutato la deposizione dei testi Z.Y. (parte offesa del delitto rubricato in altro capo per il quale – invece – il S. era stato rinviato a giudizio), nonchè quella dei testi D. W., Do.We., L.C. e F.M., dipendenti del S. all’epoca in cui erano stati escussi, persone che avevano reso dichiarazioni inattendibili e incongruenti;

ancora, non potevano considerarsi alla stregua di smentite le dichiarazioni rese all’Ispettorato del lavoro dalle parti civili, che in quella occasione avevano detto di essere regolarmente pagate dal S. sol perchè, essendone ancora dipendenti, ne temevano le ritorsioni; b) vizio di motivazione per mancata valutazione di prove contenute nel fascicolo del PM (come le s.i. di E.M. A.), che riscontravano le accuse provenienti da A. N.E.d. in relazione all’estorsione di cui al capo F) dell’editto accusatorio.

1 – Il ricorso è inammissibile perchè sostanzialmente in esso si svolgono mere censure sulla valutazione operata in punto di fatto dalla sentenza di non luogo a procedere, che con motivazione esauriente e logica ha escluso che all’esito del dibattimento si potesse pervenire a differente soluzione (cfr, ex aliis, Cass. Sez. 4 n. 43483 del 6.10.09, dep. 13.11.09; Cass. Sez. 5 n. 22864 del 15.5.09, dep. 3.6.09, e numerose altre), motivatamente escludendo la potenzialità espansiva degli elementi di prova disponibili (cfr.

Cass. Sez. 4 n. 46403 del 28.10.08, dep. 17.12.08).

Il contrario avviso dei ricorrenti sollecita soltanto un rinnovato apprezzamento degli atti, precluso in questa sede tanto quanto il denunciato travisamento del fatto, che concerne la generale ricostruzione della vicenda alla luce delle acquisizioni processuali e che non può dedursi come vizio innanzi a questa S.C., neppure alla luce del nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) (come modificato dalla L. n. 46 del 2000).

Nè i richiami a taluni stralci di s.i. e/o verbali della causa di lavoro che si leggono nell’atto di impugnazione integrano una denuncia di travisamento della prova potenzialmente rilevante ai sensi del cit. nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e):

è noto, infatti, che non è tuttora consentito a questa Corte Suprema procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una nuova delibazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

Invero la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 15556 del 12.2.2008, dep. 15.4.2008; Cass. n. 39048/2007, dep. 23.10.2007;

Cass. n. 35683 del 10.7.2007, dep. 28.9.2007; Cass. n. 23419 del 23.5.2007, dep. 14.6.2007; Cass. n. 13648 del 3.4.06, dep. 14.4.2006, ed altre) si è consolidata nello statuire che la previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purchè specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli "atti del processo" rappresenta null’altro che il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il ed. travisamento della prova finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale. E’ quel vizio in forza del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto è stato veicolato o meno, senza travisamenti, all’interno della decisione.

Invece, giova ribadire, non spetta alla S.C. rivalutare il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano effettivamente nel contenuto riport
P.Q.M.

non può esservi spazio alcuno ad una rinnovata considerazione della valenza attribuita o meno ad una determinata deposizione testimoniale.

Nel particolare della prova dichiarativa, va ricordato che per sua stessa natura essa è scandita da significati non univoci; infatti, salvi i casi limite in cui l’oggetto della deposizione sia del tutto definito o attenga alla proposizione di un dato storico assolutamente semplice e non opinabile, ogni narrazione è sempre frutto di una percezione soggettiva del dichiarante anche se attiene a fatti di sua diretta scienza, con la conseguenza che il giudice di merito, nel valutare i contenuti della deposizione testimoniale, è sempre chiamato a depurare, in diversa misura, il dichiarato dalle possibili cause di (fisiologica) interferenza provenienti dal dichiarante medesimo (capacità cognitiva e di memorizzazione, sensibilità percettiva, stato di coinvolgimento emotivo nella vicenda su cui è chiamato a rispondere ecc.).

Pertanto, affinchè il giudice di legittimità possa esprimere un eventuale giudizio sulla completezza, logicità e non contraddittorietà della motivazione in rapporto all’apprezzamento di fatto di una fonte testimoniale operato dal giudicante, sarebbe necessario che avesse contezza dell’intero compendio probatorio raccolto fino al momento della decisione, sulla base del quale svolgere l’analisi comparativa attinente alla decisività o non della fonte testimoniale e della incidenza causale dalla stessa nell’iter decisionale del giudice di merito, il che è ovviamente impraticabile in rapporto alla natura del giudizio di legittimità. Infine, tale analisi comparativa, preclusa in sede di legittimità, non potrebbe essere neppure surrogata dalla circostanza per cui il testo della sentenza impugnata non rechi menzione (neppure per interpretarne od escluderne il valore dimostrativo o probatorio) di talune delle testimonianze evocate dalla difesa dell’imputato: anche in tale evenienza, infatti, qualsiasi apprezzamento imporrebbe la conoscenza dell’intero quadro delle emergenze probatorie, cioè di tutti gli atti processuali pacificamente non ostensibili al giudice di legittimità.

Infine, i ricorrenti non chiariscono in cosa sarebbe consistita la violazione degli artt. 238 bis, 238 e 187 c.p.p., che consentono l’acquisizione di verbali di prove assunte in altri procedimenti e di sentenze irrevocabili, liberamente apprezzabili dal giudice (come avvenuto nel caso di specie).

2 – In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Ex art. 616 c.p.p. consegue la condanna dei ricorrenti alle spese processuali e di ognuno di essi al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 500,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 500,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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