Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-02-2011) 10-03-2011, n. 9852

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ha personalmente proposto ricorso per cassazione F.D., avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino del 24.5.2010, che in riforma della più severa sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal locale Tribunale il 26.11.2004, per il reato di rapina, revocò la dichiarazione di abitualità nel delinquere, confermando nel resto la decisione di primo grado.

Il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata in relazione all’illegittima acquisizione al fascicolo del dibattimento, del verbale della ricognizione fotografica effettuata nei suoi confronti dalla persona offesa nel corso delle indagini preliminari, assumendo che la mancata opposizione della difesa all’introduzione dell’atto non potrebbe equivalere a consenso.

In ogni caso, alla stregua del secondo motivo, la Corte di merito sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge e comunque nel vizio di mancanza e contraddittorietà della motivazione anche in punto di qualificazione giuridica del fatto, essendo emerso, secondo il ricorrente, che la sua azione si era indirizzata direttamente sul cellulare in possesso della vittima, con immediata sottrazione dello stesso non preceduta da alcuna violenza sulla persona.

Sul punto, la Corte territoriale non avrebbe fornito alcuna risposta, limitandosi a rinviare acriticamente alle motivazioni del giudice di primo grado.

Il ricorso è manifestamente infondato. Ed invero, quanto al primo motivo, si deve anzitutto rilevare che è erronea nella sua assolutezza la deduzione del ricorrente secondo cui il consenso all’acquisizione in dibattimento, di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero non possa essere mai espresso in forma tacita (vedi in contrario, Corte di Cassazione 06/05/2010-25/05/2010 SEZ. 2 Palamara).

Nel caso in esame non solo il verbale in questione fu inserito agli atti nel pieno contraddittorio tra le parti attraverso la procedura di ammissione delle prove regolata dall’art. 493 c.p.p., ma come atto contenuto nel fascicolo del dibattimento fu oggetto delle letture conclusive ex art. 511 c.p.p., ancora una volta senza alcuna opposizione delle difese.

Ma soprattutto, la Corte territoriale ha rilevato la sostanziale superfluità dell’atto, considerata la prova aliunde ricavabile della certezza dell’identificazione del ricorrente come l’autore della rapina (per il necessario ricorso al criterio di resistenza come condizione per la dichiarazione preventiva della inutilizzabilità di un atto Corte di Cassazione NUMERO 40381 del 18/10/2005-07/12/2006 SEZ. 2 Formoso ed altro).

Quanto alla qualificazione giuridica del fatto, i giudici di appello rilevano che dalle prove assunte emerge, contrariamente a quanto apoditticamente sostenuto dal ricorrente, che costui interloquì con la persona offesa in termini chiaramente aggressivi e intimidatori, prima di sottrargli la refurtiva.

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *