Cons. Stato Sez. VI, Sent., 09-03-2011, n. 1487 Armi da fuoco e da sparo Detenzione abusiva e omessa denuncia Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il signor R.D.M., con ricorso n. 1391 del 2007 proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, ha chiesto l’annullamento: del decreto del Prefetto della Provincia di Cosenza prot. nr. 0037493/6.10/Area I Bis/ O.S.P.A, adottato in data 24 settembre 2007 e notificato in data il 9 ottobre successivo, a mezzo del quale veniva fatto divieto al D.M.R. di detenere armi, munizioni e materie esplodenti, con contestuale obbligo, per lo stesso, di vendere o cedere le armi, le munizioni e materie esplodenti di sua proprietà, sottoposte a sequestro amministrativo, a persona non convivente, munita di idoneo titolo, o ad armeria privata o al Comando Stazione Carabinieri di Orsomarso per la successiva distruzione, entro il termine di giorni trenta (30) dalla notifica del provvedimento e con l’avvertimento che, decorso il predetto termine senza che le indicate armi fossero state cedute o vendute, sarebbe stato adottato formale provvedimento di confisca delle stesse; di ogni atto presupposto e/o preparatorio, conseguente e/o connesso, anche di quelli non noti al ricorrente.

Il provvedimento impugnato è motivato, in sintesi, con il richiamo: della nota n. 136/1 in data 2 agosto 2007, con la quale il Comando Stazione dei Carabinieri di Orsomarso informava della mancanza nel ricorrente dei necessari requisiti di affidabilità nel detenere armi e munizioni "a motivo del grave stato di tensione in ambito familiare a seguito del violento litigio, avvenuto nella suddetta data, con la moglie…, la quale querelava l’interessato, peraltro gravato già da pregiudizi di polizia in quanto deferito, in data 13/10/2006 all’Autorità giudiziaria, per i reati di cui agli artt. 482 e 585 c.p. (lesioni personali), art. 614 c.p. (violazione di domicilio aggravata) e art. 635, c, 2 n. 1 c.p. (danneggiamento con violenza alle persone)"; della nota "prodotta dall’interessato con la quale chiede che non venga adottato nei suoi confronti il provvedimento di divieto detenzione armi" (essendovi stata comunicazione di avvio del procedimento in data 8 agosto 2007); della ulteriore "nota n. 4276/92 del 11/09/2007 da parte del Comando Stazione dei Carabinieri di Orsomarso con il quale si conferma la proposta di adozione del provvedimento atteso che, pur essendo, a dire del D.M., rientrata la crisi familiare, lo stesso ha mantenuto negli anni una condotta che denota un carattere irascibile e violento per cui non dà affidamento di non abusare delle armi e sussistono fondati motivi per temere della pubblica incolumità"; per cui si dà atto "che il segnalato comportamento costituisce motivo per far ritenere che l’interessato non riunisca più i requisiti soggettivi di affidabilità richiesti per il mantenimento della titolarità dell’autorizzazione di polizia in argomento".

2. Il T.a.r., con la sentenza n. 1085 del 2008, ha respinto il ricorso compensando tra le parti la spese del giudizio.

3. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado, con istanza cautelare di sospensione dell’esecutività.

L’istanza cautelare è stata respinta con ordinanza 29 settembre 2009, n. 4966.

4. All’udienza dell’8 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. Nell’appello si censura la sentenza di primo grado:

– poiché in essa, pur richiamata la necessità di un accertamento ampio e approfondito delle circostanze alla base dell’apprezzamento discrezionale compiuto dall’Amministrazione per la revoca del porto d’armi, nondimeno si è ritenuta sufficiente a carico dell’interessato la sola segnalazione della moglie, fatta in un momento d’ira cui è peraltro seguita la rimessione della querela, trascurando il significativo dato di fatto dell’accurata conservazione in sicurezza delle armi detenute che il ricorrente ha dimostrato ai Carabinieri nella medesima circostanza del litigio;

né possono valere gli altri elementi citati poiché consistenti in asseriti "pregiudizi" per reati risalenti nel tempo e che in nessun caso hanno dato luogo a procedimenti penali, con evidente vizio di carenza d’istruttoria del provvedimento impugnato, in contrasto con gli indirizzi in materia della giurisprudenza costituzionale e amministrativa, che richiede l’attualità della condotta dell’interessato ed una motivazione specifica ed adeguata ai fini del giudizio di inaffidabilità nell’uso delle armi.

2. L’appello è infondato.

Infatti:

riguardo al potere del Prefetto di vietare la detenzione di armi e munizioni e il porto d’armi ai soggetti ritenuti capaci di abusarne (articoli 11, 39 e 43 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, r.d. 28 giugno 1931, n. 773), la giurisprudenza ha definito i seguenti indirizzi: a) il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto ma rappresenta un’eccezione al normale divieto di portare armi, consentita soltanto se vi è la completa sicurezza del loro "buon uso", per evitare qualsiasi dubbio sotto il profilo dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività; b) l’autorità amministrativa compie al riguardo un giudizio sinteticovalutativo relativo al complesso della condotta di vita del soggetto interessato, concernente l’osservanza sia delle comuni regole di convivenza sociale che dei precetti giuridici a salvaguardia dei valori fondamentali dell’ordinamento, così che non emergano circostanze da cui si possa dedurre la pericolosità di chi richiede l’autorizzazione e la possibilità di abuso dell’arma; c) sussiste in materia un’ampia discrezionalità dell’Amministrazione riguardo all’affidabilità del titolare della licenza ai fini dell’uso dell’arma, non ancorata alla sussistenza di un quadro probatorio che richieda certezza o rilevante e qualificata probabilità, essendo sufficiente l’esistenza di elementi indiziari sulla mera probabilità di un abuso dell’arma; d) spettando perciò all’autorità di p.s. una valutazione prognostica circa l’affidamento dato dall’interessato sull’uso delle armi, che può essere sindacato, infine, soltanto per il profilo della attendibilità e del rispetto dei canoni di ragionevolezza e della coerenza. (Cons. Stato, VI, 14 febbraio 2007, n. 616; 17 aprile 2009, n. 2343; 4 giugno 2010, n. 3558; 20 luglio 2010, n. 4665);

– nel caso in esame: dal rapporto e dal verbale di sequestro dell’arma in possesso del ricorrente, redatti dai Carabinieri il 2 agosto 2007 e quindi l’11 settembre successivo, a seguito del loro intervento in occasione del litigio fra i coniugi, risulta che la moglie del ricorrente aveva riferito di essere stata in quel frangente oggetto da parte dello stesso di gravi minacce e del tentativo di percosse, nonché usualmente anche in passato di violenze e minacce anche sotto l’effetto di alcool (inclusa la minaccia dell’uso dell’arma in possesso del marito); nel medesimo rapporto si riferisce anche che il ricorrente "a seguito di comunicazione di notizia di reato nr. 175/11 datata 13.10.2006 dell’Arma di S. Maria del Cedro, veniva sottoposto a indagine perché ritenuto responsabile dei reati p. e p.dagli artt. 482 e 585 c.p. (lesioni personali), art. 614 c.p. (violazione di domicilio aggravata) e art. 635, c, 2 n. 1 c.p. (danneggiamento con violenza alle persone) in concorso con altri";

– in questo quadro si deve affermare che con l’impugnato provvedimento il Prefetto di Cosenza ha esercitato correttamente la discrezionalità in materia; l’atto non risulta infatti viziato per inattendibilità o irragionevolezza, poiché i fatti sopra richiamati, agli atti dell’Autorità amministrativa procedente, costituiscono elementi indiziari idonei a fondare la determinazione assunta, essendo indicativi di comportamenti non compatibili con la completa sicurezza del buon uso dell’arma ed avvenuti all’attualità (ottobre 2006 ed agosto 2007); né rilevano la successiva rimessione della querela, restando in atti, indipendentemente da ciò, l’indicazione dei comportamenti che l’avrebbero eventualmente legittimata, o la non attivazione di procedimenti penali rispetto ai reati ascritti, non essendo richiesto nella specie, come visto, il grado di certezza propria dell’accertamento penale al fine della valutazione prognostica sul rischio di abuso dell’arma, dovendosi sulla base di tutto ciò concludere che la motivazione del provvedimento risulta adeguata.

3. Ne consegue che l’appello è infondato e deve essere perciò respinto.

Nulla deve essere pronunciato sulle spese non essendosi costituita la parte appellata.
P.Q.M.

respinge l’appello in epigrafe.

Nulla per le spese del grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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